“L’Europa si è sudamericanizzata”. “E’ diventata terra di populismi e irresponsabilità”. “La cultura si è fatta spettacolo, si è banalizzata, ha perso la capacità di risvegliare lo spirito critico essenziale in democrazia”. “L’Italia è tra i malati più gravi. Da voi la crisi non è solo economica, è anche morale, di Stato”….
Chi si esprime in questo modo così severo è Mario Vargas Llosa – Premio Nobel per la Letteratura 2010 – in un’intervista al Corriere della Sera di mercoledì 20 novembre: ed è davvero difficile dargli torto.
Quasi come reazione consapevole al degrado denunciato dallo scrittore peruviano, nel mondo politico italiano si nota un fervore “popolare” , inteso come tentativo di ridare un fondamento etico-valoriale alla rappresentanza politica. E’ una buona cosa, ma credo che sia necessario essere avvertiti del rischio di “green washing”, ovvero che sia in atto un tentativo di numeroso gruppi politici o brand partitici, ridimensionati nel consenso elettorale e verosimilmente scaduti come capacità di elaborazione di una proposta culturale e programmatica convincente, di darsi una ri-verniciatura per recuperare l’appeal perduto.
Siamo tutti reduci da un ventennio nel quale il linguaggio populista trasversale ha mascherato l’incapacità dei Partiti entrati in scena dopo il collasso della Prima repubblica, di innovare i contenuti progettuali e le proprie strutture organizzative, per essere in grado, da un lato di inverare una partecipazione democratica più matura e consapevole delle regole di un bipolarismo europeo e dall’altro (contestualmente) dimostrare la capacità di aggredire con radicalità i virus che avevano infettato il sistema economico e l’apparato amministrativo-istituzionale di un Paese ammalato.
Sono un ottimista pervicace e quindi costantemente focalizzato sul mezzo bicchiere pieno delle realizzazioni e dei processi di cambiamento intervenuti (e ne andrebbe fatto l’inventario da cui ripartire per incoraggiare la necessaria nuova stagione di riforme).
Ciò che ritengo fondamentale però in questa fase, a proposito di rilancio del popolarismo che con il socialismo costituisce il patrimonio costituente della cultura politica europea, è il riuscire a declinarne i valori distintivi affinchè ci orientino nella valutazione obiettiva della nuova offerta in campo ed anche a concorrervi . E ciò sia per quanto riguarda il profilo personale dei protagonisti dei tentativi di rinnovamento del quadro politico, sia – soprattutto – per quanto attiene i contenuti delle proposte strategiche con cui si intendono affrontare la crisi economica e ancor di più la “catastrofe etica” che ne costituisce la causa più profonda e sottaciuta da gran parte della leadership partitica.
La democrazia italiana ha sicuramente bisogno del popolarismo, leva potente per ridare fiducia e motivazioni forti alla partecipazione dei cittadini, promuovere la competenza e la sobrietà, riscoprire la moralità nella vita pubblica, praticare la severità e la comprensione nel confronto, fare della coerenza e del rigore dei comportamenti un parametro di valutazione dell’esercizio della rappresentanza, alimentare lo spirito di servizio nei confronti delle istituzioni a tutti i livelli ed articolazioni istituzionali.
Ma ciò implica una rivisitazione critica delle espressioni storiche del popolarismo, così si sono manifestate in Italia ed in Europa, una sua riproposizione aggiornata e contestualmente l’affermazione di una nuova leadership (classe dirigente) che si candidi a farsi interprete di una stagione di cambiamento.
Si tratta quindi di definire scelte strategiche e regole d’ingaggio (continua).