SGONFIARE IL POPULISMO. Le giornate veneziane di Repubblica, senza l’abituale assillo della “caccia al caimano”, sono trascorse senza bagliori e sussulti nella cronaca registrata dai mei abituali media. Ma il passaggio che vi ha fatto ieri Letta, seppure con i toni bassi e la sobrietà che contraddistingue il Presidente del Consiglio, ha lasciato un segno ed un messaggio che mi ha colpito e dovrebbe essere preso seriamente in considerazione ed inserito nell’agenda del dibattito politico-culturale italiano: “l’Europa deve liberarsi del populismo“. L’espressione usata – invero efficace – è stata “sgonfiare il populismo“! Hai detto niente: l’ultimo leader che si è cimentato con tale sfida è stato (su incarico di Napolitano) l’ex Presidente del Consiglio Monti e se consideriamo il peso specifico del riconoscimento ricevuto da tale suo impegno, possiamo registrare che lo “sgonfiamento” ha riguardato la sua rappresentatività.
Scampato il pericolo di un drammatico declassamento in Europa,al professore bocconiano non solo sono stati tranquillamente misconosciuti i meriti, bensì ne è stata sapientemente oscurata la famosa “Agenda”.
Ora, non si trattava certamente di una Bibbia, ma le ragioni strutturali che la motivavano sono tuttora ben presenti: se osserviamo però l’atteggiamento, il linguaggio, le proposte strategiche al centro del dibattito politico, verifichiamo la prevalenza dei toni populisti: soprassediamo sulla compagnia di giro dei professionisti della retorica (una buona parte dei quali proprio ieri si sono radunati a Roma in difesa di una Costituzione che è minacciata soprattutto dalla vetustà del suo impianto istituzionale), registriamo con la solita angoscia le performance grilline nelle diverse varianti in cui sono protagonisti i parlamentari dilettanti allo sbaraglio ed il loro boss autocratico. Concentriamoci invece ad osservare l’evoluzione dei due schieramenti fondamentali del quadro politico ai quali il discorso di Letta è senza dubbio rivolto…
Per quanto riguarda il PDL-Forza Italia, il passaggio dal populismo berlusconiano al popolarismo di matrice europea rappresenta un processo che, avviato – con sorpresa generale – da Alfano il 2 ottobre scorso con la fiducia al Governo, denso di incognite ed ostacoli, il primo dei quali è l’autentico paracarro della indispensabile fidejussione dello “sceicco di Arcore” per evitare il collasso finanziario di un Partito che vive una contraddizione paradossale: può contare su un vastissimo elettorato che è costretto a riversare ancora la fiducia sul – seppur azzoppato – leader carismatico, piuttosto che sulla rappresentanza politica intermedia perché la considera, giustamente, in gran parte una corte di nominati senza un’autoconsistenza personale, confermata anche dalle reiterate affermazioni di “fedeltà al capo” che – tranne i casi di autentica ammirazione (o idolatria) , come per Bondi – mascherano l’assenza di una soggettività politica propria.
Quella cioè che, fatta salva la giusta e legittima difesa delle ragioni politiche e giudiziarie di Berlusconi, avrebbe dovuto consentire di condividere in modo esplicito ed in termini strategico- programmatici la fiducia al Governo Letta-Alfano.
In ogni caso quella del centro-destra è una partita aperta e lo sbocco “europeo” (per usare il paradigma lettiano) è collegato sia alla capacità di declinare la governabilità del Paese su contenuti (riforme istituzionali, giustizia, pressione fiscale) affrontati con pragmatismo, determinazione, continuità dell’azione, capacità di mediazione con l’alleato di governo: senza velleitarismi, rivendicazionismi, isterismi (ovvero evitando che la rappresentanza dei moderati sia affidata – per esemplificare – alla sola “vivacità polemica” della Santanchè e di Brunetta…
Un’operazione di riorientamento a cui può dare un contributo importante Scelta Civica, forza politica che pesca nel bacino elettorale contiguo e può uscire dal cono d’ombra del minoritarismo se evita di rincorrere l’improbabile funzione di terzaforzismo (nel quale si è inutilmente esercitato l’eterno Casini) e sceglie di irrobustire i contenuti culturali e programmatici di un bipolarismo, appunto europeo, operando – nel solco di un autentico popolarismo – per “depurare” il centrodestra dai condizionamenti della concezione patrimoniale, proprietaria e populista.
Sul versante del centrosinistra, ci sta il “cantiere permanente” del Partito Democratico, ora entrato in un percorso congressuale che ne può rilanciare le ambizioni e l’insostituibile ruolo di polo dell’alternanza, ma anche oscurarne la vocazione riformatrice se il dibattito interno e la leadership che prevarrà non sarà in grado di esplicitare un orientamento programmatico sulle questioni cruciali che l’hanno visto oscillare tra posizioni conservative (penso a temi come tasse, mercato del lavoro, pensioni, federalismo) e tentazioni giustizialiste.
L’avvio del confronto sancito dalla kermesse barese del candidato Renzi si può definire incoraggiante perché la questione del populismo è entrata subito in agenda proprio per le affermazioni del sindaco di Firenze su amnistia e indulto e le polemiche reazioni che hanno suscitato: e ciò può innescare un salutare chiarimento attraverso l’approfondimento delle differenze e la focalizzazione di obiettivi concreti.
Sottolineo che nell’attuale congiuntura non è assolutamente agevole assumere posizioni equilibrate ed orientamenti programmatici puntuali sui numerosi nodi cruciali che assillano l’azione di governo (a cominciare dalla Legge di stabilità in gestazione in questi giorni), ma ciò che è richiesto ai protagonisti del PD è quello di non dribblare le difficoltà con il ricorso alle usurate argomentazioni dell’antiberlusconismo, “vitaminizzanti” nel rapporto con la base disorientata dalla crisi, ma assolutamente inefficaci ai fini della elaborazione di un Programma credibile per conquistare una effettiva maggioranza parlamentare alle prossime elezioni.
Certo, la pre-condizione indispensabile ad entrambi gli schieramenti, affinchè si affermi un rinnovamento politico-culturale, è la costruzione di forme-partito in grado di garantire la più ampia partecipazione di iscritti e cittadini senza che ciò determini il crearsi di perniciose burocrazie: non si tratta di un’impresa impossibile perché in quest’ultimo lustro della vita politica italiana, abbiamo visto emergere novità ed esperienze che nel loro impasto di personalizzazioni esasperate ed incongruenze, hanno lasciato trasparire anche le vie del cambiamento: primarie, cittadinanza digitale, diffusione di think tank, pratiche di partecipazione diretta…
Sarà soprattutto la “dieta” del nuovo finanziamento pubblico ad orientare le scelte più impegnative, ma anche più paganti per le forze che saranno in grado di superare creativamente il vetusto modello della rappresentanza lobbistica e/o ideologica e del linguaggio populista, praticando e caratterizzando la propria proposta con valori distintivi e sollecitando gli elettori alle scelte di responsabilità ed impegno, a partire dal radicamento territoriale, antidoto fondamentale alla malattia dell’insopportabile e trasversale centralismo romano.
Mi auguro, quindi, che le affermazioni di Letta siano riprese e sostenute – anche con maggior vigore – da molti altri leader