JAIME D’ALESSANDRO, la Repubblica, 30 aprile 2018
Auto, traffico, meteo finanza e medicina È la nuova tecnologia
L’Italia ora insegue ma è una eccellenza della robotica
Il taxi a guida autonoma che domani ci porterà a casa, l’assistente personale che tradurrà in tempo reale le nostre frasi in un’altra lingua, il sistema che gestirà i semafori della città, quello che riconoscerà ogni elemento delle nostre foto ordinandole, il programma che leggerà le radiografie.
«L’intelligenza artificiale è qui per restare. Questo ormai è chiaro a tutti. Ecco perché è cominciata la corsa all’oro: chi resta indietro rischia la sudditanza tecnologica». Massimiliano Versace, friulano di 45 anni, lo dice al telefono da Boston, dove dirige la Neurala che sviluppa intelligenza artificiale (Ai). Un decano: ha condotto ricerche per conto della Defense Advanced Research Projects Agency (Darpa, quella che ha inventato Internet) e ora lavora con la Nasa e big dell’elettronica cinese. La notizia che sia cominciata ufficialmente la gara fra governi per le Ai non lo stupisce. Anzi. «La politica si muove in ritardo», aggiunge.
Eppure in pochi giorni sono scesi in campo tutti. La Commissione europea ha appena annunciato di voler portare a 20 miliardi di euro gli investimenti complessivi da qui al 2020. «Come hanno fatto vapore ed elettricità in passato, l’intelligenza artificiale sta già trasformando il mondo». Parola del vice presidente della Commissione Andrus Ansip. Il Presidente francese Emmanuel Macron lo ha preceduto di qualche settimana. Alla conferenza “AI for Humanity” ha spiegato di voler stanziare un miliardo e mezzo di euro per fare del suo Paese un’avanguardia. Con l’obbiettivo di arrivare a un sogno alla Prometeo e non a un incubo distopico dove robot e Ai finiscono per annichilirci come temono Elon Musk e come temeva l’astrofisico Stephen Hawking.
Anche l’Inghilterra non vuol restare indietro, considerando che la Brexit la taglierà fuori dall’Ue.
Il timore è che aumenti la distanza con gli Stati Uniti e soprattutto con la Cina. A luglio il governo di Pechino ha messo sul tavolo 18 miliardi di euro che diverranno circa 40 l’anno nel 2025. E intanto l’intero settore sta esplodendo, anche in borsa.
«Tempismo perfetto», applaude Alessandro Curioni l’iniziativa della Commissione Ue. Dirige a Zurigo i laboratori di ricerca della Ibm che in fatto di Ai è uno dei grandi nomi. «Stiamo sommersi di dati, ne produciamo sempre più.
L’unica risposta per analizzarli sono le Ai». Curioni è uno dei tanti italiani che a vario titolo sono in prima linea. Peccato che molti lavorino all’estero. Il nostro Paese, che in fatto di robotica e macchinari per l’industria è fra i primi, non brilla nell’intelligenza artificiale. A settembre l’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) ha presentato un gruppo di lavoro nato per studiare le opportunità offerte dalle Ai per migliorare i servizi pubblici. Il gruppo ha prodotto un libro bianco con alcune linee guida. Utile, ma nulla di paragonabile a quanto stanno facendo Francia e Inghilterra.
Stando ai dati dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse), il nostro Paese è al quinto posto per quanto riguarda la produzione dei documenti scientifici più citati sul cosiddetto “apprendimento delle macchine”, una delle tecnologie principali usate nelle Ai. Veniamo dopo Stati Uniti, Cina, India e Gran Bretagna. In teoria non saremmo messi male se volessimo partecipare a questa corsa.
Mentre l’amministrazione Trump fa sapere che intende bloccare la collaborazione fra le sue aziende e quelle cinesi in fatto di Ai, Sergey Brin, uno dei due fondatori di Google, nell’ultima lettera agli investitori scrive: “La nuova primavera dell’intelligenza artificiale è lo sviluppo più significativo nell’informatica di tutta la mia vita”. Commento interessato: Google sulle Ai ha investito tanto e ne magnifica le capacità ben oltre i tanti limiti che ancora dimostrano. Ma certo, difficile immaginare che domani un qualsiasi processo non sia gestito da loro. Compresi quelli legati a difesa e armamenti. Di qui l’appello di agosto alle Nazioni Unite per una moratoria. Che è rimasto però lettera morta, almeno fino ad ora.