Urge terapia di sostegno per i malpancisti del PD
(appunti per la Direzione del 21 marzo)
Parafrasando e attualizzando la vecchia battuta renziana (“per vedere un sorriso in un esponente del centrosinistra, bisogna ricorrere al photoshop”) si può dire oggi, che per suscitare una lacrima di ottimismo nei rappresentanti della corrente piddina che si autodefiniscono minoranza, bisogna ricorrrere al counseilling…
Nell’ultimo biennio, nella variegata platea della sinistra italiana, si è diffuso il virus del “malessere” che ha –nella maggior parte dei casi – una origine in quella leggera infelicità (già vaticinata da Epicuro) che colpisce soprattutto gli uomini politici affetti da una dipendenza da gioco compulsivo, quella peculiare che si contrae dedicandosi in modo prolungato al tatticismo esasperato che dà il senso di contare e lasciare tracce indelebili nella storia del Paese e che, nel momento della perdita di centralità (nel gioco politico), crea un vuoto incolmabile.
Sarebbe auspicabile quindi che il Partito, accanto alla Scuola di Formazione per i Giovani Quadri, promuovesse anche i Corsi di recupero per i Dirigenti esodati.
Partendo con l’organizzazione dei gruppi di auto aiuto rivolti prioritariamente ai fondatori del PD che si sono “allontanati” dal Partito: circa la metà dei 45 che nel 1997 ebbero il merito di chiudere la tormentata vicenda del fascinoso progetto dell’Ulivo ed imprimere un’accelerazione alla ridefinizione programmatica ed identitaria del centrosinistra senza trattino; molti di loro oggi vagano per club, clan, interviste ai giornali, animati da risentimento, rivendicazioni e propositi di rivalsa proprio nel momento in cui dovrebbero aiutare la ancor giovane creatura ad irrobustirsi.
Per molti di loro si tratta di una sorta di malattia professionale, probabilmente con effetti che incidono pesantemente sulla personalità, ma di cui – ne sono certo – si può guarire, come mi è capitato di riscontrare – con esperienze professionali dirette – per fumatori, alcolisti, tossicodipendenti, gambler…
Con i professionisti della politica bisogna sicuramente ricorrere ad una metodologia specifica: non è sufficiente operare con la leva dell’amicizia e/o l’uso dei confronti ravvicinati: le convinzioni ed i pre-giudizi che si sono sedimentati nel corso di una carriera politica (e molti dei fondatori del PD vantano curriculum quarantennali ed hanno esercitato poteri e ruoli prestigiosi) sono difficilissimi da mettere in discussione!
Ho seguito in questi giorni la vicenda peculiare di D’Alema (che, essendo mio stimato coetaneo, seguo sin dai suoi esordi negli anni ’70): non sono sono riusciti a scalfirne l’atteggiamento astiosamente critico sulla gestione del PD, né la lettera aperta del suo amico ed ex collaboratore, ai tempi della Presidenza del Consiglio, Fabrizio Rondolino, che ha amichevolmente cercato di convincerlo che Renzi sta seguendo la rotta blairiana da lui tracciata (già allora ostacolata – do you remember il paracarro Cofferati? -); né la sottile analisi politiologica di un ex comunista (vero come lui), Giuliano Ferrara, che dalle pagine del Foglio ha tentato di “spiegare facile” a D’Alema il ruolo dinamico e rappresentativo di Renzi nell’asfittica sinistra europea.
La stessa difficoltà incontrerebbe chi tentasse di convincere Prodi che il mancato affidamento dell’incarico di inviato ONU in Libia non sia stato – oltre che uno sgarba irreparabile – un errore clamoroso!
L’elenco delle vedove inconsolabili è molto lungo ed il suo aggiornamento quotidiano è affidato alle mani sicure di Enrico Letta, il quale a Parigi si trova nelle condizioni ideale (da “osservatore” europeo) per fare il censore un po’ patetico e redigere la pagella con i voti al Governo: impagabile e commovente, nelle settimane scorse, il suo twet fortemente critico sulla “disattenzione” per il caso Regeni e, ieri, nell’intervista di ieri al Corriere della sera, l’appello “ad assumere l’onere della inclusione e non l’onere del cacciare un pezzo di Pd” (ma chi caccia chi!?).
Insomma, è davvero difficile reimpaginare la narrazione ed impostare il confronto interno di un Partito Democratico a guida renziana nel quale è intervenuto un cambiamento profondo dei paradigmi interpretativi-valutativi con cui affrontare:
- la realtà politica interna (Patto del Nazareno come filosofia della conciliazione nazionale per evitare la deriva populista a trazione grillina)
- rapporti parlamentari orientati al rispetto di tutti i protagonisti
- le partnership competitive in Europa e assunzione della guida PSE per la crescita
- la piena autonomia in Politica estera (leggi Libia, Russia, Africa…), anche per non subire le spinte rovinose di Francia e UK nelle crisi del Nordafrica
- lo sviluppo attraverso il processo di liberalizzazione ed innovazione della PA, mettendo in discussione l’estesa rete delle rendite create dai partiti ed in molti casi difese dai benecomunisti in malafede
- maggiore attenzione al Sociale (vedi Piano Povertà) e sollecitazione delle rappresentanze sociali ad assumersi la responsabilità di collaborare per l’incremento della produttività, fattore decisivo per la crescita e l’aumento dell’occupazione, senza indulgere alle posizioni conservatrici e corporaitive di soggetti sindacali impegnati a difendere la propria autoreferenzialità
- un programma riformista (ovvero concreto e praticabile) per le Riforme istituzionali
- un rapporto con la Magistratura che superi la stagione della subalternità culturale nei confronti del Giustizialismo
Ma soprattutto è ancor più gravoso spiegare ai professionisti del malpancismo che la sfida di questa stagione politica è mantenere la barra della governabilità, messa a rischio quotidianamente non solo dalla debolezza numerica al Senato, ma per il convergere delle spinte massimalistiche e demagogiche di attori diversi (M5S, Lega, SEL) e del disorientamento determinato dalla frammentazione di Forza Italia.
In un simile contesto diventano stucchevoli gli atteggiamenti, i comportamenti, le provocazioni che, mirando a minacciare ed indebolire la leadership nel Partito (e di conseguenza nel Governo) ottengono solo il risultato di cortocircuitare la fragile identità di un’Organizzazione politica che rappresenta una stratificazione di culture e storie che sarebbero state destinate all’irrilevanza e/o ad implodere senza la sterzata imposta dalla guida renziana.
I protagonosti della guerriciola interna sottovalutano le contraddizioni, le tensioni ed i paradossi che la vecchia nomenclatura dell’Ulivo si è portata appresso dentro il PD; la generazione che ne ha preso la guida, si è assunto anche il gravoso compito di evitare i “calci in culo” (storicamente parlando) che l’orda barbarica guidata dal Comico genovese era pronta a sferrarle.
Certi ammiccamenti che tuttora si intravvedono nei confronti dei Casaleggio boys, rappresentano la testimonianza clamorosa della vocazione suicida di alcuni sinistrati che, incapaci di condividere la fatica delle sfide della governbilità che stanno loro di fronte, preferiscono “trivellarla” inventandosi polemiche ed iniziative che esorbitano dai limiti e dai vincoli dell’Agenda politica risultante dal mandato e dai rapporti di forza scaturiti dalle elezioni del 2013.
Gli esempi che si possono addurre sono numerosi e si ripetono quotidianamente: ne sono protagonisti – in Parlamento, in alcune Regioni – Rappresentanti del Partito Democratico che si muovono guardando lo specchiettto retrovisore, ovvero pensando alle occasioni di “rivincita”, piuttosto che allo scenario magmatico di un quadro politico che richiede uno straordinario impegno riformista su tutti i terreni che l’azione di Governo ha avuto il merito di arare, ma sui quali la semina è compito e responsabilità di tutti i protagonisti e protagonismi.
Certo una tale consapevolezza deve essere alimentata e promossa attraverso la rigenerazione degli Organismi del Partito, che possono consentire la partecipazione ed il coinvolgimento di tutti i soggetti portatori di condivisione, nuova conoscenza e nuove sensibilità necessarie per rendere credibili e dare attuazione ai programmi di rinnovamento del Paese.
Ci auguriamo quindi che nella Direzione di domani si focalizzino non solo i contenuti della strategia politica in discussione ma anche i percorsi organizzativi che consentano di sottrarre la dialettica interna alla retorica di vecchie e nuove conventicole ancorate alla pigra conservazione di se stesse ed incanalarla invece nell’alveo di una discussione aperta, vivace ed inclusiva.
Tale scelta si rivelerà sicuramente una terapia efficace anche per superare il malpancismo.