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Sergio Fabbrini – 1 Aprile 2018 – Il Sole 24 Ore domenica

Le difficoltà della crisi politica italiana sono strutturali e non già contingenti. Quella crisi ha le sue radici nella trasformazione della politica nazionale, a sua volta accelerata dai cambiamenti intervenuti in Europa lungo le crisi multiple dell’ultimo decennio. Se così è, allora si uscirà dalla crisi politica solamente quando si formerà un sistema di partiti capace di rappresentare la frattura lasciata in eredità da quelle crisi, quella che contrappone coloro che rifiutano l’interdipendenza (i sovranisti) e coloro che la ritengono necessaria (gli europeisti). La frattura tra sinistra e destra non è sparita, ma ha assunto un ruolo secondario nella politica italiana. La soluzione della crisi politica italiana richiederà un processo, allo stesso tempo, di de-strutturazione e ri-strutturazione del sistema di partito, così da rappresentare la nuova divisione che c’è oggi nel nostro Paese. Mi spiego con delle date.
L’esito delle elezioni del 4 marzo ha portato a compimento una crisi politica iniziata (simbolicamente) il 16 novembre 2011 (quando si insediò il governo Monti). La nascita del governo Monti non fu dovuta ad un colpo di stato contro il precedente governo Berlusconi (come pure qualcuno continua a sostenere), ma alla irresistibile pressione sulla politica interna di fattori esterni (tra cui i mercati finanziari prima ancora che le autorità europee). Quella data mostrò in modo inconfutabile che l’Italia (al pari, seppure in misura diversa, degli altri Paesi europei) non disponeva più dell’autonomia per decidere le proprie politiche di bilancio sulla base dei propri processi elettorali.
Da quel 16 novembre 2011, la politica e l’elettorato italiani hanno cominciato a dividersi su come rapportarsi con l’interdipendenza del Paese. Con il successo elettorale, il 4 marzo scorso, della Lega e dei 5 Stelle quella divisione ha dato vita ad un polo sovranista (per ora) maggioritario, seppure differenziato al suo interno, perché caratterizzato dalla volontà di mettere in discussione i vincoli dell’interdipendenza. Se, per bipolarismo, s’intende la istituzionalizzazione di strategie politiche o visioni ideologiche alternative, è certo che i due vincitori delle elezioni (Lega e 5 Stelle) sono tutt’altro che alternativi.
Certamente i loro programmi elettorali sono diversi, i loro obiettivi sono distinti, i loro elettorati sono territorialmente differenziati. Tuttavia, essi condividono la stessa visione politica, quella di superare i vincoli esterni che si sono imposti sulle nostre esigenze interne. Una visione inconciliabile con l’attuale governance europea. Se così è, allora la politica italiana acquisirà un formato bipolare solamente quando si aggregherà un polo alternativo e competitivo di orientamento europeista. Il nuovo bipolarismo, però, avrà diversi ostacoli da superare. Per quanto riguarda gli europeisti, essi non potranno limitarsi a difendere l’interdipendenza così come si è sviluppata finora, visti i costi sociali che ha fatto pagare a quote considerevoli della popolazione italiana. Anche qui c’è una data, la fine del 2009, quando è arrivata in Europa la crisi finanziaria esplosa in America. Per rispondere a quella crisi, la Ue e l’Eurozona hanno approvato una successione di Trattati intergovernativi e di provvedimenti legislativi che hanno profondamente modificato la loro governance, rendendola sempre più regolamentata e centralizzata. Una governance che, essendo intergovernativa, nelle condizioni della crisi ha alimentato la sfiducia reciproca tra i governi, sollecitando quindi l’approvazione di nuove regole per tenere quella sfiducia sotto controllo. Come promuovere l’interdipendenza senza accettare l’invasività della governance europea sulle politiche nazionali? Questa è la sfida politica che gli europeisti dovranno affrontare.
Ma le sfide che dovranno affrontare i sovranisti sono (se possibile) ancora più complesse. Anche qui c’è una data, anzi due. La prima è il 23 giugno 2016, quando, in un referendum popolare, i britannici decisero di uscire dall’Unione europea. Molti pensarono (allora) che la decisione britannica avrebbe aperto la strada al successo dei sovranismi anche in altri Paesi. Così però non è avvenuto. La Brexit si è infatti dimostrata un insuccesso, economico oltre che politico. La seconda data è il 7 maggio 2017, quando, nel secondo turno delle elezioni presidenziali francesi, la candidata sovranista Marine Le Pen (che aveva promesso di portare la Francia fuori dall’Eurozona) ottenne il 33,9% dei voti. Seppure ragguardevoli, quest’ultimi erano poco più del 10% rispetto a quelli ottenuti nel primo turno del 23 aprile, mentre il candidato europeista Emmanuel Macron quasi triplicò i suoi. Dopo quelle due esperienze, è chiaro che il sovranismo radicale non può essere un’alternativa vincente all’integrazione sovranazionale. Di qui l’adozione, da parte delle forze sovraniste, di una strategia per svuotare l’integrazione dall’interno, nullificando molte delle competenze acquisite dalle istituzioni sovranazionali. Ma cosa significa ciò per l’Italia? E cosa significa svuotare dall’interno l’Eurozona? Per ora si può dire che il sovranismo è forte elettoralmente, ma molto di meno politicamente. Naturalmente, l’Italia non è un’eccezione. In quasi tutti i Paesi europei è emerso il contrasto tra esigenze interne e vincoli esterni, un contrasto che sta dando vita ad una nuova frattura politica. La frattura che nasce dall’interdipendenza del XXI secolo sta oscurando quella nata dall’industrializzazione del XIX secolo. Di qui le trasformazioni dei sistemi di partito. Si guardi la Francia, dove la principale frattura politica è tra la coalizione europeista di Macron e il nuovo Rassemblement sovranista di Marine Le Pen. Oppure si guardi la Germania, dove la Große Koalition è di fatto un partito coalizionale europeista cui si contrappone l’opposizione sovranista di Alternative für Deutschland. In entrambi i casi, ma ciò vale anche per altri Paesi, sinistra e destra non forniscono più i criteri per organizzare il sistema politico. In Italia, con le elezioni del 4 marzo, si è affermato un nuovo polo sovranista, sia pure internamente disomogeneo sul piano programmatico, che favorirà la nascita di un polo europeista (e non già di un nuovo “centro”). Si tratterà di vedere se il polo sovranista rimarrà maggioritario quando cercherà di portare l’Italia fuori dai vincoli dell’interdipendenza. Allo stesso tempo, si tratterà di vedere come il polo anti-sovranista riuscirà ad avanzare una prospettiva credibile di riforma di quei vincoli, per consentire all’Italia di rimanere al loro interno. Anche da noi, come si vede, la vecchia divisione tra sinistra e destra non aiuta ad affrontare le nuove sfide. L’Italia è parte di una trasformazione più generale che varrebbe la pena di capire prima di stabilire sia buona o cattiva.

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