Vademecum per perdersi in montagna

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Filippo La Porta – Il Sole 24 Ore domenica – 20 Agosto 2017


A volte la filosofia si trova preferibilmente fuori dei libri di filosofia. Prendete Vademecum per perdersi in montagna di Paolo Morelli, saggio digressivo e manualetto semiserio in forma di dizionario, reportage di vagabondaggi estivi su per i monti abruzzesi, introduzione ludico-taoista ai piaceri di viaggi ed escursioni a piedi. Forte è la tentazione di presentarlo come (salutare) anti-Cognetti: qui non si diventa più buoni sopra i milletré, e l’incanto delle vette ci sorprende quasi di lato, non è annunciato enfaticamente. In queste pagine viene adombrata una teoria portatile dell’esperienza, memore di Montaigne e Nietzsche (e di antichi testi sapienziali): l’esperienza umana è fondamentalmente perdersi, deviare, disorientarsi, per poi, forse ( nessuna garanzia!), ritrovarsi. Scorriamo subito alcune voci. «Bussola»: da evitare sia perché per una bussola c’è un solo Nord e un solo Oriente, mentre sono tanti, e sia per «provare l’esperienza del perdersi, anche a costo della vita»; «Carta geografica»: «di necessità assoluta solo se vuol fare l’esperienza di perdersi»; «Esperienza»: «l’unica occasione di vera conoscenza, l’unica che vale la pena, è quella di perdersi»; «Itinerario»: «al pomeriggio, quando vi sarete persi, ormai ragionerete sulla vanità delle cose del mondo»; «Montagna»: «La montagna vi accoglie dentro di sé, in essa potete perdervi e ritrovarvi, alternativamente e a piacimento…»
La prima parte del libro è «Attrezzi per vagabondaggi e piaceri», la seconda «Compagni!(piccola guida agli incontri di montagna). Accanto a voci di utilità pratica – “borraccia”, “carta igienica” , “coltelli”, “guanti”, “k-way”, “sacco a pelo”, “Spazzolino da denti”, “zaini” – ce ne sono altri più da prontuario etico-filosofico, che potrebbero richiamare la saggezza “cinese” del Me-ti brechiano: “coraggio”, “disciplina”, “fortuna”, “paura”, “puntiglio”… Nella voce “prudenza” leggiamo «assecondare la natura, schivando il carattere», mentre in quella sulla “volontà” apprendiamo che «le montagne del mondo sono puntinate di tombe di pietra , ometti, ceppi e croci di ferro battuto che ricordano ai volontari il loro destino». Nella seconda parte prevalgono le voci sugli animali della montagna: dalle api agli orsi, dalle aquile ai serpenti, dai camosci alle talpe. E qui la scrittura di Morelli, che discende dalla rivista «Il Semplice» (il risvolto è firmato da Ermanno Cavazzoni) potrebbe evocare certe pagine del Palomar calviniano, tra esattezza scientifica e piglio fiabesco. Si veda ad esempio la voce sul lombrico, che «non ha muscoli né ossa, zanne o artigli… mira a un unico scopo: far parte del metabolismo della terra. Il fango passa attraverso di lui e si rinnova, lui non fa niente… è il tempo libero racchiuso in una forma». In altri passi invece il motto di spirito lapidario, la battuta paradossale e l’humour nero fanno pensare a Manganelli: «entusiasmo»: «utile se ci si vuole suicidare», o anche l’osservazione che in montagna sono avvantaggiati i monchi, che si smontano a piacimento le mani e le ripongono nello zaino. Alla fine tutto il “sapere” – ironico ma anche serissimo – racchiuso in queste pagine mostra la sua prossimità a uno stoicismo universale, transnazionale: «non fare resistenza…se ti opponi a qualcosa che fortemente ti si oppone, hai già perso prima di cominciare. Meglio svicolare». Il vagabondaggio come strategia esistenziale. Inoltre: mi piace molto che tacito presupposto del vademecum sia l’idea che non tutta la modernità si esaurisce nell’esperienza della metropoli.
Avrei una unica obiezione a Morelli. Benissimo svicolare, eludere, aggirare. E anche riuscire a non avere forma. Però la vita di ciascuno di noi è quasi sempre – al contrario – sbattere contro le cose, impuntarsi, fare insensatamente resistenza, intestardirsi nell’assumere una forma (per quanto precaria). A volte la saggezza celebrata in queste pagine mi appare distante e impalpabile (come le visioni in alta quota), perfino “disumana”. Possiamo forse solo contemplarla, o sperimentarla a tratti, o anche solo accoglierne l’invito ad allentare la presa, a rinunciare ad un controllo pervasivo ( e infine illusorio) sulla realtà.

Paolo Morelli, Vademecum per perdersi in montagna , Nottetempo, Roma, pagg. 158, € 13,50

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