EMPLEKO – ECOSISTEMA DELLA CONOSCENZA (2)

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Nel precedente contributo abbiamo che esistono diagnosi accurate sul deficit di innovazione del sistema industriale italiano, che focalizzano in particolare i limiti  strutturali di efficienza e produttività. Generalmente i numeri e le tabelle che li rendono evidenti non trovano molta divulgazione e visibilità. Mi sembra pertanto opportuno segnalare quelli contenuti nel Paper della Banca d’Italia (n. 121, aprile 2012) “IL GAP INNOVATIVO DEL SISTEMA PRODUTTIVO ITALIANO: RADICI E POSSIBILI RIMEDI” – di M.Bugarelli, L.Cannari, F.Lotti, S.Magri). Il ritardo dell’Italia nell’attività innovativa rispetto ai principali paesi industriali viene strettamente correlato alla frammentazione del sistema produttivo in molte piccole imprese che hanno difficoltà a sostenere i costi elevati insiti nella ricerca e sviluppo e ad assumersene i rischi. E i nodi cruciali che tale panorama presenta sono numerosi, “intrecciati”, ma, potremmo sottolineare, ben enucleati e quindi affrontabili con una strategia e strumenti adeguati. In estrema sintesi: l’insufficienza delle risorse finanziarie pubbliche per R & D è aggravata dall’incertezza e precarietà delle  misure previste per PMI (0,006 % del Pil contro il 0,11 della Germania); la flessibilità del lavoro – quando riguarda gli high skilled – deprime i processi di innovazione, così come la gestione centrata sulla “managerialità familiare” è un fattore di rallentamento delle scelte di riorganizzazione; il persistente individualismo si riflette nella scarsa propensione delle imprese alla cooperazione nell’utilizzo dei finanziamenti e partnership con università (e centri di ricerca) che, a dir il vero, nell’ultimo decennio,  si sono attrezzate con l’avvio di ben 58 UTT (Uffici per il Trasferimento Tecnologico).  Si tratta di una “risposta” importante, in molti casi generosa e competente, di cui non abbiamo però una ricognizione precisa ed aggiornata. Sappiamo che per favorire la collaborazione tra pubblico e privato, sono stati attivati una molteplicità di iniziative di programmazione e di interventi concreti,  con ricadute territoriali scoordinate: distretti tecnologici, parchi scientifici e tecnologici, incubatori, poli di innovazione. Questi strumenti sono stati utilizzati sia dal MIUR sia dalle Regioni, dalle Università e Camere di Commercio: di essi non si  un quadro sistematico di valutazione, ma ne sono state identificate le  principali criticità. Nelle esperienze di collaborazione tra ricerca pubblica e impresa si sono manifestati limiti ed inefficienze nella governance: spesso confusa, dispersa tra molti soggetti, priva di una chiara individuazione delle responsabilità (soprattutto nel caso di molti distretti tecnologici); nella presenza talvolta troppo dominante delle università, a svantaggio della concreta possibilità di assicurare un adeguato ritorno economico alle imprese; nella sottostima dei tempi e dei costi necessari per rendere operativa la collaborazione; nella scarsa stabilità delle strutture in termini di personale con elevate competenze; nella mancanza di una chiara identificazione di obiettivi intermedi cui subordinare l’erogazione dei contributi pubblici. In questo contesto di debolezza sistemica, con un tessuto di PMI in affanno ed un’azione pubblica caratterizzata da asimmetrie organizzative, la strategia operativa dell’Open Innovation diventa una strada obbligata per accelerare i processi  di aggiornamento tecnologico-organizzativo del sistema produttivo: ma è fondamentale saper riconoscere propedeuticamente i problemi culturali, di linguaggio e metodologici che ne hanno finora condizionato l’evoluzione. Il Progetto EMPLEKO intende  misurarsi con le criticità persistenti e facilitarne la soluzione.

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