Benvenuti nell’era dell’iperstoria
La scrittura segnò il passaggio dalla preistoria alla storia. Le tecnologie digitali aprono una nuova epoca: elaborano informazioni meglio di noi e determinano ciò che avviene e come lo percepiamo. Ecco perché per l’umanità questa è la “quarta rivoluzione”
Testo di Luciano Floridi – la Repubblica – 27.8.17
Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione stanno cambiando la concezione che abbiamo di noi stessi. Siamo nel bel mezzo di una quarta rivoluzione, non meno profonda e radicale di quelle a suo tempo avviate da Copernico, Darwin e Freud. In seguito alla rivoluzione copernicana, la cosmologia eliocentrica tolse alla Terra e all’uomo il privilegio che li collocava al centro dell’universo. La rivoluzione darwiniana mise in luce come tutte le specie viventi si siano evolute nel tempo da progenitori comuni attraverso la selezione naturale, mettendo così in discussione la centralità dell’uomo nel regno biologico. Grazie a Sigmund Freud, ora possiamo riconoscere che la mente è fatta anche di inconscio. A ben vedere, non siamo nemmeno più al centro della nostra stessa vita mentale. Oggi la scienza informatica e le tecnologie digitali sono gli agenti di una quarta rivoluzione, che ancora una volta modifica radicalmente il nostro modo di concepire chi siamo e la nostra presunzione di “eccezionale centralità”. Cominciamo a renderci conto di non essere più al centro dell’infosfera. Le nuove tecnologie digitali gestiscono le informazioni come o meglio di noi, stanno sempre più determinando quello che avviene di giorno in giorno, cioè gli eventi storici; determinano come ricordiamo e raccontiamo quanto avviene, cioè la narrazione degli eventi; e quindi cambiano il concetto stesso di storia. È un intreccio molto importante, ma che può confondere.
Per orientarci, facciamo un passo indietro, partendo da una distinzione fondamentale. C’è il tempo della fisica. È quantificabile con precisione. Può essere reversibile, un po’ come versare acqua in un bicchiere e poi svuotarlo; non come fare una frittata con le uova. E non scorre nello spazio, come un fiume, ma è impastato con lo spazio, come quarta dimensione, in un continuo che si curva, in presenza di masse o energia, come un cuscino su cui poggiamo un peso. C’è poi il tempo della vita, o temporalità. Essa scorre irreversibilmente e ben separata dallo spazio. La storia si occupa di temporalità, che articola in eventi: l’elezione del nuovo sindaco; una breve vacanza; una festa riuscita bene; una corsa estenuante. Gli eventi costituiscono la nostra storia: individuale, familiare, sociale, o globale, come specie su questo pianeta. Ma le nuove tecnologie dell’informazione e comunicazione ( ICT) oggi influenzano sempre di più questa nostra temporalità, trasformando il modo in cui impariamo, comunichiamo, lavoriamo e interagiamo, come socializziamo, come ci divertiamo, come giochiamo e come ci curiamo. La lista si allunga ogni giorno. Un sempre maggior numero di eventi della nostra temporalità è digitale, o è mescolato con il digitale – come nei selfie, cioè nell’esperienza dell’esperienza – o a volte non è, perché non è digitale. Il nuovo sindaco ha fatto una campagna elettorale online; la breve vacanza l’abbiamo passata anche su Facebook; la musica della festa era stata scaricata da iTunes; la corsa ha consumato esattamente 856 calorie. È la vita “ onlife”, fatta di eventi in cui il digitale è un ingrediente inevitabile e a volte fondamentale.
Raccontiamo la nostra temporalità mettendola in ordine sequenziale e significativo. Questa è la storia intesa come narrazione di eventi. Non mera cronologia ma “temporalogia”, per usare un neologismo. Ricordiamo e dimentichiamo, spieghiamo e re- interpretiamo, diamo senso e raccontiamo con storie ripetute, celebrazioni, e ricorrenze. È una consecutio non sempre obiettiva. Ferragosto non è più la festa di Augusto ( Feriae Augusti), o una festa fascista, ma la festa religiosa dell’Assunzione di Maria. Quando si dice che la storia la scrivono i vincitori è di questo tipo di temporalogia che si sta parlando. E anche qui le ICT giocano un ruolo ormai cruciale, da vincitore appunto, non fosse altro perché la testimonianza è sempre più affidata a supporti digitali: fotografie, testi, registrazioni visive e foniche. Non senza rischi, perché il digitale è fragile. Una tecnologia diventa desueta, e con i floppy disk ci gioco a frisbee. Un virus o un banale errore di formattazione cancella l’hard disk, e addio alle foto di famiglia. Uno sbalzo di corrente frigge il computer, e la corrispondenza con mia moglie sparisce. E poi tutto si può riscrivere, in un costante presente, si pensi a un sito web, con una reversibilità della narrazione storica da fare invidia al bicchiere d’acqua di cui sopra. In pochi anni, siamo passati da una cultura millenaria della registrazione – che cosa salvare “a futura memoria” – a una cultura della riscrittura e cancellazione – che cosa rimuovere o editare “ a futuro oblio” – che dobbiamo ancora capire, mentre per loro natura i dati digitali si accumulano, come la polvere in casa: si pensi alla musica o alle foto nel cellulare. Il dibattito sul diritto all’oblio e sulla cancellazione, o perlomeno la sedimentazione, del nostro passato sarebbe inconcepibile senza la digitalizzazione della nostra storia.
Arriviamo così al concetto di storia, non come evento o narrazione, ma come ricordo trascritto. In questo senso, si parla di fine della preistoria e inizio della storia quando una società scopre il modo di registrare il presente per usi futuri, inventando la scrittura. Perciò la preistoria ha iniziato il suo declino circa seimila anni fa (almeno secondo alcuni studiosi: il dibattito è ancora aperto), con la comparsa della scrittura in Mesopotamia e in Cina. È una delle invenzioni più importanti nell’evoluzione umana. Nel quinto secolo a.C., a circa metà strada tra noi e la scrittura cuneiforme, Platone ne discuteva ancora animatamente, preferendo la memoria viva a quella scritta. Un po’ come se un grande filosofo si lamentasse dell’invenzione del computer tra 2.500 anni.
La scrittura, e quindi l’inizio della storia come documentazione, è stata motore di sviluppo individuale e sociale. La scrittura permette di fissare il censo di una regione, stilare un contratto, indicare le tasse o le leggi di un paese, o descrivere come costruire un meccanismo. Nei secoli, questa connessione tra sviluppo umano e documentazione si è fatta via via sempre più stretta. Non a caso i grandi imperi sono anche stati ottimi gestori delle ICT del loro tempo. Il secondo momento significativo è arrivato con l’invenzione della stampa, che unisce la registrazione delle informazioni con la loro accessibilità e trasmissione di massa. Ma oggi le nuove tecnologie digitali stanno provocando una terza trasformazione altrettanto radicale, aggiungendo l’elaborazione automatica delle informazioni alla loro registrazione e trasmissione. Ormai le società avanzate vivono e prosperano solo grazie alle strutture digitali che le sostengono. In passato era già difficile immaginare un mondo senza alfabeto o senza libri. Oggi è impossibile concepirlo senza digitale, basti pensare ai mercati finanziari, ai trasporti, o a buona parte del lavoro in ufficio. Quella che è stata per millenni una connessione tra sviluppo e ICT è diventata una dipendenza. È per questo che le nostre società rischiano cyber attacchi. Le ICT sono passate da motore di sviluppo a condizione necessaria di supporto delle nostre vite. E così la storia è diventata ancora “più storica” della storia stessa: siamo passati dalla storia all’iperstoria.
È una transizione incomparabilmente più rapida della precedente. E l’impatto di una simile trasformazione epocale è immenso. C’è un enorme bisogno di vederci chiaro, di porre le domande giuste, e di trovare le risposte migliori alle nuove sfide, anche politiche, poste dall’iperstoria. Ogni rivoluzione storica è stata accompagnata e in parte guidata da una rivoluzione concettuale. In altre parole, ogni epoca ha la sua filosofia, che la interpreta e la guida. Oggi è chiaro che, più viviamo iperstoricamente, in simbiosi con il digitale e le sue ICT, più la filosofia di cui abbiamo bisogno deve occuparsi del fenomeno dell’informazione. È per questo che la filosofia del nostro tempo per il nostro tempo è la filosofia dell’informazione. Elaborarla non sarà facile, ma è possibile, e soprattutto necessario, se vogliamo creare un’iperstoria migliore della storia che ci ha preceduto.