D’ALEMA: DAL PENSIERO DIACRONICO UNO SGUARDO DISTORCENTE SULLA CONTEMPORANEITÀ DEL PD E LA PROPOSTA DELIRANTE DEL “PARTITO DELLA FAZIONE”
Ho sempre osservato con autentico interesse la traiettoria politica di D’Alema e la sua abilità manovriera nel far transitare – attraverso un lungo e tortuoso percorso – nell’alveo della socialdemocrazia europea un Partito (PCI) la cui matrice ideologica e politico-culturale profonda era immersa nel togliattismo cominternista (seppur “ripensato” dalla visione impressa dalla gestione berlingueriana).
Aggiungo che non mi ha mai sorpreso il riemergere, nei diversi tornanti della storia più recente della sinistra italiana – in gran parte approdata nella costituzione del Partito Democratico – del suo ostinato approccio tattico per dirimere ed orientarne le scelte strategiche.
Tale impegno, assunto come una mission da predestinato, si è manifestato in particolare nelle occasioni in cui – nel campo di gioco politico nazionale – si sono disputate vere e proprie competizioni per la leadership.
Come è stato osservato, soprattutto da coloro che lo hanno frequentato e/o subito da vicino, “nel boicotaggio dell’avversario (interno) D’Alema è sempre stato imbattibile”!
Ricordiamo tutti il memorabile disarcionamento di Occhetto, “colpevole” dello strappo della Bolognina, nel 1992 -1994; fu meno brutale, ma con un alto livello di tensione, la competizione con Prodi nel 1997-1999 sulla funzione ed il governo dell’Ulivo; seppur dissimulato, è stato aspro anche il prolungato dissidio con Veltroni sul modello a cui ispirare la strategia del Partito Democratico.
Non deve sorprendere quindi che l’affermazione di Renzi alla guida del PD ed a seguire del Governo – soprattutto l’imprinting della discontinuià con cui egli ha inteso caratterizzarsi dopo la campagna per la rottamazione – sia diventata per D’Alema l’loccasione per una sfida davvero intrigante, ovvero di ripensare criticamente la propria biografia politica.
Decidendo che, dopo quarant’anni di cimento, era giunto il tempo di riconoscere l’inizio di una nuova stagione politica con altri protagonisti; oppure, ritenere che, nell’ambito dell’estenuante trama portata avanti indefessamente per continuare ad esercitare – sulla base di una presunzione di primazia e funzione storica inestinguibile – l’egemonia ideologico-culturale sulla sinistra, il giovane fiorentino avesse le sembianze di un “arrogante usurpatore” a cui riservare, attraverso l’alimentazione di una opposizione astiosa e ben calcolata, il destino di diventare il bersaglio di un ennesimo (l’ultimo?) boicotaggio.
Parentesi: In una esilarante quadretto familiare Claudio Velardi ha illustrato nel suo Blog (curiosamente lo stesso giorno dell’uscita dell’intervista sul Corriere della Sera) il sentimento di ostilità preconcetta e la pulsione all’ostracismo che anima alcuni dei vecchi leader ex-comunisti, nel rapporto con Matteo Renzi; scrutandoli maliziosamente ha attribuito loro il seguente giudizio: “…… l’essere più abominevole mai apparso sulla scena politica italiana. Antipatico arrogante incompetente chiacchierone falso vanesio inconcludente indisponente presuntuoso insolente. Naturalmente vecchio democristiano, nemico giurato della sinistra, uomo dei poteri forti, agente del Mossad. Un buono a nulla capace di tutto”…… .
Proseguendo poi nella sua fantasiosa ricostruzione, Il simpatico ex ghost writer di D’Alema si è messo nei loro panni e ne ha descritto la segreta speranza-previsione: “Poniamo tutto questo. Poniamo poi che a Bray riesca a Roma il gioco che funzionò con Pastorino in Liguria, che la Balzani a Milano faccia lo sgambetto a Sala, che a Napoli la farsa delle primarie travolga la Valente. Poniamo che nel frattempo e dopo qualche imboscata parlamentare vada a segno, che il governo perda consensi nei sondaggi, che l’Europa ci emargini. E, infine, poniamo pure che vada male il referendum di ottobre, che Renzi – come ha annunciato – di conseguenza si dimetta e vada a casa” (sic!).
Quando il perspicace uomo di comunicazione napoletano si dilettava a scrivere il suo post (10 marzo scorso) non poteva certo pensare che il giorno successivo sarebbe stata pubblicata l’intervista al “leader Maximo”, nella quale il subdolo e surreale “disegno politico” da lui ipotizzato, corrispondeva alla luciferina e delirante prospettiva vaghegggiata da D’Alema nella sua prognosi sul Partito Democratico!
Si potrebbe parlare di affinità elettive (seppur divaricanti, perché il Velardi considera “bollito” D’Alema sin dal 2008…).
Qualche esponente del partito si è detto “sconcertato” di fronte alle considerazioni ed ai propositi espressi nell’intervista; in effetti, a leggerli in filigrana, siamo si fronte al tentativo di un controcanto (legittimo. Per carità) al progetto politico renziano; restando ai fatti della pura agenda politica se ne possono dedurre quattro messaggi: non voterà Giachetti a Roma; non voterà SI al referendum costituzionale; detesta Renzi che non lo ha nominato commissario europeo; sta tessendo la sua tela per provare a danneggiarlo il più possibile, prospettando la nascita di un progetto politico a sinistra del PD che potremmo riassumere nel “partito della fazione contrapposto al partito della nazione”!
Ritengo, al contrario di quanti si meravigliano, che la sortita dalemiana rappresenti bene un sentiment coltivato con coerenza e l’ultimo capitolo di una lettura politica della storia recente del centrosinistra, con la quale si opera il tentativo – triste e patetico allo stesso tempo – di distorcere il signicato culturale e le ricadute programmatiche del processo di rinnovamento democratico avviato con la leadership espressa da una nuova generazione, non gravata dagli ideologismi ed esasperanti tatticismi ed individualismi del passato, che hanno ostacolato e rallentato l’affermazione del Partito Democratico.
Ma il fatto più rilevante – e probabilmente “disturbante” per il nostro – è che, seppur con insufficienze e schematismi, la nuova dirigenza si sente ancorata al Progetto liberante e modernizzante di rigenerazione della vita politica nazionale, di cui si possono rintracciare gli elementi ispiratori e costituenti nell’Ulivo primigenio.
Su tale interpretazione ci sarà modo di riflettere e discutere – anche per contraddire le imprecise autocitazioni uliviste dalemiane – non appena sarà pubblicata la rigorosa e documentata ricostruzione storica sul “Partito dell’Ulivo” realizzata da Andrea Colasio (già autore di un testo fondamentale per comprendere le tensioni attuali all’interno del PD: vedi in “Storia e storie del Partito Democratico a Nordest”, per il quale rinvio a https://www.dinobertocco.it/storia-e-storie-del-pd-a-nordest/ .
Da subito però sottolineo che sia molto utile una “lettura contemporanea” di caratteristiche, limiti e contraddizioni del Progetto messo in campo dal Partito Democratico a trazione renziana: ci sono sicuramente d’aiuto in tal senso l’analisi e le proposte che emergono da un’ intervista ad Arturo Parisi, che rappresentano un esplicito incoraggiamento ad intensificare e migliorare l’azione intrapresa con il “metodo primarie” e la più efficace smentita alla supponenza ed inconcludenza delle esasperate critiche dalemiane: