Non solo frustrati, ma anche rancorosi: alcuni esponenti del PD che non si rassegnano al nuovo corso renziano e, di fronte alle inevitabili resistenze che il processo riformatore incontra, piuttosto che contribuire ad arricchirlo e rafforzarlo, si dedicano a congetturare trabocchetti sul percorso parlamentare e tramare rivincite nella gestione interna del partito. Si dedicano cioè a coltivare, come scrive oggi sul Corriere della Sera E. Gali Della Loggia, la “vocazione minoritaria e nullista” della vecchia sinistra. L’aspetto più urticante delle loro iniziative è che, partendo dalla presunzione di essere ispirati eticamente e di tutelare i superiori interessi del Paese, si candidano in realtà a diventare il comodo paravento di persistenti e diffuse istanze corporative da un lato ed a giustificare la loro inconsistenza programmatica con un richiamo strumentale alle manifestazioni di disagio sociale. Il loro obiettivo è stato “rivelato” ieri da Rosy Bindi: ripristinare il coacervo ulivista per rifondare una “nuova sinistra riformista e plurale, ma sinistra”, aggiungendo che “allora, servirà oltre alle idee, la classe dirigente” (ma, perché allora e non subito?). Nel caso della vestale della purezza ideologico-morale, così come in quella del suo sodale in ricerca di rivincite, Massimo D’Alema, si potrebbe ricorrere – pensosamente e rispettosamente – ad argomentazioni robuste, per contestarne le reiterate op-posizioni alla strategia renziana, ma mi ostino a sottolinearne la matrice anagrafica. Ci troviamo in presenza di sessantenni di lungo corso che invece di meditare sui limiti e sulle contraddizioni della loro, peraltro ricca ed intensa, carriera politica e collaborare, seppur criticamente, ad irrobustire il processo di rinnovamento, si intestardiscono a progettare una rivincita sui quarantenni che hanno legittimamente deciso di accelerarne la corsa. Più che un possibile ritorno all’Ulivo, tutto ciò fa pensare alla triste immagine del Salice piangente.