Dal clima al commercio, dal fisco a Teheran, l’America first di Trump sfida l’Europa
Chiara Bussi
15 Gennaio 2018 – Il Sole 24 Ore lunedì
Donald Trump tornerà in Europa la settimana prossima. Non a Bruxelles, cabina di regìa dell’Unione, ma a Davos, in Svizzera, che del club dei Ventotto non fa nemmeno parte. Il Presidente americano festeggerà il suo primo anniversario alla Casa Bianca sul palcoscenico del World economic forum di fronte al gotha dell’economia globale per «promuovere – come ha già fatto sapere la sua portavoce – la sua agenda politica e rafforzare l’immagine del business e dei lavoratori americani». Su di lui saranno puntati gli occhi della comunità internazionale, pronta a cogliere nuovi indizi sull’atteggiamento che Washington terrà nei prossimi mesi.
Una delle incognite riguarda proprio il rapporto tra le due sponde dell’Atlantico: il mito dell’America first – coltivato spesso a colpi di tweet – contrapposto a un’Unione alla ricerca di una nuova identità, tra le ambizioni della Francia di Emmanuel Macron e lo scossone della Brexit. Con quattro dossier in primo piano lo scorso anno, dal clima al commercio, fino al fisco e ai rapporti con il Medio Oriente e la Russia, che hanno contribuito a creare un grande fossato tra le due aree e dovrebbero complicare i giochi anche nei prossimi mesi. Almeno fino al “tagliando” di novembre, quando le elezioni di metà mandato mostreranno i reali margini di manovra dell’attuale amministrazione americana.
Il cocktail pericoloso
«Nel 2017 – sottolinea Jacques Pelkmans, senior fellow del Ceps – la relazione tra Ue e Usa è stata caratterizzata da un mix tra tre principali sentimenti», spesso scaturiti da annunci o decisioni assunte dagli Usa per tenere fede a impegni presi in campagna elettorale. Un cocktail potenzialmente pericoloso, perché ha già iniziato a incrinare i rapporti tra Ue e Usa, e che dovrebbe dispiegare i propri effetti anche quest’anno. Pelkmans cita la «disillusione sulle questioni climatiche», in seguito al dietrofront di Washington sull’accordo di Parigi sul clima, già ratificato dal suo predecessore Obama. Su questo fronte la Ue andrà avanti, mentre è difficile che gli Usa tornino sui propri passi (almeno per ora). Ma anche la «frustrazione» sui dossier commerciali, con la minaccia di superdazi sui prodotti provenienti dall’Europa e il riemergere di un atteggiamento protezionista che prende di mira le organizzazioni nazionali multilaterali (come la Wto) o gli accordi siglati con altre aree del mondo (dal Nafta con Canada e Messico) alla Tpp (Trans Pacific Partnership). Senza dimenticare lo scontro all’Onu su Gerusalemme capitale. A questo si è aggiunta una certa «confusione» su varie tematiche, come la riforma fiscale varata a fine anno con l’introduzione di una tassa che penalizza le multinazionali estere e rischia di dare il via a un nuovo contenzioso. L’ultimo in ordine di tempo è il dossier sull’Iran. Venerdì scorso gli Usa hanno per il momento salvato l’accordo sul nucleare siglato nel 2015, ma hanno avvertito la Ue di voler migliorare l’intesa.
«Le decisioni di Trump – fa notare Damiano Palano, ordinario di filosofia politica all’Università Cattolica di Milano – sono state finora quasi sempre dettate dall’agenda interna. Questo, anche al di là del personaggio, rende poco prevedibili le linee di azione. Ma, al tempo stesso, le difficoltà che lo accompagnano da quando si è insediato alla Casa Bianca, con il Russiagate in primo piano, rendono probabile l’adozione di misure clamorose rivolte all’opinione pubblica americana». La sua Presidenza, aggiunge Palano, «assume un atteggiamento revisionista nei confronti di quell’ordine internazionale liberale che ha visto a lungo nell’egemonia americana la principale garante».
Le prospettive future
Il grande fossato è destinato ad ampliarsi sempre di più e a produrre una frattura insanabile? «Nonostante tutto – dice Maria Demertzis, vice direttore del think tank Bruegel di Bruxelles – gli Usa restano l’alleato più naturale della Ue. Quest’ultima continuerà a rispettare gli accordi internazionali e a promuovere il multilateralismo. Ma fino a quando Washington continuerà a preferire l’antagonismo alla cooperazione l’atteggiamento di Bruxelles dovrà essere rimodulato caso per caso». Il comportamento di Washington, ricorda Tiberio Graziani, presidente dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, non è però del tutto nuovo. «Dagli anni Duemila ad oggi, ma in un contesto geopolitico diverso, gli Usa, nonostante la retorica multilateralista, hanno attuato spesso pratiche unilaterali in numerosi ambiti. Trump non ha fatto altro che squarciare il velo dell’ipocrisia delle amministrazioni precedenti. Che il presidente Usa rappresenti una minaccia è troppo presto per dirlo. Di certo rappresenta una sfida, anche per l’Unione». Superato lo shock iniziale, Bruxelles potrebbe guardare al nuovo atteggiamento degli Usa come un’opportunità per accelerare la coesione dei settori della difesa e della sicurezza e disegnare una politica economica che accompagni la ripresa, combinata a una strategia industriale ed energetica per competere a livello globale. E rispondere così con più Europa al grido dell’America first.
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