PERCHE’ LUCA E’ UN NOSTRO FRATELLO, INAFFIDABILE E PICCHIATELLO
“Si tratterà di fare la battaglia per quale tipo di federalismo, per quale livello di federalismo. Personalmente vorrei fare del Nordest la Catalogna, sono per l’autonomia più alta.”
Giorgio Lago – Nordest chiama Italia, p. 97 – 1996
Il 22 ottobre il governatore Luca Zaia chiama i veneti al referendum.
«È la risposta comica ad un’esigenza terribilmente seria, quella dell’autonomia, che in Veneto è avvertita come in nessun’altra regione italiana, lo capisco meglio ora, vivendo a Milano. Zaia fa bene a coltivare questa spinta, tanto più alla luce della controriforma centralista di Roma, ma il suo approccio non sta in piedi. Negli anni Novanta, insieme a Giorgio Lago e al suo progetto Nordest, abbiamo posto in agenda la riforma federalista ma la politica nazionale ha imboccato la strada opposta e la “questione veneta” è lungi dall’essere risolta».
http://mattinopadova.gelocal.it/regione/2017/09/09/news/massimo-cacciari-italia-in-declino-veneto-devastato-dal-malaffare-1.15829800
Caro Alessandro,
ascoltandoti l’altra sera invocare “un’operazione verità” nell’ambito del sistema informativo della nostra Regione, il pensiero è andato alle parole usate da Alessandro Manzoni nel descrivere il clima di confusione, violenza ed imbecillità che si respirava a Milano nei giorni dell’assalto ai forni: “il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune”…
Comprendo come ti sia difficile accettare la demagogia, la superficialità e la disarticolazione delle posizioni che caratterizzano il dibattito politico ed il confronto all’interno dello stesso PD veneto, sull’evento referendario.
Ho avuto modo di riconoscere ed apprezzare l’approccio pragmatico, che ti deriva dall’esperienza di Amministratore, nell’affrontare le tensioni e contraddizioni, i sentimenti di speranza e di ribellione, che caratterizzano la temperie socio-culturale di questo tempo in un Veneto che sta vivendo una metamorfosi sfidante per tutti coloro che ricoprono ruoli istituzionali.
Ti risulta difficile accettare che tale situazione, piuttosto che diventare un’occasione propizia per co-progettare il cambiamento verso la maggiore autonomia, adottando criteri e strumenti supportati dalle competenze organizzative-istituzionali-amministrative e rispettando il pluralismo delle opinioni, faccia prevalere su molti temi dell’agenda politica regionale la propaganda, la strumentalizzazione del disagio, i toni della “sfida” pregiudiziale con il Governo nazionale, il cappello in aria e la testa pure…(insomma l’armamentario presente nella sceneggiatura interpretata da Zaia).
Tutto ciò potrebbe essere tollerabile se, almeno, un tale spettacolino da provincia politica degradata dovesse essere sottoposto ad un severo watch dog, pagando il pedaggio ad una stampa attenta a denunciarne la superficialità e l’inconcludenza, con giornalisti impegnati ad evidenziare i costi di una governance regionale nella quale ai proclami ed agli annunci seguono la penuria di realizzazioni, lo svuotamento della capacità programmatoria, decisioni ed iniziative che diventano sussulti temporanei di consapevolezza smentiti e sopravanzati da altri annunci enfatici, in una catena che porta all’irrilevanza dell’istituzione regionale diventata un’echo chamber del populismo venetista.
E’ a tal proposito che ho parlato di “Cielo plumbeo sopra Venezia”.
Ma non sono sorpreso e nemmeno “scandalizzato”: siamo di fronte infatti alla coda velenosa di un ventennio di leghismo e laghismo, un combinato disposto che ha introdotto nel Veneto la vulgata di un nordest evocato e masticato come un chewingum, attraverso la difffusione di un badecker con cui interpretare agevolmente (e superficialmente) fenomenologie complesse con il ricorso a pennellate sociologiche e linguaggi giornalistici allusivi, che hanno generato un mainstream dominante quanto insignificante.
La matrice di tale deriva va ricercata nel tornante storico-politico degli anni ’90 che, dopo un primo slancio movimentista positivo caratterizzato dal progetto riformista-federalista, ha visto subentrare una stagione di bonacccia sottogovernativa e
clientelare, nella quale hanno trovato (quasi) tutti buone ragioni per non impegnarsi nell’approfondimento delle attività di ricerca, innovazione ed implementazione sul piano storico-culturale ed economico, da un lato, e di dialettica democratica autentica dall’altro (vedi il cono d’ombra che ha inghiottito il comma terzo dell’art. 116 della Costituzione).
Sul piano propriamente politico, con le rappresentanze regionali del PCV (Partito Consociativo Veneto) e del PSV (Partito Dormiente Veneto) si è attenuata fino ad esaurirsi del tutto la capacità dello schieramento del centro-sinistra di indagare e rappresentare le sofferenze insorgenti, i bisogni autentici e le contradizioni effettive del neocentralismo, ma anche le enormi potenzialità della società veneta in cammino verso un’ulteriore tappa del proprio sviluppo.
E’ insomma venuto a mancare un protagonista fondamentale per una vivida narrazione di quella componente propulsiva e decisiva di umanità veneta impegnata a riorganizzare il tessuto economico-produttivo orientandolo alla smart specialization, ad esportare valori (missionari) e tecnologie (imprese) in tutto il mondo, a misurarsi con le trasformazioni presidiando il territorio e sperimentando l’innovazione sociale; ed inoltre interrogandosi criticamente sulle risposte amministrative da dare ai nuovi fattori aggressivi ed alle patologie introdotti dal cambiamento provocato dall’accelerazione della globalizzazione.
Sicchè, caro Alessandro, appena eletto ti sei trovato ad affrontare enormi sfide, aggravate dall’eredità di una struttura organizativa fatiscente e indotte anche dalla lunga attesa di una discontinuità gestionale del Partito.
Penso che, guardandoti intorno, hai colto le potenzialità espresssive di un partito rigenerato, ma hai osservato con preoccupazione la vischiosità di una nomenclatura cresciuta ed adattatasi all’ambiente creatosi con le pratiche sopraricordate del PCV e del PDV, oltretutto sorpreso se non addirittura “scosso” dal vento renziano della rottamazione, interpretato da molti pavidi ed opportunisti della periferia veneta come pericoloso e rischioso.
(Ufficialmente le riserve manifestate sono state per la inattesa svolta programmatica; in realtà malumori, dissensi ed uscite sono stati determinati dal timore di non poter continuare – nelle acque mosse dal riformismo del Governo Renzi – la pigra navigazione dei battelli e delle barchette personali, acquisiti con molti anni di onorata carrriera e consolidate appartenenze.
Puoi ben capire che di fronte a tutto ciò il sistema dei media veneti:
a) da un lato per ragioni di bottega (ovvero di vendite) ha scelto di alimentare lo storytelling di una Regione perennemente ansiogena e protestataria e quindi si è dimostrato ben disposto a dare credito e spazi inusitati ai registi e testimonial di tale canovaccio;
b) dall’altro essendo depositario di una memoria abbastanza obiettiva della prolungata assenza – nel mercato politico regionale – di una proposta politica alternativa credibile (che avrebbe dovuto essere offerta dal Partito Democratico regionale) allo schieramento lega-forzista, non si è particolarmente affezionato e fatto attrarre dal messaggio del SI critico e non ne ha colto la valenza e la ragionevole ipotesi prospettata dalla maggioranza della Direzione regionale.
In fin dei conti, aggiornando la metafora di D’Alema, Luca Zaia non è solo una “costola sinistra”, bensì è anche l’interprete più fedele del “sogno catalano” letteralmente inventato da Lago (geniale giornalista, ma politologo bislacco) e Cacciari (analista ed affabulatore suggestivo, ma inaffidabile policy maker).
Oltretutto la sua versione venetista del populismo protestatario verso “il nemico che è a Roma” diventa imbattibile se trova alleati e collaborazionisti nel campo democratico: pensa solo alla vicenda del referendum sulle Trivelle, allo stesso referendum costituzionale, al NO dei fedeli soldatini del centralismo o al SI fiancheggiatore di Marca (trevigiana) divulgato come spallata tafazziana al proprio Governo (per non dire della dichiarazione improvvida di Renzi, sul “referendum inutile”: quando non è ben informato su un dossier scottante – come l’autonomismo veneto – il Segretario nazionale dovrebbe adottare il metodo Gentiloni! ).
Che l’iniziativa referendaria rappresenti il rantolo di un Governatore fallimentare ed inaffidabile (con i documenti divulgati dal “Comitato per la riscossa civica contro il referendum farlocco” abbiamo illustrato e reso comprensibile tale verità politica anche agli analfabeti funzionali), i media veneti non lo possono-vogliono né intuire né tantomeno rivelare se non riscontrano nell’ambito del mercato politico locale analisti convincenti, prese di posizione coraggiose, progettualità riformiste-federaliste che vanno oltre la denuncia delle fake news.
Insomma restano tiepidi e disattenti se non intravvedono protagonisti e leader che si prendono il rischio di esporre una visione alternativa e la responsabilità di assumere non tanto un atteggiamento oppositivo alla zaiazione bensì di dare corso alla elaborazione dei contenuti ed alla promozione (in tutte le sedi sociali ed a tutti i livelli istituzionali) della procedura costituzionale per dare tempestivamente al Veneto la maggiore autonomia necessaria e praticabile e smascherare la perniciosa e sterile propaganda leghista.
Personalmente ho cominciato ad appassionarmi ed a misurarmi concretamente e proficuamente con il processo federalista sin da quando Zaia praticava (professionalmente) le discoteche della sua provincia.
Ho conseguentemente maturato la piena consapevolezza (oltre che esperienza sul campo) che nel nostro Veneto, al netto dei sognatori e degli avventuristi, esistono una diffusa consapevolezza ed expertises scientifiche e professionali desiderose e disponbili a riprendere il cammino di un regionalismo forte, innovativo e solidale, inteso come risorsa scatenante nuove energie per il rinascimento etico civile non solo a livello regionale, ma anche nazionale.
Se accetti un suggerimento, ritengo che il Segretario regionale del PD, oltre alla necessaria attenzione ai precari equilibri interni del suo Partito, debba rivolgere l’attenzione a tale realtà che non è espressione di ambienti salottieri, ma è fortemente radicata nella storia dell’autentico riformismo veneto e sintonizzata con quel vasto elettorato che si attende un’offerta politica chiara e distintiva, ovvero la declinazione per il tempo presente dei valori fondanti e riconoscibili di quel federalismo antropologico-culturale caratterizzante la storia veneta, che ho più volte citato (e la cui focalizzazione si deve ad uno studioso padovano che ha indagato le evidenze storiche ed il contributo dei “santi minori” – oggi ignorati dai più – che hanno consentito al Veneto di emanciparsi e, letteralmente, decollare sul piano civile ed economico).
Penso quindi che in quest’ultimo mese che ci separa dall’evento referendario sia possibile realizzare quell’operazione verità che tu auspichi, mettendo in campo una proposta che indichi un cambio di rotta e di strategia per la governance regionale e convinca la nostra comunità veneta a non consentire ad un Presidente protempore avventato ed inaffidabile di pregiudicarne il futuro.
Resto a tua disposizione per ogni ulteriore chiarimento che tu ritenga necessario e per intraprendere le azioni più opportune per rilanciare il processo federalista nel segno della partecipazione popolare, della concertazione con le rappresentanze sociali e professionali, della corresponsabilizzazione degli Enti locali.
Ti ringrazio dell’attenzione
Con rinnovata amicizia, Dino Bertocco