L’advertising intelligente

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La pubblicità arriverà a «parlare» con l’utente sulla base dei suoi gusti

Alessio Jacona

NOVA24 21 Maggio 2017 Il Sole 24 Ore domenica

Mentre cammina in strada, Chris Anderton incrocia cartelloni pubblicitari animati e interattivi: gli si rivolgono chiamandolo per nome, presentando offerte basate sui suoi gusti e necessità. Siamo nel 2002: quando Tom Cruise arriva al cinema come protagonista di Minority Report, l’idea di un “personal advertising” che si adatti al potenziale cliente in tempo reale ovunque si trovi è – per l’appunto – semplice fantascienza.
Oggi le cose stanno diversamente: grazie alla rete, alle tecnologie che essa porta in dote e a un uso crescente di intelligenze artificiali sempre più capaci, il futuro dell’advertising immaginato da Philp K.Dick (peraltro nel lontano 1991) appare non solo possibile, ma anzi prossimo e ormai inevitabile.
«Grazie all’uso estensivo dell’intelligenza artificiale (Ia), e in particolare del machine learning, presto i brand potranno disporre di milioni di personalizzazioni per ogni singolo video pubblicitario», spiega Emi Gal, Ceo di Teads Studio, divisione specializzata in video advertising interattivo dell’omonima multinazionale francese. «L’Ia si appresta a rivoluzionare del tutto il modo in cui le aziende creano, applicano e misurano le loro strategie di marketing, riducendo in maniera drastica anche i tempi di reazione ed esecuzione», gli fa eco Hugo Pinto, Innovation officer Coc di Ibm. Entrambi erano a Roma per partecipare al Festival of Global Media 2017, la conferenza internazionale dedicata al mondo dei media.
Originario di Bucarest, laureato in ingegneria informatica, Gal è uno startupper che ce l’ha fatta: trasferitosi a Londra a soli 22 anni, prima ha fondato Brainient, azienda innovativa la cui tecnologia rende interattivi i video pubblicitari; poi, sei mesi fa, la sua impresa è stata comprata da Teads (a sua volta acquisita dal colosso olandese delle telecomunicazioni Altice per 285 milioni di euro), che lo ha messo a capo dello sviluppo dei nuovi formati interattivi.
«Il video advertising che vediamo distribuire oggi online è di qualità sempre più alta e, soprattutto molto più “misurabile” che non in passato», sostiene. Il problema è che i format e soprattutto i criteri di distribuzione dei messaggi pubblicitari sono tutto sommato gli stessi da decenni: quelli dettati da caratteristiche e limiti della televisione tradizionale.
Certo, è giusto ricordare che già da un po’ «gli algoritmi e le loro “decisioni” sono fondamentali in settori specifici, come ad esempio il programmatic advertising, dove la compravendita degli spazi pubblicitari online avviene in maniera automatizzata». Ma non è che la punta dell’iceberg di una rivoluzione appena iniziata e che cambierà l’intero settore. Secondo Gal, infatti, «il futuro dell’online video advertising passa per “l’interattività 2.0” e la “conversazione”», rese possibili da uno sfruttamento intensivo dell’Ia e dei big data, e forti di un sistema di distribuzione automatizzato dei video, che ottimizza i contenuti per lo schermo di ogni device mobile.
Facciamo un esempio: oggi per veicolare un messaggio pubblicitario si crea un singolo video, spesso obbedendo a canoni tipicamente televisivi, e ci si preoccupa di distribuirlo nel miglior modo possibile. Nel prossimo futuro anticipato da Emi Gal, chi dovrà produrre un video lo realizzerà «in 5mila pezzi diversi, come fosse un puzzle, che poi sarà un’intelligenza artificiale ad assemblare in tempo reale dopo aver analizzato enormi quantità di dati, creando tanti messaggi diversi e personalizzati quanti sono coloro che vedono il video». Non solo, ma il video sarà anche in grado di “parlare” con l’utente «attraverso chatbot sempre più simili agli umani e capaci di fornire informazioni utili».
In parte ciò avviene già ora: Teads ha già una piattaforma software che adatta automaticamente i video per i device mobili e, proprio in occasione del Festival of Media, ha lanciato il primo chatbot al mondo integrato in un video advertising. «Per il resto, è solo questione di tempo», aggiunge Emi Gal.
Neanche troppo, se si prendono in considerazione le funzionalità di “Lucy”, il tool presentato da Ibm al Festival of Global Media in anteprima europea e basato sull’intelligenza artificiale chiamata Watson. Quella, per intenderci, che ha già fatto parlare di sé per essere capace di apprendere analizzando i big data e, per esempio, formulare diagnosi mediche straordinariamente precise.
Come ha spiegato Hugo Pinto, Lucy nasce come strumento di supporto al venditore in ogni aspetto del suo lavoro, è in grado di svolgere in pochi minuti i compiti che un team di marketing svolgerebbe in mesi e di supportarlo nelle scelte relative a ogni aspetto del vendita, dallo sviluppo del prodotto all’individuazione dei segmenti di vendita, dal media planning allo sviluppo delle strategie di marketing.
Come detto, Lucy trae la sua intelligenza dalla piattaforma Watson, mentre prende le informazioni di cui ha bisogno da diversi database online e dai principali social come Facebook e Twitter. E il bello è che può essere utilizzata semplicemente parlandole, perché è in grado di comprendere il linguaggio naturale e di rispondere in tempo reale alle domande dei professionisti del marketing.
Almeno finché non li sostituirà del tutto.

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