Cognetti, il vincitore dello Strega con “Le otto montagne”

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La rivalità con la seconda classificata, l’ecologismo anarchico, l’editoria e il look. Il vincitore si racconta
RAFFAELLA DE SANTIS – Repubblica CULTURA – 8‎/‎07‎/‎2017
Dice di aver dormito bene, un sonno profondo. Ma poi quando stamattina si è svegliato e ha realizzato che ieri aveva vinto il Premio Strega ha guardato Federica, la sua fidanzata, ed è corso alla stazione per prendere un treno e andarsene a festeggiare con gli amici nelle sue montagne, in Val D’Aosta: «Facciamo una breve sosta a Milano e poi via». Paolo Cognetti si confonde tra i turisti della stazione Termini: sandali tecnici ai piedi, una t-shirt e calzoni corti al ginocchio. Bagaglio leggero da viaggiatore frugale.
Non sembra una persona che ha appena vinto il più importante premio letterario italiano. Eppure il suo libro, bellissima storia di un’amicizia nata fra le montagne, ha convinto davvero ogni tipo di giurato. Giovedì sera subito prima di salire sul palco del Ninfeo, Cognetti ha velocemente annodato al collo una cravatta nera col fiocco: «È la cravatta lavallière – dice – per me un simbolo importante. La indossavano gli anarchici». Dunque il look scanzonato della finale a Villa Giulia, che ha portato Le otto montagne (Einaudi) sul podio stracciando gli altri concorrenti, era un messaggio e non un semplice vezzo bohémien. Il montanaro all’apparenza tranquillo forse lo è meno di quanto sembri.
Lo Strega in genere mette a dura prova i nervi. Lei era il vincitore annunciato, come ha vissuto il rapporto con gli altri candidati?
«In realtà sono un po’ ingenuo. Mi sembra sempre che siano tutti amici e invece poi scopro che non è così. Pare che Teresa Ciabatti abbia scritto un articolo su di me definendomi “il Nemico”, con la “n” maiuscola. Io le voglio bene, ma devo constatare che in lei evidentemente si agitano altri sentimenti ».
Un po’ di delusione è comprensibile, all’inizio dell’avventura Ciabatti sembrava papabile per il trono e poi lo smacco, 89 voti di distanza da lei.
«Mi rendo conto: non è facile cominciare come favorita e poi dover retrocedere. La sua è davvero una pessima posizione. A me è successo il contrario, quando questa avventura è cominciata non ero il vincitore annunciato, poi le cose però sono cambiate».
E per il resto tutto liscio?
«Sono molto legato ad Alberto Rollo, contento che abbia partecipato con un suo libro. In questi mesi mi è sembrato di avere accanto un papà. È stato molto affettuoso con me. C’eravamo incontrati tempo fa, quando lavorava in Feltrinelli, e mi aveva proposto di pubblicare il libro con loro. Ho scelto Einaudi per la sua sobrietà e solidità e perché mi sembrava più adatta al mio romanzo. Ma sono sincero, ho legato molto anche con Matteo Nucci. Mi piacciono i contestatori, gli anticonformisti, i “rompiballe spigolosi”. Sarà che da parte mia sono un tipo accondiscendente… ».
A questo punto interviene Federica, la fidanzata, che sembrava distratta dal telefonino. Ride e dice «Accondiscendente? Non è vero. Lo conosco da una vita, non è così».
Qualcosa non torna. Forse quel fiocco anarchico rivela un altro aspetto di lei, un lato meno ingenuo.
«Ci sono idee forti in cui credo, valori come l’anarchismo, l’autogestione, la partecipazione politica dal basso sui territori. Essere anarchici vuol dire non rispettare determinate gerarchie, avere insofferenza verso l’autorità e il potere. Il verde del rametto di abete che ieri avevo nel taschino della giacca e il nero della cravatta sono richiami ai colori dell’anarchismo ecologista».
Ma come si concilia questo suo spirito antagonista con la scelta di stare dentro a un grande gruppo editoriale e con un premio mainstream come lo Strega?
«Sono consapevole che è una contraddizione e confesso che un po’ mi mette in crisi. Ma appartiene al pensiero anarchico anche una certa pragmaticità. Ho pensato che fossero mezzi giusti per raggiungere uno scopo preciso, per riuscire a parlare delle cose in cui credo a più persone possibile. Ma capisco che si possa non condividere il mio punto di vista. Molti miei amici mi stanno criticando duramente e molti rapporti stanno andando in crisi a causa di questa mia scelta».
C’è chi come Matteo Nucci ha rifiutato di scrivere un racconto e girare un video per una nota marca automobilistica sponsor del premio.
È singolare, viste le sue idee, che lei abbia accettato.
«Se la mettiamo così, anche la bevuta finale dalla bottiglia Strega è una forma di pubblicità ».
Sì, ma lei ha scelto di partecipare al premio, non di girare video per sostenerne gli sponsor.
«Partecipare a questo premio vuol dire avere a che fare continuamente con gli sponsor. Abbiamo girato l’Italia in lungo e in largo, mangiato e dormito in varie città senza spendere un soldo. Questo anche grazie agli sponsor. Mi sembrerebbe strano non tenerne conto. Per non cadere in queste contraddizioni sarebbe meglio allora rimanere fuori dal premio. Per Nucci evidentemente quello era un limite non oltrepassabile, io ho aderito sapendo a cosa andavo incontro. Mi rendo conto però che sono punti critici. Quando a marzo Ernesto Franco, direttore editoriale Einaudi, mi ha invitato a prendere un caffè per dirmi che volevano portarmi allo Strega mi ha avvertito. Mi ha detto: guarda che sarà lunga e faticosa, te la senti? Ho accettato».
Però sul podio ha ringraziato anche il suo vecchio editore minimum fax. Lo ha fatto per ricordare la sua anima “indi”?
«Lasciare minimum è stato traumatico, non posso dimenticarli, mi ricorderò sempre di loro ».
Il suo è un libro dai valori sani. Non ha paura di apparire troppo pacificante?
«È vero, è un romanzo confortante, ha una sua pace, mentre quello di Teresa Ciabatti,
La più amata, è più inquietante. Ma dipende dal fatto che per me la montagna ha rappresentato la cura. Durante un momento di grave crisi sono andato in montagna, quei luoghi per me sono diventati il mio rifugio e saranno al centro anche del mio prossimo romanzo. Non è detto però che debba scrivere di montagna tutta la vita ( ride) ».
E ora? Lo sa, lo Strega stravolgerà un po’ le sue giornate.
«Mi sento addosso una grossa responsabilità, non sono il tipo di persona che prende il malloppo e scappa».

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