Il saggio di Guido Pescosolido ricostruisce il percorso dell’Italia fino all’indebolimento di oggi
UMBERTO GENTILONI – Repubblica Cultura – 12.7.17
Dove inizia il cammino della nazione italiana e quali tasselli ne definiscono il percorso? Che rapporto esiste tra uno Stato e una nazione, chi precede cosa? Temi antichi e irrisolti, interrogativi che accompagnano anniversari e confronti che dal passato rimbalzano fino al nostro tempo alla ricerca di conferme o nuovi itinerari possibili. La storia può essere un utile compagno di strada a patto che non prevalga quella carica distruttrice, quella spinta da nuovo inizio che punta a fare tabula rasa della zavorra del passato pensando così di avere vantaggi o benefici in un cammino semplificato e sgombro segnato da rimozioni e oblio. Una scorciatoia a portata di mano, semplice persino scontata che tuttavia non aiuta, non permette passi avanti, non lascia eredità e insegnamenti nell’itinerario complesso di una comunità nazionale. Un volume fresco di stampa mette insieme grandi interrogativi della storiografia sulla nazione italiana semplificandoli attorno a un percorso possibile, una chiave lettura che possa orientare studiosi e lettori (Guido Pescosolido, Nazione, sviluppo economico e questione meridionale in Italia, Rubbettino, pagg. 320, euro 18).
Lo sguardo acuto di uno storico che prende le mosse dalla convinzione che «pur nell’ampia varietà dei significati assunti dal termine Nazione nel corso della storia occidentale, sia rimasta prevalente la definizione di Nazione moderna, ossia illuministica e/o postrivoluzione francese, elaborata nel dibattito degli anni Ottanta – Novanta del secolo scorso, ossia di una comunità di individui che abbiano la volontà di condividere un comune destino civile e politico in uno Stato sovrano, aperto e inclusivo che tenda a riconoscere a tutti la piena cittadinanza di uno Stato di diritto, anche, al limite, a prescindere dall’omogeneità religiosa, linguistica, culturale o di altro genere». È la natura della nazione, la sua costruzione storica che definisce il perimetro della questione italiana, i suoi tanti passi avanti e le numerose battute d’arresto. Le radici del Risorgimento nelle premesse di una stagione fondante: «Il movimento nazionale italiano – sostiene l’autore riprendendo e aggiornando l’ispirazione del suo maestro Rosario Romeo – divenne quindi Nazione moderna prima ancora che nel 1861 nascesse lo Stato unitario nel quale si realizzò l’unità della Nazione politico istituzionale con quella linguistico culturale della maggior parte della penisola e delle Isole». Un cammino faticoso, un patrimonio di conquiste e traguardi, un orizzonte collettivo che poggia su due pilastri: lo Stato unitario che nella sua costruzione articolata «nonostante manchevolezze e difetti innegabili, rappresenta nel suo insieme il fattore più importante nell’avvio del processo di industrializzazione » e lo sviluppo economico come asse centrale per seguire gli effetti della trasformazione sociale e più in generale della modernizzazione e crescita complessiva del sistema Paese. Il bilancio è articolato, impegnativo: nei primi centoventi anni di vita l’Italia unita non ha corrisposto alle aspirazioni di potenza politica e militare sognate dai padri del Risorgimento, mentre nel primo ventennio del secondo dopoguerra l’ingresso tra i cinque-sei paesi più industrializzati del pianeta sembrava chiudere positivamente quella parabola «oggi seriamente compromessa».
Quali le ragioni dell’indebolimento progressivo di un tragitto nazionale? L’autore sceglie tre ambiti che hanno accompagnato e segnato il dibattito degli ultimi decenni: la base ristretta che sostiene la nazione, la bassa partecipazione delle masse alla vita politica attiva allontana l’obiettivo prioritario di «includere tutti i cittadini nell’esercizio dei pubblici poteri, abbattendo le barriere del privilegio sociale e dell’esclusivismo politico e istituzionale»; il peso e il condizionamento della questione romana causato dal mancato riconoscimento del nuovo Stato da parte del papato e del mondo cattolico e soprattutto il permanere in forme vecchie e nuove della questione meridionale «nel senso se non dell’annullamento, almeno di una riduzione del divario territoriale tra Nord e Sud entro dimensioni coerenti con l’appartenenza alla stessa comunità nazionale, questo obiettivo non ha ancora trovato né soluzione né speranza di soluzione, stando alla tendenza registrata negli ultimi venti anni».