C’è una lunga schiera di con-cittadini veneti (opinionisti, sondaggisti, professori…) a cui consiglierei amichevolmente qualche anno sabatico, con astinenza da dichiarazioni, interviste, articolesse e prese di posizione sulle vicende che hanno reso di pubblico dominio la rete politico-affaristica impegnata a gestire in modo fraudolento la (giusta) domanda di opere pubbliche ed infrastrutture che la Regione Veneto manifesta da diversi lustri, relativamente a mobilità, sicurezza del territorio, sanità, ambiente, ecc.. Farei loro notare che l’iniziativa della magistratura nel connotare tali vicende come penalmente rilevanti, vi ha coinvolto diverse decine di protagonisti della vita pubblica inestricabilmente ad essi (con-cittadini) collegati – con diversi gradi di parentela e/o frequentazione – e quindi un po’ di cautela e discrezione non guasterebbe. Ma soprattutto sottolineerei il quadro accusatorio che emerge dalla documentazione dei pm veneziani: se da un lato presenta indiscutibilmente dei pesanti aspetti di colpevolezza personale, dall’altro evidenzia il collasso di un ceto (a cui appartengono le comari a cui mi sto rivolgendo) dimostratosi del tutto subalterno in termini culturali, professionali, progettuali ad alcune ben identificate lobbies che sono state in grado di surrogare – attraverso expertise e tecnicalità usate in modo spregiudicato – le funzioni politico-amministrative ed istituzionali strategiche della governance e del controllo dello sviluppo regionale. Nell’ultimo ventennio nelle stanze e nei corridoi di Palazzo Balbi e Palazzo Ferro-Fini, si è formata una vera e propria corte a cui hanno avuto accesso, con prebende e riconoscimenti: politologi e ricercatori comprensivi nei confronti della “leadership”, consulenti ed “esperti” con poca scienza ed ancor meno coscienza, giornalisti burloni e miopi, avvocati e giuristi sempre pronti alle disquisizioni bizantine sul “sesso del federalismo”, una pletora di dirigenti che hanno osservato e subito (quando non collusi) lo scasso delle risorse pubbliche realizzato con i trucchi del project financing. Tale fenomenologia ha potuto manifestarsi nel contesto di un progressivo degradarsi della qualità soggettiva di una rappresentanza politica priva di una seria preparazione a gestire la cosa pubblica ed affrontare i processi della necessaria ristrutturazione funzionale di un Ente bisognoso di una profonda innovazione burocratica ed organizzativa, la cui inadeguatezza è stata mascherata con la retorica federalista ed ha costituito il lasciapassare per la cessione di sovranità a tecnostrutture esterne. Ci sono aspetti tragicomici nella storia recente della nostra Regione che neanche il miglior Pirandello saprebbe rappresentare: si pensi solo che di fronte alla evidente e conclamata esigenza di rigenerazione etica e sostituzione dell’intero “corpo politico regionale”, nel Consiglio Regionale si sta discutendo di referendum per l’indipendenza! Si pensi ancora che nel momento in cui la sfida dell’innovazione tecnologica e della rivoluzione digitale, attraversa le nostre imprese impegnate nell’internazionalizzazione, c’è in giro qualche buontempone che vorrebbe sottrarci lo scudo dell’euro. Tali sceneggiature debbono essere spazzate via da un processo rinnovatore che sia sospinto da un’indispensabile rottura generazionale e programmatica i cui fondamenti siano da un lato la trasparenza dei processi decisionali ed il coinvolgimento dei cittadini, dall’altro l’immissione nel sistema politico-amministrativo ed istituzionale dei fattori vincenti sperimentati dalle nostre migliori imprese: efficienza, meritocrazia, accountability, competizione come stimolo per crescere. Nelle recenti elezioni amministrative locali i segnali positivi e trasversali, in tale direzione, sono stati incoraggianti: si tratta di irrobustirli e sostenerli lanciando da subito una diffusa riflessività sul #venetochevogliamo.