Un nuovo modello di partecipazione: la sfida della cittadinanza europea
Riflettere e discutere di partecipazione oggi significa fare i conti con lo spread della vera “moneta di scambio” oggi in crisi: quel capitale sociale circolante costituito dalla fiducia nell’altro e nella relazione sociale finalizzata alla costruzione del futuro. La metafora della “società sciapa” usata nel 47° Rapporto CENSIS sulla situazione sociale del Paese indica in modo inequivocabile l’esigenza di ritrovare il «sale alchemico», ovvero quel quel fervore che ha consentito di far leva sui tanti mondi vitali che hanno operato come motori dello sviluppo degli ultimi decenni. Ecco perché risulta utile la definizione che meglio esprime il concetto di partecipazione: “processo di assunzione di decisioni inerenti la vita di un individuo e quella della comunità nella quale egli vive” (Unicef,1992). Partecipare è quindi luogo della non-neutralità, è consapevolezza che il nostro essere-nel mondo è chiamato ad orientarsi eticamente secondo criteri di giustizia ed equità, che non possiamo assistere passivamente alla grave congiuntura etica e culturale che si ripercuote in una crescente privatizzazione della dimensione pubblica ed alla contestuale rinuncia a concorrere alla “ri-costituzione sociale della persona”. E’ persino superfluo ricordare che gli indicatori di (s)fiducia nei partiti e nelle istituzioni (l’Unione Europea compresa naturalmente) sollecitano anche un ripensamento del significato e delle procedure della partecipazione democratica: l’impegno prioritario di ogni leader e/o forza politica è diventato la restituzione ai cittadini il piacere di contare nei processi decisionali. Tale sfida ha assunto un ruolo centrale nel contesto europeo, ponendo l’esigenza di ripensare le forme della partecipazione politica e il rapporto con i modelli di democrazia, all’interno di un più ampio dibattito sulla crisi della democrazia rappresentativa e della partecipazione elettorale che investe le democrazie contemporanee. Nel caso dell’Unione Europea la democrazia rappresentativa è caratterizzata da una debolezza di fondo, insita nella complessa architettura istituzionale che regola l’equilibrio di poteri tra Commissione-Consiglio-Parlamento e che attribuisce a quest’ultimo, unica istituzione ad essere legittimata dall’elezione popolare, un ruolo subalterno rispetto alle altre. A completare il quadro sullo stato di salute della democrazia rappresentativa in Europa, si aggiungono gli elevati livelli di astensionismo che caratterizzano le elezioni europee, riconfermati anche con le elezioni del 2009 e lo scarso contributo fornito dal sistema massmediale al processo di integrazione europea sia sul piano simbolico che informativo. Su questo gap comunicativo si è inserito il cuneo della vulgata populista antieuro, che costituisce un avversario che va contrastato con l’adozione di un’Agenda programmatica ed un linguaggio in grado di riattivare, sia a livello associativo (giovanile, culturale, professionale) che a livello comunale-territoriale, processi partecipativi con al centro i temi e le opportunità della cittadinanza europea: ricerca & innovazione per lo sviluppo sostenibile, connettività e digitalizzazione della pubblica amministrazione, efficientamento energetico e rigenerazione urbana, smart city & smart community, social innovation ovvero nuove strategie per il welfare locale, nuove infrastrutture e reti per la mobilità di persone e merci. Le elezioni europee, da questo punto di vista, diventano un laboratorio di partecipazione per la costruzione di nuovi modelli di governance e di rinnovamento del rapporto tra cittadini ed istituzioni, che siano maggiormente rispondenti alle mutate esigenze delle democrazie contemporanee.