Era forse inevitabile che sulla PaTreVe nascesse un forte scontro politico. Covava sotto la cenere. Prima la vicenda giudiziaria del Mose ha disarcionato il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, e, a ridosso, la vittoria di Massimo Bitonci al Comune di Padova, hanno gettato benzina. Le fiamme sono divampate, come si è visto, tra gli imprenditori della Marca e il governatore Zaia. Prima di alimentare un contenzioso ideologico o di schieramento, cerchiamo di rispondere alla domanda: serve la PaTreVe? La risposta non è immediata, perché il decreto legge Delrio 34/2014 non è assolutamente adeguato a rispondere alle questioni per cui dovrebbe essere istituita. Può servire, ma solo a determinate condizioni. Partiamo dal considerare l’area metropolitana come un processo economico e sociale. Ebbene, ci sono almeno tre indicatori che ci dicono che la PaTreVe c’è già: la mobilità, come giustamente rilevato da Sandro Mangiaterra su queste colonne ricordando una bella ricerca della Fondazione Pellicani, nella PaTreVe si verificano 90.000 spostamenti giornalieri (40.000 in treno), ovvero il 73% del trasporto pubblico dell’intero Veneto. A questi vanno aggiunti anche tutti coloro che partono e arrivano, merci comprese, dagli aeroporti di Venezia e Treviso, dal porto di Venezia e dall’Interporto di Padova. Il secondo indicatore è il primato in molte nicchie delle funzioni urbane superiori, come rilevato dalle ricerche curate da Paolo Perulli: sulle 72 differenti categorie di attività terziarie Padova è leader in 32, Venezia in 29 e Treviso in 7. Significa attività scientifiche, design, informatici, ricercatori ambientali, biotecnologi, artigiani digitali. Il terzo indicatore è il rango delle attività di servizio pubbliche e private che si insediano: sono a servizio non dei soli comuni dove sorgono ma di un’area ben più vasta. Queste caratteristiche definiscono l’area metropolitana come uno spazio in cui la densità di relazioni economiche e sociali aumenta la ricchezza prodotta. Gli indirizzi dell’Unione Europea configurano un sostegno «differenziale e rinforzato» alle aree metropolitane proprio perché sono le protagoniste vere, in luogo degli stati nazionali, della competizione globale. Senza indulgere in tecnicismi ciò avviene per varie ragioni: i flussi globali trovano nelle aree metropolitane porte di accesso e vie di uscita; le città sono sede di economie diversificate più ricche di quelle disperse; le attività terziarie si specializzano per via complementare, quindi si polarizzano; mercati più ampi (imprese e famiglie) attraggono più investimenti; e, infine, la mobilità delle persone e delle merci, più è veloce e più sono accessibili i luoghi, più aumenta il valore prodotto. Da quanto è stato detto, ne discende per forza che la forma istituzionale della PaTreVe deve accompagnare questi processi per beneficiare al massimo dell’intensificazione della produzione di ricchezza. Questo è un punto cardine della metropoli «policentrica» originale che è la PaTreVe. Se invece come, ahimè, già si stava facendo nella più vieta tradizione borbonica, si concepisce l’istituzione metropolitana come la condensazione di potere amministrativo, finalizzata a «portare a casa» più spesa pubblica in termini distributivi, ha ragione il governatore Zaia a definirla un «inutile carrozzone». Ma se si accettano le condizioni per cui l’area metropolitana PaTreVe è un moltiplicatore di produzione di ricchezza si riconoscerà che anche a Verona sussistono parametri simili, avviando processi di integrazione intermedia sulla linea Vicenza-Treviso e Pedemontana delle città impresa. La sua delimitazione deve discendere dai processi economico sociali, e non viceversa. Facciamo un esercizio. Se si disegnano sulla cartina geografica i Comuni in cui, tra i due censimenti 2001 e 2011, crescono la popolazione, le imprese e gli addetti viene fuori il nucleo primario della PaTreVe con 81 Comuni (15 del Veneziano, 36 del Padovano e 30 del Trevigiano). Come si vede da questi numeri, le aree di Treviso e Padova sono più metropolitane di Venezia: contra legem! Questa istituzione metropolitana può nascere già oggi, anche a prescindere dalla legge Delrio, per associazione volontaria e non per obbligo normativo: quindi esclusivamente sulla base di convenzioni contrattuali tra le amministrazioni comunali che vogliono farne parte. Queste forme di associazionismo funzionano quando c’è una fortissima spinta politica: Luciano Gallo lo ricorda sempre per il Camposampierese: per solidificare l’Unione di 11 Comuni i sindaci si riuniscono una volta a settimana; e una governance a rete, che integra le competenze esistenti dentro una visione e una strategia unitaria: per i programmi di sviluppo, l’erogazione di servizi, la concessione di autorizzazioni. Si considerino le vere e proprie rivoluzioni che una così concepita governance potrebbe realizzare in tempi «renziani»: unificare i servizi gomma ferro della mobilità eliminando i giganteschi doppioni e sprechi attuali; avviare progetti di rigenerazione urbana-industrial-terziaria nelle enormi aree dismesse (Marghera, Zip, S. Artemio), non a discapito del Veneto ma in alternativa a Milano e a servizio anche di un territorio che si estende fino a Lubiana e Klagenfurt (sloveni e carinziani dovrebbero venire qui per i servizi avanzati invece che per portarci via le aziende!); integrare l’offerta delle Università, Camere di Commercio, parchi scientifici tecnologici e multiutility dei rifiuti, dell’energia e del ciclo idrico, e le gestioni del Porto di Venezia e dell’Interporto di Padova. E’ del tutto implicito che una tale metropoli di «potenza» e non di «massa» potrebbe attrarre i fondi europei più pregiati, quelli per la ricerca, l’innovazione, le smart city, progettando in modo condiviso.
Questo articolo è l’anticipazione di una prossima pubblicazione sulla PaTreVe curata da Local Area Network a cui hanno collaborato: Gaetano Antonello, Dino Bertocco, Claudio Bertorelli, Luigi Brugnaro, Gabriella Chiellino, Giancarlo Corò, Federico Della Puppa, Cesare De Michelis, Sabrina Dorio, Paolo Giaretta, Maurizio Giufré, Lino Gottardello, Amedeo Levorato, Franco Lorenzon e Anna Orsini, Arturo Lorenzoni, Patrizia Messina, Maurizio Mistri, Michele Pasqualotto, Nicola Pellicani, Giuseppe Saccà, Ilario Simonaggio, Marco Tamaro, Elisabetta Vigato, Adriana Vigneri, Brunero Zacchei.
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