Ladri di futuro, non ci farete prigionieri del vostro omertoso passato

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Ladri di fututo bambinoC’è un filo nero che lega ed accomuna i rancorosi propugnatori del NO: fattispecie di vittime e carnefici, entrambe progioniere di un ventennio con-vissuto nella coltivazione di aggressioni reciproche ed ora orientate paranoicamente a boicottare il cambio d’aria ad un ambiente costituzionale che la loro stolidità ed il loro opportunismo ha reso irrespirabile.

Primeggiano nel vociare confusamente ed evitare meticolosamente l’analisi attenta e meditata dei testi: magistrati a vocazione manettara abbracciati ai loro “clienti” preferiti, storiche figure sinistre, giornalisti guardoni e violatori della dignità, disinformatori patologici e cicisbei incontinenti, professionisti del gargarismo ideologico rosso-nero, intellettuali leziosi cognitivamente sterili, giuristi torcicollisti di un passato agitato per ostacolare il rinnovamento del tempo presente, avversari del pragmatismo operoso e sabotatori del riformismo possibile, urlatori disabituati all’uso del ragionamento riflessivo e del confronto.

Tutto li dividerebbe, se non dovessero – sotto le bandierine del NO – condividere e difendere l’eterno presente di piccoli e grandi privilegi, alimentati da quella “meravigliosa macchina” del consociativismo paraistituzionale con cui hanno concorso a stuprare i Bilanci pubblici, a dilapidare le risorse – destinate a salvaguardare il futuro del Paese – attraverso l’uso perverso del “bicameralismo perfetto”, la moltiplicazione dei centri di spesa clientelare finalizzata “nobilmente” per la difesa del welfare, del federalismo locale-municipale-provinciale-regionale e del paraculismo; l’ossessiva limitazione della competizione e della meritocrazia.

Vorrebbero farci credere che sono animati dal nobile sentimento di difendere la verginità della Carta mentre il loro intento sordido è continuare a coltivare il parassitismo intellettuale con il quale mascherare la drammatica realtà di un sistema politico, amministrativo, istituzionale che richiede l’avvio di un processo di efficientamento democratico, proprio a partire da un primo passo che paradigmaticamente rappresenti un messaggio di discontinuità, il segnale che il Paese si attrezza per affrontare le sfide che incombono, che rimuove almeno in parte quella ragnatela di rapporti omertosi tra finti avversari, costantemente impegnati ad allontanare le scelte della responsabilità e dell’innovazione.

 

 

 

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