- L’annuale classifica della fondazione StiftungMarktwirtschaft calcola debito esplicito e implicito (compreso il welfare)
- Il nostro Paese più virtuoso con il 57% del Pil, Germania al 149, Francia al 291
Marco Fortis – Il Sole 24 Ore – 26 febbraio
A tutto potrebbe essere accostata la Stiftung Marktwirtschaft (SM), letteralmente Fondazione per l’economia di mercato, tranne che alla difesa degli interessi italiani. Infatti, questa istituzione basata a Berlino è un think tank di ispirazione liberista, molto vicina agli ambienti industriali e finanziari tedeschi, che ha fatto della lotta al debito pubblico uno dei suoi cavalli di battaglia e che pertanto non vede certo di buon occhio né le politiche espansive né la flessibilità di bilancio. Proprio per queste ragioni l’ultimo ultimo Rapporto della SM sulla sostenibilità dei debiti pubblici dei Paesi Ue giunge ad una conclusione per certi aspetti clamorosa. Continua pagina 27
Continua da pagina 1 E cioè che, considerando sia il debito pubblico “esplicito” (quello noto, di cui normalmente si parla) sia quello “implicito” (dato dagli impegni pensionistici e dai costi futuri per la sanità e l’invecchiamento della popolazione), il debito pubblico totale italiano è l’unico nella Ue ad essere sotto il fatidico tetto del 60% del Pil, precisamente al 57%, mentre quello tedesco è addirittura quasi tre volte più elevato (dati 2014).
Paladini del rigore
Sulla versione inglese del sito internet della SM (http://www.stiftung-marktwirtschaft.com/inhalte/the-foundation/homepage.html) spicca, tra gli eventi di maggior prestigio della Fondazione tedesca, il premio che essa ha attribuito nel 2014 al presidente della Bundesbank Jens Weidmann. Il quale, il 28 marzo di due anni fa, in occasione della cerimonia della consegna di tale riconoscimento, ha tenuto presso la SM una Lectio magistralis dal titolo “I principi dell’economia di mercato nell’Unione monetaria”. Nel suo intervento Weidmann sottolineava, tra l’altro, che «i pacchetti di salvataggio e le misure dell’Eurosistema hanno indebolito in modo permanente il principio della responsabilità individuale». Tanto per rimarcare, anche in questa occasione, il suo totale dissenso verso le politiche di allentamento del rigore nei riguardi di Paesi considerati non responsabili come quelli del Sud Europa.
Le origini della SM risalgono a circa 35 anni fa quando un professore, Wolfram Engels, e un imprenditore, Ludwig Eckes, si diedero appuntamento a Kronberg, un piccolo comune dell’Assia, per discutere di sviluppo e ripresa in un periodo di crisi che vedeva moltiplicarsi di giorno in giorno i salvataggi statali di imprese. Essendo entrambi convinti che la presenza dello Stato in economia dovesse essere la meno invadente possibile, decisero di dar vita ad un circolo di personalità favorevoli al rilancio dei principi liberali, della concorrenza e dell’economia di mercato: il Kronberger Kreis. Nel 1982 nacque la Fondazione, inizialmente conosciuta come Frankfurt Institute e in seguito come Stiftung Marktwirtschaft, oggi basata a Berlino sotto la direzione dei professori Michael Eilfort e Bernd Raffelhüschen. Il Kronberger Kreis continua intanto a funzionare come Comitato scientifico della SM ed ha come suo coordinatore e portavoce Lars Feld, uno dei “saggi” di Angela Merkel e tra i tedeschi più critici sulle richieste di flessibilità dell’Italia.
Negli ultimi anni il principale filone di studio avviato dalla SM è quello degli Stati “onorabili”, che si è sostanzialmente prefisso di dimostrare che occorre ancor più senso di responsabilità e rigore nella gestione dei debiti pubblici di quanto normalmente si faccia, sia in Germania sia in Europa. Ciò perché non esiste soltanto il debito pubblico “esplicito”, cioè quello che i Paesi ereditano dal passato e dal loro bilancio statale corrente, ma anche quello “implicito”, derivante dalle obbligazioni future che i Governi dovranno onorare. Di quali obbligazioni si tratta? In principal modo dei pagamenti delle pensioni future ma anche dei costi futuri per la sanità e le spese sociali derivanti dall’invecchiamento della popolazione. I debiti pubblici, in sostanza, sono ben più grandi di quanto comunemente si creda e, secondo la SM, vanno quindi fatti maggiori sforzi sia in termini di avanzo statale primario sia di riforme pensionistiche e della spesa sanitaria per evitare che i debiti diventino insostenibili. In questa logica, la misurazione della sostenibilità di una nazione non può basarsi soltanto sul debito “esplicito”. Accontentarsi di questo sarebbe un comportamento da cicale. Per essere formiche, secondo la Fondazione tedesca, occorre considerare anche il pericolo, di cui non si ha sufficiente consapevolezza, del debito “implicito”.
Gli Stati “onorabili”
Per mantenere alto il suo allarme sui conti pubblici la SM pubblica da alcuni anni un Rapporto che stima il “debito totale” della Germania e dei Paesi Ue in percentuale del Pil. Sin dai primi calcoli della Fondazione tedesca emerse però una sorpresa. E cioè che l’Italia, che aveva avviato importanti riforme pensionistiche e aveva dimostrato di poter esprimere costantemente nel tempo avanzi statali primari positivi, figurava tra i Paesi più “virtuosi”. Ciò a dispetto della cattiva fama del nostro Paese come debitore e del fatto che, da anni il nostro debito pubblico “esplicito” è, rispetto al Pil, il secondo più alto della Ue dopo quello della Grecia.
Evidentemente, lo scopo principale delle ricerche della SM non era e non è nemmeno oggi quello di dimostrare – del tutto incidentalmente – le “virtù” italiche quanto soprattutto spingere la stessa Germania a fare di più per ridurre il proprio debito, nonché denunciare, più in generale, il rischio di una corsa dei debiti in tutta la Ue con possibili esiti catastrofici. Sicché, anche se i risultati sugli “Honorable States” hanno inaspettatamente messo in luce che il debito pubblico dell’Italia è tra i più sostenibili nel lungo termine, aspetto tutto sommato non secondario nella querelle europea, da Berlino non hanno mai ritenuto di dover spedire alcun telegramma di congratulazioni al Governo italiano.
La notizia del nostro basso “debito totale” avrebbe casomai dovuto interessare soprattutto noi italiani, anche come arma negoziale. Invece no, perché nel nostro Paese, come da copione, fanno sempre premio le novità cattive piuttosto che quelle buone, specie in campo economico. I risultati delle ricerche della SM hanno così avuto solo una modesta eco entro i nostri confini. Delle analisi della Fondazione tedesca ha parlato quasi esclusivamente “Il Sole 24 Ore” in alcuni articoli negli anni scorsi e i (pochi) dibattiti e commenti nostrani sono stati quasi più ispirati alla diffidenza se non addirittura ad affermazioni liquidatorie del tipo: “Ai mercati interessa il debito di oggi non quello futuro…”.
Italia unico Paese Ue con il debito pubblico totale sotto il 60% del Pil
Tuttavia, non è soltanto la SM che ha puntato l’attenzione sulla sostenibilità dei debiti pubblici nel lungo termine. Lo fa da alcuni anni anche la Commissione europea con il suo indice S2, che, analogamente a quello della SM, sia pure con modalità differenti, dimostra che il debito pubblico italiano è strutturalmente il meno pericoloso della UE nel lungo periodo (Commissione Europea, Fiscal Sustainability Report 2015, p. 82). Ovviamente, anche di questo indice in Italia si sa poco o nulla: la Commissione UE, infatti, fa decisamente più notizia quando ci “boccia” che quando ci “promuove”.
Ma la novità del Rapporto 2015 della SM, per ora disponibile soltanto nella versione in lingua tedesca sul sito della Fondazione berlinese, è che mai come questa volta il debito pubblico totale italiano, in base ai dati del 2014, appare il più virtuoso in assoluto (http://www.stiftung-marktwirtschaft.de/wirtschaft/themen/generationenbilanz.html). Infatti, l’Italia ha un risparmio “implicito” attualizzato molto elevato che riduce il debito “esplicito”, con la conseguenza che il “debito totale” del nostro Paese è addirittura l’unico della Ue sotto il 60% del Pil, mentre la Germania è al 149%, la media della Ue al 266%, la Francia al 291%, la Gran Bretagna al 498% e la Spagna al 592%!
Queste cifre dovrebbero far seriamente riflettere sulla irrazionalità del Fiscal Compact. Il quale obbliga i Paesi europei, in primis l’Italia, a ridurre a tappe forzate il loro debito pubblico “esplicito” verso l’obiettivo del 60% del Pil (che è l’ossessione fissa dei “falchi” tedeschi), senza tenere conto del fatto che, in assenza di radicali riforme, nel frattempo il debito “implicito” potrebbe progressivamente palesarsi in tutta la sua pericolosità e far saltare il banco dell’Europa attraverso una esplosione del “debito totale”. Con un’unica paradossale eccezione di non poco conto: proprio quella dell’Italia, che i rigoristi tedeschi della SM promuovono clamorosamente come la nazione più “onorabile” ma che tuttavia continua ad essere la nazione più “bacchettata” sia da Bruxelles e Berlino sia da molti editorialisti del nostro stesso Paese.