…..ma il “salto di qualità” è inscindibilmente correlato alla possibilità, per il sistema delle Aziende – soprattutto PMI – di comunicare, interagire, collaborare con i Centri e le Agenzie impegnate nella Ricerca: ed anche in questo ambito la situazione in Italia è per certi aspetti drammatica; lo evidenzia il fatto che più di metà dei ricercatori italiani che hanno vinto gli Starting Grants ERC (European Research Council) abbiano deciso di portarli all’estero. Se ne può dedurre che l’attrattività delle Istituzioni di ricerca del nostro Paese è davvero modesta. A fronte di questo segnale preoccupante aumentano gli interrogativi sull’effettiva praticabilità di programmi di ricerca con standard di riconoscibile validità ed efficacia a livello internazionale: le risorse pubbliche sono ritenute insufficienti, perché i tagli alla spesa pubblica indotti dalla spending rewiew negli ultimi anni hanno colpito la ricerca accademica senza l’adozione di criteri selettivi. In tutta questa vicenda l’aspetto più inquietante è che i nodi cruciali non vengono affrontati e nemmeno inseriti nell’agenda pubblica, almeno alla pari con altre questioni come il costo dell’energia e la dotazione infrastrutturale (in particolare tecnologica) che costituiscono il vero handicap che grava sul grado di competitività delle nostre Imprese. La Ricerca sembra assurdamente costituire un bene di lusso! La necessità di una discussione pubblica è indispensabile perché alcune domande riguardano gli utilizzatori della Ricerca (in primis le Aziende): 1) innanzitutto l’allocazione delle risorse: è giusto tenere in vita dipartimenti e centri di ricerca in cui più del 30% delle persone non fanno ricerca al di sopra di standard minimi? 2) come va utilizzati gli indicatori di valutazione della ricerca accademica per rafforzare gli istituti che hanno maggiori potenzialità e risulti più concreti; 3) è giusto concentrare gli investimenti su pochissime istituzioni di ricerca in grado di raggiungere una massa critica di scienziati di livello? 4) come vanno strutturare le reti collaborative tra istituzioni affinchè gli investimenti ed i risultati siano conndivisi; 5) qual è la strategia più efficace per consentire ai centri di ricerca italiani di crescere nella competizione mondiale, anche attraverso l’attrazione dei talenti. Contestualmente a questi interrogativi si pone la questione del modello di raccordo necessario tra ricerca, politica industriale e il tessuto e la tipologia delle aziende che abbiamo esaminato nel contributo (3) e che verosimilmente costituisce la realtà del prossimo futuro? Quale ricerca è maggiormente congeniale al nostro Paese? Dovremmo puntare quasi tutto sull’innovazione in aree collaudate – moda, turismo e alimentari – e indirizzare la “vera” ricerca in pochissimi settori, ben selezionati, giocando solo lì la nostra competizione col mondo globale della scienza? Di quale governance della ricerca abbiamo bisogno? Ogni Ministero per sé e “regole sparse” o serve una visione d’insieme e un’azione coerente nel tempo? Sono temi e dilemmi che sonno stati affrontati con una molteplicità di approcci, dati e contributi scientifici in un Convegno alla Bocconi su “La ricerca in Italia. Cosa distruggere, come ricostruire” ( Milano, 9 dicembre 2013). Certamente le risposte vanno cercate mettendo mano alla dotazione finanziaria, alla concentrazione ed all’efficientamento dell’uso delle risorse, all’applicazione di criteri rigorosamente meritocratici nella selezione dei ricercatori. Ma soprattutto deve entrare in campo un nuovo misuratore dell’intensità e qualità della comunicazione tra offerta (Ricerca) e domanda (Imprese). La Piattaforma collaborativa di Empleko affronta tale sfida e si propone come strumento decisivo per accelerare e concretizzare tale dialogo, introducendo il linguaggio, la metodologia e la pratica dell’open innovation, con modalità inedite nel nostro Paese.