Astrologia e Referendum

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IncertezzaReferendum e letture «forzate»

Roberto D’Alimonte – OSSERVATORIO La politica in numeri

Il Sole 24 Ore 20 aprile 2016

È un segno della precarietà dei tempi l’importanza che è stata data al referendum sulle trivelle. Lo stesso presidente del Consiglio, di solito così sicuro di sé, è apparso incerto prima del voto.

E dopo il voto, il tono dei suoi commenti ha lasciato chiaramente trapelare il timore che nutriva per l’esito. Forse aveva in mano dei sondaggi preoccupanti – e sbagliati – che gli hanno fatto credere che il 50% degli italiani potesse mobilitarsi per andare a votare su un quesito così lontano dai loro interessi concreti. Meglio avrebbe fatto a prendere le distanze pur affermando la sua posizione. Ma il distacco non è nelle sue corde. A lui piace la mischia. In ogni caso questo referendum è stato a suo modo un test. Alla luce di quello che sappiamo sul comportamento degli elettori in questa fase della storia del nostro paese, quali conclusioni avremmo dovuto trarre se effettivamente il 50% fosse andato a votare? Il punto è che i dati ci dicono che a partire dal 1995 la partecipazione ai referendum è andata declinando progressivamente e inesorabilmente. Il trend è chiarissimo. Il referendum del 2011 in cui ha votato il 55% degli elettori è l’eccezione che conferma la regola. C’è voluto uno shock – quello del disastro nucleare di Fukushima – per portare a votare la gente. Dopo si è tornati alla “normalità”, cioè ha ripreso il sopravvento la tendenza di fondo. In tempi “normali” il comportamento di voto è quello che abbiamo visto domenica scorsa.

Ciò premesso, torniamo alla domanda da cui siamo partiti: quali ipotesi avremmo dovuto avanzare per cercare di spiegare perché il 50% degli elettori si sarebbe mobilitato su una questione come quella delle trivelle? È difficile immaginare che le trivelle rappresentino uno shock capace di mobilitare più di 25 milioni di persone. Lo sarebbe un referendum sull’aborto, ma non le trivelle. Né prima del voto ci sono state notizie di una marea di petrolio sulle coste adriatiche. Se domenica il 50% degli elettori fosse andato a votare e avesse votato sì la sola spiegazione possibile sarebbe stata una voglia straordinaria di manifestare la propria rabbia e di dar voce alle proprie frustrazioni. Renzi e il governo ne sarebbero stati i bersagli. È quello che successe nel 1993 al referendum sulla legge elettorale che ha cambiato il corso della politica italiana. Per la stragrande maggioranza degli italiani legge elettorale e trivelle hanno la stessa importanza. Anzi, le trivelle sono una questione più comprensibile. Nel 1993 gli elettori sono andati a votare in massa non a favore di una nuova legge elettorale, di cui non sapevano nulla, ma perché volevano esprimere rabbia e voglia di cambiamento. Avrebbe potuto essere così anche questa volta (ed è per questo che Renzi era preoccupato), ma non è stato così. La rabbia c’è, la voglia di cambiamento anche, ma non è ancora così forte da portare gli italiani a votare sulle trivelle per travolgere l’attuale governo.

Renzi ha potuto tirare un sospiro di sollievo. Gli resta ancora credito e quindi tempo. Adesso c’è chi vuol far credere che i milioni di italiani che sono andati a votare e hanno votato sì siano tutti anti-renziani. Può darsi, ma è una ipotesi senza prove. In ogni caso non ha alcuna importanza. Anche se così fosse non è di questo che Renzi deve preoccuparsi. Anche alle ultime europee quando ha preso oltre il 40% dei voti, l’altro 60% non era renziano. Che vuol dire che il 26% di quelli che sono andati a votare domenica e hanno votato sì sono anti-renziani? Non vuol dire nulla. Alle europee erano molti di più. Adottando questa logica si dovrebbe allora supporre che buona parte di coloro che sono rimasti a casa sono renziani? Ma neanche per sogno. E sbagliano Renzi e i renziani a usare argomenti simili.

Questo per dire di quali forzature si alimentano le polemiche di questi giorni. Anche alle prossime politiche del 2018 è certo che gli anti-renziani saranno di più dei renziani. Ma il risultato del voto non dipenderà da questo. Dipenderà dalla capacità del premier di arrivare al 40% al primo turno – cosa cui fermamente crede – o di battere il candidato del M5s al ballottaggio, sempreché il centro-destra non faccia il miracolo di ritrovare una unità di cui al momento non si vede la minima traccia. Nell’attesa vedremo cosa succederà alle prossime comunali.

 

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