I democratici e i ladri di futuro

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5 dicembre: ora continua l’impegno per sconfiggere l’omertosa alleanza di risentimento, ipocrisia, vigliaccheria, e per promuovere il processo di rigenerazione etico-civile del Paese

Comprendere le ragioni del NO

Lo giuro: nonostante lo stupore e l’ira montante di fronte ad un numero esorbitante di provocazioni, menzogne e falsificazioni dei dati di fatto risultanti dalla lunga, complessa e faticosa attività parlametare (sottolineo per gli schizzinosi censori del testo, attività parlamentare) che hanno partorito il Progetto di Riforma Costituzionale, mi sono più volte imposto di cercare-riconoscere le ragioni degli oppositori, leggendone le interviste, ascoltandoli nei talk, documentandomi sulle iniziative dei Comitati del NO (seminari, manifestazioni, eventi-show…).
Ne ho tratto giovamento, soprattutto per razionalizzare e mettere ordine nello sconquasso di sentimenti e risentimenti determinati dall’osservazione di un Paese risucchiato nella guerricciola cvile (che Massimo Cacciari benevolmente ha definito derby…), dichiarata da una trasversale brigata di politicanti reciprocamente contagiati dall’ossessione di difendere le proprie biografie piuttosto che dalla volontà di pensare la propria mission e le proprie responsabilità per aiutare un’Italia contemporanea debilitata proprio dalla loro conflittualità, incapacità e riottosità ad assumere le decisioni necessarie per il risanamento finanziario e la modernizzazione delle sue strutture fondamentali nel tempo in cui hanno esercitato funzioni di Governo.
Debbo a tal proposito fare un’annotazione dolorosa: il virus, che giornalisticamente parlando è stato chiamato antirenzismo e che è diventato il manganello con cui bastonare i contenuti, le ragioni e gli obiettivi contenuti nella Legge, è stato incubato in quelle formazioni combattenti interne al PD che hanno intravisto nel “combinato disposto” di Riforma Costituzionale ed Italicum un “subdolo” tentativo di estrometterli dalla Storia.
E’ così che hanno trasformato quelle che potevano esse delle comprensibili riserve su un Progetto sottoposto alle molteplici mediazioni rese necessare da un Parlamento maldisposto e frammentato (e quindi risultato imperfetto), in una piattaforma ideologica da usare contro quello considerato una sorta di usurpatore di un Partito ritenuto riserva di caccia e di egemonia politico-culturale solo per alcuni (i migliori naturalmente) dei legittimi rappresentanti della tradizione PCI-PDS-DS.
Niente di nuovo nella tormentata vicenda dell’ultimo ventennio, anche se con effetti laceranti per l’ambiente sociale ed umano della sinistra riformista, talmente gravide di conseguenze sul suo futuro, da meritare delle prese di posizione che per il loro rilievo etico e per la riflessione storica che suggeriscono meritano di essere appuntate e meditate:
1) La prima perché espressa da un Giornalista accreditato per la sua sobrietà e per il suo understatement, ovvero Paolo Mieli
http://www.unita.tv/interviste/staino-intervista-mieli-lavversario-non-e-un-demone-la-sinistra-superi-il-pregiudizio/

2) La seconda è particolarmente pregnante in quanto coinvolge un Peppino Caldarola che non ha mai fatto mistero della sua scarsa simpatia (più orientata verso il suo amico D’Alema) nei confronti di Renzi, ma capace di discernere con obiettività i fatti politici e di rimanere costernato di fronte alle recenti stupefacenti “virate” bersaniane

http://www.lettera43.it/firme/addio-compagno-bersani-senza-rancore-ne-rimpianti_43675267979.htm

Ma, ritornando al ragionamento sullo sforzo personale di comprendere le argomentazioni e l’orientamento verso il NO, ho cercato di individuare le cause ed i sentimenti che ne hanno determinato un larghissimo consenso, che va oltre quello catturato dal variegato e maggioritario schieramento politico-partitico mobilitato contro la Riforma, perché è preesistente e correlato all’antropologia socio-culturale di una popolazione restia ad abbandonare i vecchi riti (anche per la Repubblica nel ’46 non fu un plebiscito…).

1. Innanzitutto, come hanno ben potuto verificare direttamente tutti coloro che si sono cimentati, sia personalmente che nell’ambito delle attività dei Comitati per il SI, al deficit di informazione sulla Riforma – in particolare sui dettagli e le sue conseguenze operazionali, ovvero sui suoi sottotitoli – si è sommato una diffusa sospettosità correlata all’aumento della polemica scivolata sul terreno della personalizzazione Renzi SI – Renzi NO. Bisogna dire che la campagna di comunicazione #bastaunsi non si è rivelata particolarmente efficace nel promuovere una riflessività critica in grado di allargare ed approfondire il livello di consenso alla Riforma attraverso la comprensione del suo essere il driver non solo della discontinuità del regime istituzionale, bensì il motore di un processo generale di cambiamento con l’efficientamento dell’intero sistema burocratico-amministrativo conseguibile con un autentico “combinato disposto” (rieccolo!) di decisioni politiche top down e di potenziamento qualitativo della partecipazione democratica dei cittadini bottom up al policy making.

2. Alla scarsa focalizzazione degli obiettivi e sensibilizzazione sui risultati ( conseguibili con la fine del Bicameralismo si è conseguentemente accompagnato l’emergere di una sorta di surrogato di patriottismo costituzionale (così battezzato da Antonio Polito sul Corriere della Sera del 20 novembre) da intendere come manifestazione di una romantica difesa della “vecchia signora” che – per molti elettori non avvezzi (e, a ben vedere, per molti esponenti della sinistra dei professorini sussieguosi, non interessati) a ragionamenti sulle “prestazioni” istituzionali – ha comunque rappresentato un baluardo di garanzia democratica per quasi 70 anni.

3. Proprio l’argomento della “garanzia delle prestazioni” ha sicuramente costituito un tradizionale e – in questa occasione referendaria – potenziato veicolo per la retorica politica all’incontrario, nella realtà meridionale; di fronte al messaggio della soppressione dei seggi senatoriali, del ridimensionamento del trattamento economico dei Consiglieri e dei Gruppi consiliari regionali (contestuale al ridisegno delle Funzioni dell’Ente Regione), buona parte della nomenclatura partitca non ha certo espresso un’adesione entusiastica. Cito alcuni esempi di reviviscenza della furbizia politicistica e neoborbonica nelle terre del Sud:

a) La nomina del senatore siciliano Renato Schifani a Coordinatore dei Comitati del No di Forza Italia (ovviamente incaricato di anadare a mietere voti in quell’autentico baluardo delle Istituzioni democratiche che è la regione Sicilia).

b) Il salto del Quagliarello, lungimirante partenopeo incaricato dalla volpe romana D’Alema di elaborare con il noto costituzionalista Zoggia un nuovo testo di riforma. Non ci credete? Andate a leggere l’intervista sul Corriere della Sera del 13 novembre scorso. Domanda: Battute a parte, con il NO le riforme andranno in soffita per sempre. Risposta: (…..) esiste già un testo di riforma costituzionale elaborato da parlamentari di schieramenti diversi, come Quagliarello e Zoggia, e che in concordia propone una riduzione dei parlamentari ancora più drastica (…..). penso che anche da parte dei Cinque Stelle non dovrebbe maturare un’ostilità preconcetta e quindi in 6 mesi si può approvare (sic!).

c) Il clan di Magistrati palermitani: Roberto Scarpinato (“Riforma oligarchica ed antipopolare”), Nino Di Matteo (“Rischio dittatura per l’Italia”), Antonio Ingroia (“La riforma costituzionale di Renzi continua il progetto della P2 di Licio Gelli”), si è cimentato in dichiarazioni altisonanti, in esercitazioni di stile propagandistico originate da menti addestrate al sospetto antimafioso, adottato come metodologia per affrontare anche la discussione democratica e la deformazione della realtà (con applicazioni nefaste anche per inchieste fallimentari come quelle che hanno portato alla giusta assoluzione dei Calogero Mannino e del Generale Mori).

d) Il ritorno di Ciriaco De Mita, un autentito vecchio (88 anni) boss politico “illuminato” preoccupato di salvaguardare la propria biografia (“morirò democratico-cristiano”) e di confermare una funzione censoria che, lo si è potuto riscontrare nel duello televisivo con Renzi da Mentana, è apparsa simile a quella della figura di padrino indispettito da un cambio delle regole del gioco che è avvenuto senza il suo consenso.

Tutto ciò per le estese reti clientelari della spesa pubblica locale significano riduzione di benefici ed opportunità. Non è casuale che per contrastare il senso comune degli elettori meridionali per il NO, un autentico boss democratico come il Presidente della Campania Vincenzo De Luca abbia promosso una controcampagna di comunicazione e proselitismo basata sulla valorizzazione e pubblicizzazione delle concessioni e dei finanziamenti strappati – per la specifica realtà regionale – al Governo Renzi, a prescindere dai contenuti e dagli obiettivi della Riforma Costituzionale. Tali annotazioni per aiutarci a comprendere le ragioni profonde delle previsioni di voto che hanno costantemente dato il NO in vantaggio al SUD …..

4. C’è poi da mettere sotto osservazione il vasto mondo dell’elettorato “grullino” perché è su di esso che giustamente si è indirizzato l’appello di Renzi sollecitandolo ad avere un sussulto di consapevolezza rispetto all’incongruenza di un NO nei confronti di una riforma che è pervasa da un messaggio anticasta che avrebbe dovuto suggestionare i militanti e gli elettori del M5s.

Ma in verità ha ragione Angelo Panebianco che ha invitato ad osservare (vedi Corriere della Sera del 22 novembre) che i Cinque Stelle, indifferenti ai contenuti della Riforma, hanno adottato una strategia che mira ad ottimizzare e “timbrare” l’urto dello schieramento di opposizione per l’indebolimento del Presidente del Consiglio e candidarsi come unica “vera” alternativa al Governo guidato dal PD.

Non deve essere considerato casuale l’accentuarsi del linguaggio truculento, melmoso, barbaro ed ombroso dal parte del caudillo genovese nella fase finale della campagna, anche in concomitanza con l’emergere dello scandalo firme false.

Nell’aspra competizione in corso, mentre le tifoserie del SI e del NO si sono arrovellate sui dettagli e sul significato della Riforma Costituzionale, il M5s ha deciso di approfittare della fisiologica “confusione democratica” in corso per introdurre nella pratica e nel linguaggio politico l’adozione del metodo “ogni mezzo è utile per raggiungere l’obiettivo”. Ciò che per esempio è emerso dagli episodi scandalosi delle manomissioni documentali è ben poca cosa rispetto al metodo mafioso dello sputtanamento sistematico degli avversari: una strategia resa possibile dalla struttura organizzativa in franchising e dal pensiero degradato del boss che prefigurano il neototalitarismo pentastellato in cammino. Tali caratteristiche distintive, poi, sono incardinate in quella orrida ed oscura Piattaforma denominata Rousseau che sotto il profilo della visione democratica è “una cagata pazzesca”, ma per la falsificazione virale della realtà ed il disorientamento dell’opinione pubblica si rivela uno strumento efficacissimo.

Ciò che in questa vicenda appare sorprendente, ma a ben vedere non lo è, è l’atteggiamento dei competitor che co-operano, nell’ambito dello schieramento del NO, con Grillo: lo “psiconano” Berlusconi ed il “Gargamella” Bersani – inconsapevolmente o meno – si sono dati fare per aiutare lo psicopatico, ex comico autoattribuitosi il ruolo di leader politico, a dare l’assalto alla diligenza guidata dal “menomato morale”, “lesionato”, “scrofa ferita”….

Cosicchè, mentre gli ipocriti, rancorosi (ed un po’ vigliacchi) avversari del Presidente del Consiglio gridano al rischio della “democrazia autoritaria”, giovani balilla crescono capitanati da un personaggio che, nel caso in cui cadesse sotto i colpi della propaganda sfascista l’unico suo antagonista democratico (Renzi), non si farà scrupolo di prendersi ed esibire il loro scalpo (si fa per dire, perché, nel caso di Berlusconi e Bersani gli resterebbe ben poco da strappare!).

L’aspetto grottesco della vicenda che sta andando in scena nella campagna referendaria è quello rappresentato dai professoroni, ottuagenari, e romanticoni che in questi mesi hanno richiamato retoricamente i valori della Costituzione e della Resistenza, ma resi miopi dall’età e dal pregiudizio ideologico, non si sono accorti da dove stanno arrivando i veri attacchi ed i pericoli per la convivenza democratica.

Sui rischi rappresentati dal cybercentralismo autocratico di M5s e sul caudillo genovese sono intervenuto ripetutamente con post allarmati ed anche irritati (lo ammetto) sulla mia Pagina Facebook: finora sono nove gli “appelli” che ho lanciato con il claim “salviamo i grillini da Grillo”!

Per delle considerazioni meno umorali e più meditate rinvio all’articolo, pubblicato sul mio sito, “Gianroberto e noi”

Chi sono

ma soprattutto rinvio alla documentazione, che mi auguro sia presto disponibile, relativa alla Giornata di studio su “Il Movimento 5 stelle: prospettive a confronto” organizzata il 18 novembre scorso a Padova dallo standing group “Politica e Storia” della Società italiana di scienza politica, e dal Dipartimento di Scienze politiche, giuridiche e studi internazionali che ha offerto un panel di ricerche e relazioni inedite, approfondite, illuminanti.

5. Mi sono sforzato di comprendere (non giustificare) i fan di Zagrebelsky, Smuraglia, Onida ed altri satrapi incartapecoriti: in molti casi – come ho già annotato – abbiamo scoperto una realtà socio-politica di cittadini legati romanticamente all’idea di un Paese incartapecorito ed immobile, affascinati dalla mission di difendere un assetto costituzionale inteso come la più alta espressionne di sacri principi non contaminati da processi storici e da procedure legislative e politico-decisionali.

Queste non debbono sconvolgere la purezza dei riti di una partecipazionne democratica la cui inconcludenza ed inefficacia non preoccupa. Prioritario per i Sacerdoti ed i fedeli del NO è salvaguardare la rappresentanza dei cittadini e non la governabilità, i quali cittadini sono i primi ad invocarla – la governabilità – quando lamentano la lontananza delle Istituzioni dai bisogni e dalle problematiche sempre più stringenti e drammatiche che coinvolgono soprattutto le componenti piu deboli della popolazione e del territorio nazionale. Per dirla brutalmente meglio un Bicameralismo che allunga i tempi ed aggroviglia la matassa dei procedimenti (ma garantisce il cazzeggio consociativo) che la semplificazione che comporta un mandato più forte – attraverso il voto – ad una sola Camera per la fiducia al Governo investito di una responsabilità più chiara ed effettiva….
Per avere un’idea – in tempo reale – di cosa significa il permanere dell’attuale stato comatoso della procedura legislativa, è sufficiente vedere cosa insegna la sentenza della Corte costituzionale sulla riforma Renzi-Madia di questi giorni:
http://formiche.net/2016/11/27/cosa-insegna-la-sentenza-della-corte-costituzionale-sulla-riforma-madia/

Ripiegamento sociografico

A ben vedere, però, il ritorno sulla scena di molti anziani e decani della Prima e Seconda Repubblica, a contrastare il “ragazzotto arrogante”, ed il peso che hanno assunto nell’orientare una parte significativa dell’opinione pubblica verso il NO, più che ad essere collegabile ad un pur comprensibile prevalere della nostalgia per il passato, va interpretato come la manifestazione di una fenomenologia socio-culturale prima di tutto demografica, ovvero un indice di vecchiaia che attesta un declino progressivo del Paese che si manifesta anche attraverso la crescita della pianta carnivora del risentimento e del rancore con cui molti rappresentanti del vecchio ceto politico tentano di frenare i timidi tentativi di rinnovamento (nella loro mente deteriorata “personalizzati” dalla figura un quarantenne).

A ben guardarli, l’incanutito e tignoso D’Alema, gli ottuagenari Berlusconi e De Mita, con la loro patetica riapparizione mettono bene in scena il ripiegamento “sociografico” e la propensione ad investire sul passato, ad esprimere un orientamento che costituisce il tentativo frenare il futuro dell’Italia.

Nel commentare le argomentazioni di D’Alema per il NO al Referendum, Fabrizio Rondolino le ha etichettate come una “colossale fregnaccia”, concludendo il suo articolo con sarcasmo, prefigurando che, pur di contrastare l’autoritario Renzi, ci manca solo l’auspicio del ritorno alla monarchia…
Ebbene, se ascoltiamo nel loro insieme i molti testimonial del NO accomunati (per ragioni anagrafiche) dall’appartenenza alla nomenclatura politico-partitica e burocratico-istituzionale che si è radicata negli alvei e nelle funzioni operative del Bicameralismo, sentiamo come una sorta di refrain che alimenta il sospetto della messa in campo di una strategia di restaurazione, ovvero di difesa dello statu quo ed ostilità al cambiamento delle regole del gioco finalizzato all’efficientamento del sistema.
E ciò appare inacettabile, paradossale, soprattutto per il carattere di ammucchiata incestuosa a cui hanno dato vita esponenti politici e personaggi vari con matrici ideologico-culturali contrastanti e contradditorie.
C’è però una chiave interpretativa che può rendere comprensibile la convergenza di tante voci verso lo spartito della Conservazione; o, meglio, c’è un interrogativo preliminare a cui rispondere se si vuole dare un’interpretazione non faziosa del diffuso ed articolato atteggiamento “resistenziale” al cambiamento costituzionale.
La domanda è: risulta praticabile l’innovazione politico-istituzionale in un Paese che “ in virtù dell’allungamento della speranza di vita e dell’aumento dei flussi migratori, è sì cresciuto di 3,7 milioni di abitanti negli ultimi 15 anni, ma perdendone 2,8 sotto i 40 anni d’età e acquistandone 6,5, di milioni sopra i 40 anni d’età; uno strano modo di crescere ch’è un vero e proprio mettere le basi, creare le condizioni per provare a lasciarsi morire”?
Ed ancora: in un contesto antropologico-culturale in cui “demograficamente parlando, la struttura della popolazione italiana ripiega su se stessa, si accartoccia e incarognisce. Si trasforma in peggio, mette su pancia e rughe, accusa acciacchi e malesseri, appunto, stando fermi” ( Roberto Volpi – Il Foglio), quale progettualità politica è in grado di sostenere la sfida di rendere credibile e vincente il riformismo costituzionale?
Credo quindi che oltre la stagione del dibattito referendario, il confronto serrato sui contenuti e le buone ragioni che hanno orientato i sostenitori del SI, debba essere perpetuato alimentando dal 5 dicembre in poi il messaggio della speranza e dell’investimento sul futuro e contrastando a viso aperto il ripiegamento “sociografico” sul passato che costituisce la precondizione di un disastroso pensionamento dell’intero Paese.
Si tratta di un cambio di passo e di una sferzata necessaria per far crescere la consapevolezza sulle conseguenze disastrose di un rallentamento del processo riformattore indotto da quella che Amedeo Levorato ha chiamato “La trappola demografica italiana tra immigrazione e invecchiamento della popolazione” ed illustrato con numeri, tabelle e considerazioni che inducono a reagire energicamente ed intensificare la mobilitazione cognitiva e politico-culturale contro il declinismo:
https://osservatorecoinvolto.com/2016/07/31/il-profilo-demografico-debito-e-limiti-della-politica-monetaria/

Identità alternative

Naturalmente non è tutto e solo una questione di vitalità generazionale: è questione anche di semplice voglia e gioia di vivere, oltre che di fare, di provare, di rischiare. E per introdure nel corpo sociale di un Paese tali sentimenti positivi bisogna ripensare in profondità una strategia culturale in grado di offrire una visione di rinnovamento che non sia portatrice di fratture insanabili bensì di un nuovo equilibrio dinamico all’interno della competizione democratica. Per commentare e proporre il superamento della stagione di divaricazione sociale e politica emersa con la campagna referendaria, ci tornano utili le parole del filosofo canadese Charles Taylor:
“Assistiamo a una serie di battaglie nella società globale fra identità particolari, anguste e sospettose verso l’altro e un altro tipo di identità che trae beneficio dalla connessione con l’altro. Contrariamente a quanto pensano i fautori dell’individualismo liberale, la società democratica acuisce il bisogno di identità collettive, la gente ha bisogno di essere parte di qualcosa di più grande: il problema è ridefinire l’identità in modi che sono compatibili con l’apertura all’alterità” (intervista di Mattia Ferraresi, il Foglio 9 novembre 2016)
In tanti decenni di storia repubblicana non si era mai assistito alla variopinta messinscena di una omertosa alleanza trasversale per bloccare un processo riformatore e perpetuare la palude delle lucrose, estese e trasversali rendite di posizione politiche e corporative.
Dall’immediato dopoguerra in poi, non sono mancate le occasioni di aspro conflitto politico tra gli schieramenti in materia legislativa e referendaria nelle quali la contrapposizione ideologica è stata accantonata per convergere in una battaglia ritenuta simbolica ed esemplare: si pensi ai comunisti ed ai postfascisti missini uniti nel ’53 contro la (presunta) legge truffa.
Ma le ragioni di dissenso, polemica e/o condivisione erano ammantate con argomentazioni in cui gli ideali ed i valori democratici, seppur con l’ausilio della retorica, emergevano come la spinta prevalente.
Ciò a cui abbiamo assistito nei mesi di campagna referendaria, invece, è stato uno spettacolo amorale, non solo sorprendente bensì grottesco.

C’è un filo nero che lega ed accomuna i rancorosi propugnatori del NO: fattispecie di vittime e carnefici, entrambe progioniere di un ventennio con-vissuto nella coltivazione di aggressioni reciproche (condensate nella contrapposizione berlusconismo vs antiberlusconismo) ed ora orientate paranoicamente a boicottare il cambio d’aria ad un ambiente costituzionale che la loro ottusità ed il loro opportunismo ha reso irrespirabile.
Primeggiano nel vociare confusamente ed evitare meticolosamente l’analisi attenta e meditata dei testi: magistrati a vocazione manettara abbracciati ai loro “clienti” preferiti, storiche figure sinistre, giornalisti guardoni e violatori della dignità, disinformatori patologici e cicisbei incontinenti, professionisti del gargarismo ideologico rosso-nero, intellettuali leziosi, vanitosi e cognitivamente sterili, giuristi torcicollisti di un passato agitato per ostacolare il rinnovamento del tempo presente, avversari del pragmatismo operoso e sabotatori del riformismo possibile, urlatori disabituati all’uso del ragionamento riflessivo e del confronto.
Tutto li dividerebbe, se non avessero dovuto – sotto le bandierine del NO – condividere e difendere l’eterno presente di piccoli e grandi privilegi, alimentati da quella “meravigliosa macchina” del consociativismo paraistituzionale con cui hanno concorso a stuprare i Bilanci pubblici, a dilapidare le risorse – destinate a salvaguardare il futuro del Paese – attraverso l’uso perverso del “bicameralismo perfetto”, la moltiplicazione dei centri di spesa clientelare finalizzata “nobilmente” per la difesa di un welfare dissipativo e non inclusivo, del federalismo locale-municipale-provinciale-regionale privo di sussidiarieta ed intriso di paraculismo; l’ossessiva limitazione della competizione e della meritocrazia.

Vorrebbero farci credere che sono animati dal nobile sentimento di difendere la verginità della Carta mentre il loro intento sordido è continuare a coltivare il parassitismo intellettuale con il quale mascherare la drammatica realtà di un sistema politico, amministrativo, istituzionale che richiede l’avvio di un processo di efficientamento democratico, proprio a partire da un primo passo che paradigmaticamente rappresenti un messaggio di discontinuità, il segnale che il Paese si attrezza per affrontare le sfide che incombono, che rimuove almeno in parte quella ragnatela di rapporti omertosi tra finti avversari, costantemente impegnati ad allontanare le scelte della responsabilità e dell’innovazione.
L’appuntamento del referendum costituzionale, come è evidente, non è stato un passaggio politico come tutti gli altri, come l’auspicataa spersonalizzazione avrebbe voluto indurre a credere, ma è stato un momento chiave per realizzare alcuni progetti che vanno al di là dell’architettura costituzionale e che sono collegati a una visione politica che parte da lontano (la “grande Riforma” evocata da Craxi, i numerosi tentativi operati con le Commissioni parlamentari, le parziali e controverse Riforme del Centrosinistra e del Centrodestra) e di cui Renzi è solo l’interprete finale, oltretutto con un mandato esecutivo affidatogli dal Presidente Napolitano.
Certo l’appuntamento del 4 dicembre non ha coinciso con un cambio epocale, ma di certo ha rappresentato una tappa fondamentale per rinvigorire la sfida della discontinuità politico-culturale relativamente al mondo del parassitismo istituzionale e burocratico-amministrativo incistato nell’ambito di un impianto costituzionale pensato per frenare la conflittualità ideologico-partitica nel dopoguerra e non (com’è improrogabile oggi) per garantire la leale competizione democratica tra forze legittimate dal consenso dei cittadini a governare con programmi alternativi, discussi, verificati e varati da un Parlamento sintonizzato con l’esigenza di rapidità ed efficacia della legislazione.

Alla luce di tali considerazioni tutti coloro che hanno partecipato a vario titolo alla mobilitazione culturale per le ragioni del SI (il sottoscritto prevalentemente nei corpo a corpo nella giungla del web), in primis il Presidente del Consiglio, debbono ora focalizzare con precisione il volto, il pensiero ed i comportamenti dei compagni di viaggio dell’avventura e degli avversari; per quanto riguarda questi ultimi è fondamentale analizzare le ragioni che ne hanno orientato l’opposizione alla riforma costituzionale perché per molti versi (che sono stati efficacemente indicati in un post pubblicato sulla sua pagina Facebook da Emanuele Macaluso) costituiscono i grumi ideologici di una nuova destra populista, irriducibile ad ogni progettualità riformista condivisa per il bene del Paese.
Per buona parte si tratta di forze abituate a coltivare rendite e tatticismi facendo leva proprio su un sistema istituzionale imperfetto, rigido, tortuoso, macchinoso, burocratico e consociativo.
Ad esse, nell’arcipelago del NO, si sono affiancati i due populismi rappresentati rispettivamente da:
1. Il movimentismo pentastellato, espresso prevalentemente dai front runner nazionali e dalle isteriche prese di posizione di Grillo

2. La composita formazione di Sinistra Italiana, postcomunisti antirenziani, giustizialisti, monnezzari della disinformazione

Bisogna essere rigorosi nella mappatura della nuova geografia politico-elettorale emersa con il Referendum perché nella nuova stagione del cambiamento, la personalizzazione (intesa come diffuso impegno a metterci la faccia) ed il rigore programmatico (supportati dalla reingegnerizzazione del sistema organizzativo e partecipativo) dovranno costituire i capisaldi per il rilancio a tutto campo dell’azione riformista del PD.
Con gli appena superati mille giorni di Governo e l’intensa campagna elettorale abbiamo vissuto il primo tempo di una fase storica segnata da una inedita strategia politica riformista per la quale si sono sprigionate nuove forze, nuove idee progettuali, nuove energie intellettuali, nuovi protagonismi, nuovi entusiasmi.
E’ stata aperta una sfida all’interno di un clima plumbeo, denso di incognite e pericoli per il Sistema Paese, di cui il primo ad avere piena consapevolezza è stato Matteo Renzi, la cui inopinata e sorprendente discesa in campo va interpretata con le parole illuminanti con cui Mario Rodriguez (Unità del 22 ottobre) gli si è rivolto con una lettera aperta “tu sei il frutto della crisi, di uno stato d’eccezione. Hai trovato muri, porte chiuse (a volte sprangate) e le hai buttate giù con l’irruenza imposta proprio da quelle condizioni. Ovviamente ci sono macerie e danni collaterali, esagerazioni e straripamenti che in molti si augurano possano essere contenuti all’indispensabile. Ma la tua irruenza è speculare alle resistenze con le quali si erano e si sono consolidate le resistenze passive”.
Il secondo tempo si apre adesso ed ha per posta in gioco la modernizzazione del Paese, con uno spettro di questioni che, con linguaggio degli anni ’60 possiamo definire strutturali, con difficoltà diventate più chiare nel corso di questi ultimi tre anni, che per essere affrontate (uso ancora le parole di Rodriguez) “ha(nno) bisogno di protagonisti ed è importane che tu dica chiaramente che comunque vadano le cose il tuo impegno ci sarà (a cominciare dal congresso del PD), che ti impegnerai a reclutare una squadra di persone affidabili e competenti, a trovare una forma organizzativa all’altezza dei nostri tempi, perché le esigenze che hanno generato questa particolare congiuntura non sono legate alla tua persona ma vengono di lontano”.
Certo, nel rilanciare l’azione politica, è prioritario liberare il campo dai fraintendimenti, dalle bassezze morali, dalle manovre che, all’interno del Partito, la congiuntura referendaria ha “liberato” per quell’insana ed autolesionistica tentazione che parte della minoranza ha coltivato, volendo cogliere l’occasione del consistente movimento antirenziano cresciuto nel Paese per disarcionare il Segretario, illudendosi di prendersi una rivincita giocando sporco di sponda con gli avversari (chi in modo subdolo e squallido – aggettivo di Massimo Cacciari rivolto a D’Alema, chi per una lettura superficiale e/o strumentale dello scenario politico).

Un anno spartiacque

Comunque la si valuti, l’esperienza di questo 2016 ci ha consentito di comprendere meglio i tre nodi fondamentali la cui persistenza rende vischiosa l’uscita dell’Italia dalla situazione di gallegggiamento:

a) la complessità e profondità degli ostacoli con cui il Progetto di Riforma Costituzionale si è dovuto misurare, ovvero la crisi politica sistemica, così come è stato ben evidenziato in due sintestiche e pregnanti analisi di

– Michele Salvati – La mallattia profonda del nostro sistema politico – Corriere della sera 8 novembre 2016

– Sergio Fabbrini – Se le riforme non sono né di destra né di sinistra – Il Sole 24 Ore – 19 giugno 2016

e nell’orientamento espresso dalla Banca d’Italia per voce del suo Governatore Ignazio Visco:
“Io non so quanto inciderà l’esito del referendum. Nel mondo, è opinione diffusa che la vittoria del No potrebbe essere un problema. Io penso e lo dico agli interlocutori esteri con i quali parlo ogni giorno, che potrà esserci un po’ di tensione, maaggiungo anche che bisognerà andare oltre la tensione perché le riforme istituzionali vanno fatte in ogni caso” (la Repubblica, 14 novembre 2016)

b) L’agenda dei ritardi sul versante delle Politiche per lo sviluppo economico: rilancio dell’attività manifatturiera, infrastrutture, difesa del territorio, rigenerazione urbana, crisi del sistema creditizio…
Sotto i fendenti della competizione globale sempre più densa di sfide ed opportunità, sotto l’incalzare di calamità naturali che costiuiscono – però – eventi “ordinari” nel contesto idrogeologico del Paese, sotto la pressione di una diffusa domanda di riqualificazione infrastrutturale, ambientale ed urbana, è risultato evidente come la più recente fase di governabilità dei tecnici se ha avviato con determinazione il rigore dei conti pubblici, ha clamorosamente sottovalutato le conseguenze sociali ed economiche della penuria di investimenti pubblici, oltre che la necessità di operare dei provvedimenti di equità sociale sul terreno previdenziale e del contrasto alle nuove povertà.
Ecco perché, oltre che ai numerosi provvedimenti che hanno qualificato l’attività legislativa (e di cui Matteo Renzi si dichiara giustamente orgoglioso: Unioni civili, Dopo di noi, Terzo Settore….), è il caso di sottolineare come in almeno un paio di Provvedimenti, sono state adottate delle scelte strategiche ireversibili e che resteranno doverosamente al centro dell’azione dei Governi prossimi e venturi per alcuni decenni:
– Progetto Casa Italia

– Legge Manifattura 4.0

c) Sul piano macro-economico-finanziario poi si è riusciti ad impostare un’azione di risanamento, correlandolo al riposizionamento dell’Italia nello scacchiere delle relazioni con l’Europa, attraverso il superamento dell’attegladri-di-futuroladri-di-futurogiamento subalterno-remissivo che aveva caratterizzato la precedente legislatura ed operando per un cambio dell’Agenda politica europea centrata sull’obiettivo di “Far uscire l’Europa dalla routine di Bruxelles”, ovvero di avviare un processo di rigore coniugato con politiche espansive.

Più Italia in Europa, più Europa in Italia

L’ostinazione e la determinazione con cui il tandem Renzi-Padoan ha tallonato i vertici europei ha aperto una nuova prospettiva, non solo per affrontare le emergenze provocate dalle questioni profughi e terremoti , ma anche per la negoziazione dei margini operativi di Finanza pubblica generale. Nei giorni scorsi la Commissione europea ha dato le sue prime valutazioni sui Documenti Programmatici di bilancio dei Paesi dell’Eurozona e ha rilasciato una Comunicazione «Towards a positive fiscal stance for the euro area» nella quale si prefigura un’impostazione di bilancio più favorevole alla crescita della Uem.
Si tratta dei primi segnali di inversione di rotta incoragggianti, ma non sufficienti ad affrontare un 2017 molto difficile per l’Europa che dovrebbe anche procedere nella parziale attuazione del “Progetto dei 5 Presidenti” per la più stretta Unione economica e monetaria da anni è in discussione.
Infatti l’Europa del 2017 si troverà di fronte a due scenari molto complessi con riferimento ai quali le Istituzioni comunitarie dovranno prepararsi con razionalità ed un’inedita capacità di iniziativa.
a) Il primo è l’arrivo inatteso di Donald Trump alla Presidenza degli Usa che ha monopolizzato in modo disordinato nei giorni scorsi l’attenzione delle Istituzioni europee e di alcuni capi di stato o di governo dei Paesi membri. Il problema è ineludibile perché il neo-presidente Usa ha nel suo programma scelte di politica internazionale ed in particolare di rinegoziazione dei rapporti bilaterali e nell’ambito NATO, che avranno sicuramente conseguenze di notevole rilievo per la Ue e la Uem.

b) Il secondo problema che fa diventare il 2017 un anno non di routine per le Istituzioni europee sono le elezioni politiche in Francia, Germania e Olanda. Difficile quindi che la leadership di Angela Merkel si possa esercitare anche con la sua capacità di mediazione che le va riconosciuta.

Il “pilastro” della politica europea del 2017 dovrebbe essere quindi la Commissione che dura in carica fino al 31 ottobre del 2019 e che, almeno pro tempore, potrebbe avere un ruolo più incisivo. Risulta evidente quindi come le sollecitazioni del nostro Governo (che potranno trovare una particolare cassa di risonanza in occasione del 70° dell’Unione che si clebrerà a Roma) possono influire per il potenziamento della sua iniziativa politico-istituzionale e socio-economica intese ad adottare misure per contenere sia il crescente anti-europeismo, sia la bassa crescita, sia le crepe che intaccano la solidarietà tra Stati della Ue e della Uem.
Tali misure, che sono decisamente importanti per la politica economica italiana, sono in particolare tre:
1. La prima riguarda gli investimenti per la crescita e l’occupazione, soprattutto giovanile anche con il raddoppio del Piano Juncker per arrivare a 650 miliardi in sei anni. La direzione è giusta anche se, come è sempre stato osservato, il Piano è troppo macchinoso e andrebbe semplificato anche con la emissione di eurounionbond.

2. La seconda riguarda i movimenti migratori. Con il lancio di un piano di investimenti con un potenziale tra i 40 e i 90 miliardi per l’Africa e il vicinato sud dell’Europa si vuole contribuire allo sviluppo e a frenare le migrazioni. A questo si affianca l’impegno a potenziare la guardia costiera europea e le collaborazioni europee per coniugare accoglienza e sicurezza.

3. La terza riguarda un apparato di difesa europea con riferimento al quale si propone un fondo europeo per un’industria innovativa e si ricorda che il Trattato di Lisbona consente agli Stati membri di mettere in comune gli apparati di difesa.

Il PD prossimo venturo

L’abbozzo di analisi e le considerazioni fin qui formulate, trovano un loro fondamento anche nella condivisione della strategia con cui la leadership renziana ha impresso un’accelerazione operativa all’azione di governo ed una qualità “sentimentale” alla guida del Partito (nel senso della riscoperta delle emozioni e motivazioni con cui esso è sorto, a partire dal recupero della matrice culturale dell’Ulivo).
Debbo altresì segnalare che la vicenda della campagna referendaria, se da un lato ha confermato il carattere non estemporaneo dell’affermazione di Matteo Renzi nel Partito Democratico, ha dall’altro evidenziato– in controluce – i limiti strutturali e le contraddizioni di una formazione politica che si è candidata ad interpretare un ruolo decisivo (anche se non esclusivo) per traghettare il Paese verso una stagione di rigenerazione istituzionale e prosperità economica.
Si tratta di carenze e disfunzionlità che costituiscono il portato delle ambiguità con cui una parte della nomenclatura del Partito ha perpetuato un ruolo ed una rappresentanza non sottoposti a criteri di valutazione qualitativa da parte degli iscritti e degli elettori, con il risultato che si è creato un cortocircuito – penalizzante per il consenso – tra una linea riformista innovativa promossa dalla leadership nazionale e dalle attive compagini parlamentari (a cui rivolgo sommessamente un plauso riconoscente per il lavoro difficile svolto in condizioni di “cattivo vicinato” e subita aggressività) e l’audience di un popolo democratico favorevole, ma scarsamento coinvolto nei necessari processi di discussione, riflessione, mobilitazione.
Ho avuto modo di focalizzare alcune incongruenze dell’Organizzazione PD in riferimento alla discussione intorno al Congresso regionale veneto:

Salviamo il soldato Roger (e rigeneriamo il PD veneto)

Reimpaginare la comunicazione


Sui temi e dilemmi affrontati in quegli interventi mi propongo di ritornare con approfondimenti correlati ed attualizzati all’imminente scadenza congressuale regionale.
Ma in conclusione del discorso sulla prospettiva postreferendaria desidero aggiungere alcune annotazioni e titoli di ragionamenti che rientrano in una riflessione sulla natura, la cultura, la struttura ed i compiti del Partito Democratico prossimo venturo.
Li trascrivo in modo sciolto e senza pretese, ma con l’impegno di sviluppare compiutamente l’analisi e la proposta che sono enucleate nelle note seguenti.

1. La situazione emergenziale del Paese e lo schiacciamento del Partito nella sua funzione di architrave nel Governo hanno sacrificato e penalizzato fortemente la riflessione sui cruciali nodi della contemporaneità politica, con particolare riferimento alla trasformazione sociale indotta dalla crisi economico-finanziaria ed ai nuovi compiti della sinistra a livello nazionale ed europeo. Temi che sono emersi prepotentemente con la vicenda Brexit (che ha messo in luce la debolezza e contradditorietà della leadership Corbyn) le elezioni americane (che hanno evidenziato l’opacità organizzativa del Partito Democratico ed il vuoto di leadership postObama), il declino generalizzato dei Partiti Socialisti in Europa.

Su tale grumo di temi e dilemmi, un contributo stimolante è venuto dall’ultimo libro di Goffredo Bettini la cui utilità è grande almeno per un paio di ragioni: a) partendo dal punto di osservazione di un autentico ex comunista, indaga le cause della sconfitta culturale prima che politica di quella parte di nomenclatura piddina proveniente dagli apparati PCI-PDS-DS che non è stata in grado di comprendere il “vettore rinnovamento” intepretato da Renzi ed ha finito per estraniarsi a qualsiasi processo di innovazione politico-riformista; b) dall’attuale scranno di Parlamentare europeo è nelle condizione di analizzare le vicissitudini e gli interrogativi nei quali è immersa una sinistra che deve misurarsi con le difficoltà del processo di integrazione europea, a sua volta interrogata severamente da una globalizzazione senza sconti.

Per una sintetica presentazione del libro vedasi l’intervista a Bettini: «Una via per la sinistra tra governismo e vecchie ricette» – l’Unità 27 Maggio 2016l

Sono in ogni caso diversi i contributi e gli spunti teorici che nel corso del 2016 hanno posto all’attenzione della dirigenza piddina l’esigenza di allargare lo sguardo sullo spettro dei problemi riguardanti una nuova progettualità politica:

– I numerosi interventi di Mauro Calise sul modello di partito: “La rivoluzione dei sindaci ha vinto. Renzi incarna quel modello” – L’Unità 27 Febbraio 2016

– Tra le diverse interviste di Arturo Parisi sul legame tra Ulivo e PD, segnalo in particolare: “Il nostro Ulivo nato per unire e Renzi è figlio di quella stagione” – L’Unità 22 Aprile 2016

– E poi la costante sollecitazione di Gianni Cuperlo nei confronti diretti dello stesso Renzi e dell’intera dirigenza nazionale per assumere la consapevolezza delle sfide che i sistemi democratici, investiti dalla crisi economica e sociale, stanno attraversando; vedi in particolare “La sinistra vive nella lotta alle disuguaglianze , non nel recinto del Sì o del No” – L’Unità 13 novembre 2016

– Una presenza sobria, non “ingombrante” sul piano politico, ma incisiva per i contenuti, i suggerimenti e le valutazioni sui maggiori temi dell’agenda politica è stata quella di Walter Veltroni, in particolare con gli editoriali domenicali sull’Unità

– Una novità davvero significativa è sicuramente quella che possiamo definire una “svolta” per il giornale la Repubblica (20 novembre) con l’ex Direttore Ezio Mauro che si è intestato un’importante inchiesta titolata “Dov’è la sinistra?” che rappresenta una sorta di mappatura del disagio sociale e del territorio che interrogano e richiedono un nuovo modello di Partito e di rappresentanza
(La nostra inchiesta parte da Torino, dal tram numero 3 che taglia e ricuce due città: quella del salotto e quella dei nuovi esclusi. Sono loro che hanno gonfiato il vento dei grillini)

In questa minirassegna dei suggerimenti e delle piste di ricerca per una nuova visione e progettualità politico-culturale che dovrà ispirare il Partito in quello che ho definito il “secondo tempo”, una lettura che consiglio vivamente è il libro di Claudio Cerasa, giovane Direttore de il Foglio: Le catene della sinistra. Non solo Renzi, Lobby, Interessi, Azionisti occulti di un ptere immobile.
Pubblicato nel maggio del 2014 dice quasi tutto dei guai, del malessere e delle incomprensioni che una parte della minoranza avrebbe introdotto nell’agenda del Partito, con maldestre operazioni di disturbo che hanno sicuramente intaccato la legittimità e l’efficacia della battaglia referendaria.

2. Contestualmente al ripensamento sul piano dell’identità valoriale e della mission, la seconda grande questione, strettamente connessa, è quella del riposizionamento sociale, del radicamento organizzativo nel territorio e delle forme organizzative con cui dare rappresentanza ed espressività ad un nuovo rapporto con i ceti sociali maggiormente sofferenti e trascurati nella comunicazione e nel coinvolgimento diretto quando si è trattato di varare impoortanti Provvedimenti in particolare sulle grandi Riforme della Scuola e del Mercato del lavoro.

Qui è bene precisare, però, che le difficoltà di dialogo con i lavoratori, i cittadini e gli elettori sono stati causati dalla lettura distorcente della strategia e dei programmi del Partito, operata dalle componenti interne, poi fuoriuscite, del tutte estranee alla cultura riformista ed abbarbicate a vetuste concezioni ideologico-corporative e pertanto non in grado nemmeno di illustrare e divulgare correttamente molti dei contenuti socialmente innovativi ed equitativi varati dal Governo.

D’altronde in alcuni degli esponenti più assetati di visibilità e distinzione dalle scelte discusse nella Direzione nazionale, sono emerse delle caratteristiche di vacuità, fighetteria, inconcludenza, che in futuro dovranno essere seriamente escluse dai profili di una nuova classe dirigente, che va cercata e selezionata nell’ambito del mondo del lavoro, dei ceti produttivi e professionali che esprimono una solida cultura della responsabilità, una forte propensione all’innovazione, un’esperienza concreta delle pratiche di solidarietà ed inclusione sociale.

3. Il nuovo radicamento organizzativo può trovare alimento e sostegno non solo con il rinnovamento della funzione dei Circoli, ma anche potenziando e qualificando i canali di comunicazione, relazione, interazione con i soggetti, le associazioni ed i centri produttori di ricerca e cultura, con i molteplici protagonisti della rivoluzione digitale, con le esperienza di partecipazione e cittadinanza attiva, portatrici di un nuovo sentiment democratico, non piu ingabbiabile nei modelli burocratici e gerarchici della tradizionale forma-partito (compresa quella generosamente, ma illuministicamente immaginata da Fabrizio Barca)

4. Tale nuovo respiro consentirà di avviare la rigenerazione da interpretare e praticare anche come metodologia per disintermediare i processi della vita interna e dare vita ad una stagione di incentivazione della militanza generosa e gratuita, dell’affermazione di leadership prestigiose e transitorie, della rotazione degli incarichi: insomma di un diffuso coinvolgimento di iscritti e militanti che costituisca un deterrente per il formarsi di incrostazioni organizzative, di zone non trasparenti per i processi di decisione politica e selezione dei gruppi dirigenti.

5. Tutto ciò potrà determinare un nuovo flusso di adesioni ed una rivitalizzazione del dibattito interno che consentirà di superare i residui di pratiche di consenso e potere connaturate al costume dei vecchi partiti di provenienza, a logiche di clan, a subculture politiche che trasudano di “centralismo democratico” (che trova ancora delle espressioni persino patetiche nei vertici – sottolineo vertici – di Organizzazioni come la CGIL e come l’ANPI il cui Presidente – Avv. Carlo Smuraglia – è riuscito a rinverdire con la “direttiva sulla linea del NO” lo spirito dello stalinismo:
“… è lecito chiedere, pretendere, comportamenti che non danneggino l’Anpi e che cerchino di conciliare le decisioni con la libertà di opinione. Facciamo degli esempi. Si può ufficialmente e con delibere formali (anche congressuali) rifiutare di aderire ai Comitati per il No al referendum? A nostro parere, no, non si può. E si può costituire e aderire a un Comitato per il Sì? A nostro parere non si può. E non si può per motivi politici, per rispetto dell’Associazione e per rispetto delle direttive degli organismi dirigenti. Ma allora, si dirà, a che serve il pluralismo?”.

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