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Macroregioni, le opportunità Ue da cogliere
Laura Cavestri  –  11 Gennaio 2018 – Il Sole 24 Ore
Se due vicini hanno un problema, è più facile affrontarlo (e provare a risolverlo) insieme. Un principio semplice, per un’agenda fitta. Dalle sinergie tra università e distretti alla ricerca , dalla prevenzione delle catastrofi naturali, a turismo, pesca ed energia, la politica macroregionale della Ue compie 10 anni, con un bilancio di luci e ombre.
Per non parlare della necessità di dare una spinta a strade e ferrovie per migliorare l’interconnessione in Europa o di una politica energetica che si faccia carico di non disperdere risorse e attivarsi al meglio, laddove si può, per riutilizzare gli scarti. Un’opportunità di crescita per i territori ed evidentemente , anche per le imprese – in termini di bandi, partnership, sinergie in ricerca e innovazioni – eppure quasi sconosciuta.
Partita nell’area baltica con la prima iniziativa “nata dal basso” – dall’esigenza di regioni, Länder e aree contigue di costruire reti e sinergie per affrontare sfide e valorizzare il patrimonio comune – la politica macroregionale fa il suo primo tagliando lunedì all’assemblea plenaria dell’Europarlamento a Strasburgo.
Una relazione – la farà l’europarlamentare italiano Andrea Cozzolino – che sarà l’occasione (rara) per fare un primo bilancio di quattro esperienze nate, all’inizio, al di fuori di ogni “patente Ue”. E che oggi, benché inserite ufficialmente nella cooperazione territoriale sostenuta da Bruxelles attraverso i fondi Fesr (di sviluppo regionale), si interrogano sul loro futuro. Perché tutte e quattro le attuali macroregioni – la Baltica , la Danubiana , la Ionico-Adriatica e l’Alpina– si reggono su un “patto” con Bruxelles, che si basa su tre pilastri: no a finanziamenti, no a un budget ad hoc, no a una struttura e a personale dedicati. Obiettivo nobile, all’inizio: non creare una sovrastruttura che “appesantisse” le Pa dei Paesi membri e disperdesse fondi in mille rivoli. Soprattutto, stimolare anche gli Stati a impegnarsi con finanziamenti propri.
Tuttavia, in questi mesi, mentre si discute di come destinare il bilancio Ue post-2020 (che si profila più “povero” senza la Gran Bretagna mentre le sfide, dall’immigrazione alla crescita economica aumentano), di macro-regioni non si parla. Tanto che a novembre sono state le regioni alpine – nel corso del forum annuale di Eusalp – a rompere gli indugi: «Chiediamo all’Europa di assicurare che le strategie macroregionali siano tenute in considerazione».
La Commissione, per ora, chiude la porta sia a qualunque forma di finanziamento ad hoc sia a un cambio di passo sulla governance per le macro-regioni. Ovvero, fate con quello che avete. Al massimo partecipate ai bandi Ue come gli altri enti pubblici. I fondi disponibili sarebbero quelli per lo sviluppo regionale (un totale di 10 miliardi per il periodo 2014-2020) nati per ridurre le diseguaglianze tra regioni europee e promuovere la coesione economica.
Il problema è che spesso i bandi non sono “disegnati” su requisiti e procedure accessibili a un gruppo di regioni. Peraltro con competenze, poteri e autonomie molto diversi (si va dai Länder tedeschi, che sono piccoli Stati alle regioni ordinarie e a statuto speciale italiane, al Rhônes Alpes francese). E questo rende più complicato fare partire i progetti, soprattutto in assenza di una “cabina di regia” stabile. Sinora, la differenza nel “successo” delle strategie la stanno facendo il fattore tempo (chi è partito prima è più avanti) e la capacità organizzativa tedesca (quando coinvolta).
La prima a nascere nel 2009 (ma i primi atti sono del 2008, da qui il decennale) è stata la macroregione baltica, che mette assieme sette Paesi (Svezia, Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania, Danimarca, Polonia e i Laender della Germania Nord-Est), conta circa 70 milioni di abitanti e un Pil complessivo di 1.380 miliardi. Ha già attivato 40 progetti tra tutela del mare, investimenti in innovazione, risparmio energetico e competitività di sistema. La Danubiana (2010) tiene insieme nove Paesi Ue (Germania, Austria, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Bulgaria, Romania e Croazia) e cinque Paesi non-Ue ( Serbia, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Ucraina e Moldova) ed è la più popolosa: 90 milioni di abitanti e un Pil da 1.620 miliardi: politiche ambientali, sinergie energetiche e infrastrutture sono le priorità, ma anche scuola e sicurezza.
L’Italia è coinvolta su due piani. Nata nel 2014, l’area adriatico-ionica coinvolge otto Stati tra Paesi membri (Croazia, Grecia, Italia e Slovenia) ed extra-Ue (Albania, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Serbia). Per l’Italia, le Regioni interessate son quelle della dorsale adriatica, dal Friuli alla Puglia, oltre a Basilicata, Calabria e Sicilia. Gli obiettivi: pesca e tutela del mare, reti di trasporto ed energia. Ma i progetti sono ancora in una fase iniziale. Con un Pil di 3mila miliardi ma una forza d’urto di cinque Paesi Ue (Austria, Francia, Germania, Italia e Slovenia) e due non (Liechtenstein e Svizzera), e 48 Regioni, la regione Alpina, nata nel 2015, è la più ricca, più omogenea per benessere ma anche articolata nei bisogni: dalla tutela di ghiacciai e ambiente al dialogo tra cluster, distretti e Università.
«Bisogna definire meglio che tipo di rapporto devono avere le Regioni e gli Stati nella strategia macroregionale – ha spiegato l’eurodeputato Pd, Andrea Cozzolino –. Stabilire quali poteri decisionali hanno. Anche perché affrontano “in chiave europea” problemi e sfide che tutti i cittadini sentono e possono essere un antidoto ai populismi. Una macroregione mediterranea, che coinvolgesse anche Tunisia, Egitto, Algeria e Libia potrebbe gestire più organicamente la questione dei flussi migratori. Fino a oggi sono stati utilizzati i fondi della politica di coesione – ha concluso Cozzolino -. Mentre sarebbe utile un quadro più strutturato di risorse».
INTERVISTA CORINA CRETU COMMISSARIO POL. REGIONALI
«No a fondi dedicati Vince chi fa sinergie»
Commissaria Cretu, lei spesso ha sottolineato che le macroregioni europee sono un’opportunità, per Paesi Ue e non, di condividere problemi e cercare soluzioni. Come può essere migliorata questa esperienza?
Il semplice fatto che 19 Stati Ue e otto che non lo sono siano impegnati in quattro strategie basate su piena cooperazione e coordinamento delle politiche rafforza il processo di integrazione dal basso. Una macroregione, sia chiaro, è molto più che una collezione di progetti, è una cornice di coerenza che deve indirizzare l’azione di governo, combinare sforzi, idee e risorse per un progresso comune.
Quali sono i punti più critici?
Il successo delle macroregioni richiede un impegno contin uo e costante di personale e mezzi. Servono adeguate dotazioni finanziarie e di professionalità. Ma non mi fraintenda. Non significa necessariamente fondi extra. Al contrario, bisogna cooperare per attingere alle risorse importanti già stanziate per la cooperazione regionale e anche per generare risparmi da possibile economie di scala.
L’esperienza mostra che un altro aspetto cruciale è l’allineamento tra strategie macroregionali ambiziose e programmi effettivi per perseguirle. Qui il successo lo fa la leadership politica di Paesi e regioni. Le strategie devono essere gestite politicamente, illustrate agli elettori e i risultati valorizzati agli occhi dei cittadini. Ho l’impressione che, in alcune parti delle strategie, il volante sia ancora in mano alla Commissione. D’ora in poi è necessario che siano Paesi e regioni a guidare.
Pensa che la regola dei «3 no» vada resa più flessibile? Per esempio, in termini di governance?
Sì. L’esperienza ha mostrato che i modelli di governance necessari per guidare le strategie macroregionali richiedono nuovi assetti (comitati esecutivi, gruppi di coordinamento). Tuttavia, il sistema deve restare “leggero” e non creare nuove istituzioni amministrative. Soprattutto nelle macroregioni che comprendono partner più “poveri” potremmo prevedere dei sistemi di supporto alla governance. Una nuova disciplina o nuove regole non servono. Quanto ai fondi, l’obiettivo deve restare quello di allineare le politiche regionali e nazionali agli obiettivi che le stesse macroregioni si sono date. Non ci sono solo i fondi Fesr per lo sviluppo regionale. Le strategie macroregionali sono coerenti con tutte le tipologie di Fondi che la Ue mette a disposizione.
Nella discussione relativa alla formazione del Bilancio Ue post-2020, non si menzionano le macroregioni. Davvero non pensa che la politica macroregionale potrebbe fare un salto di qualità avendo una dotazione finanziaria dedicata?
Non necessariamente. Voglio ricordare che Stati e Regioni hanno a disposizione sostanziose quantità di fondi e, in particolare, finanziamenti che supportano differenti tipi di programmi (per esempio, Life o Horizon 2020), capaci di mobilitare anche risorse private e attrarre investimenti. La domanda non è “avere a disposizione più fondi” , ma “come possiamo attingere a quei fondi insieme”?
Tra gli stakeholders c’è chi lamenta che molti bandi non sono “a misura” di strategie macroregionali. Si può fare qualcosa?
L’integrazione di risorse e obiettivi di una strategia macroregionale in quadri nazionali e regionali rimane una questione critica. Ma ci sono iniziative per superare questo.
Ad esempio, nella macroregione baltica diversi programmi hanno introdotto una “componente transnazionale” nei programmi nazionali e regionali sostenuti dai Fondi Fesr , per stimolare la cooperazione tra partners di Paesi diversi. Sempre lì c’è una rete di autorità di gestione per selezionare i migliori progetti innovativi. Ne lla regione del Danubio, alcuni programmi hanno stanziato una percentuale dei loro fondi per azioni che hanno un impatto macroregionale. Approcci ancora sporadici. Ma da incoraggiare senza cambiare le regole.
La politica macroregionale può giocare un ruolo sul fronte delle migrazioni?
La migrazione è un problema complesso e sfaccettato. Coinvolge istituzioni locali, nazionali, europee, pubbliche, private, no-profit. Un approccio macroregionale potrebbe offrire un quadro politico pertinente, per un’azione coordinata e cooperativa. A condizione, però, che i paesi e le regioni interessati condividano realmente gli stessi obiettivi.
L.Ca.

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