Giuseppe Galasso, testimone del Sud la storia al servizio della buona politica
FRANCESCO ERBANI – Repubblica – 13/02/2018
Giuseppe Galasso, morto ieri a 88 anni nella sua casa affacciata sul mare di Pozzuoli, è stato uno storico di grande valore, ma non è semplice tenere stretta la sua biografia intellettuale dentro il recinto di una disciplina, nonostante ne sia stato un maestro lungo l’intero secondo Novecento. Galasso ha interpretato il mestiere di storico in senso spiccatamente civile. Sia che si occupasse del Mezzogiorno, studiandolo dall’età medievale fino alle questioni di più urgente attualità, sia che trattasse di Potere e istituzioni in Italia (è il titolo di un saggio einaudiano del 1974) o di questioni europee, la sua prosa densa e tornita evocava l’insegnamento di Benedetto Croce e la sua metodologia storiografica, assimilata attraverso la lezione di Federico Chabod. Ma, appunto, nella vita di Galasso ha un ruolo eminente l’impegno politico-culturale e anche politico in senso stretto.
A metà degli anni Cinquanta, giovane laureato, figlio di un piccolo artigiano con una bottega di vetreria nel centro storico di Napoli, borsista presso il crociano Istituto di studi storici, insieme a un gruppo di coetanei segue Francesco Compagna nell’avventura di Nord e Sud, la rivista che raccoglie le intelligenze liberaldemocratiche (Rosellina Balbi, Nello Ajello, Rosario Romeo e altri ancora) e che fronteggia i giovani marxisti di Cronache meridionali. È lì che si forma il suo meridionalismo, che non è solo una prospettiva dalla quale guardare alla storia del Mezzogiorno, ma è anche azione concreta, orientata in favore di un’integrazione delle regioni meridionali nel contesto italiano ed europeo, e contro ogni tentazione sudista (in quegli anni Napoli è dominata da Achille Lauro). Galasso si muove sui due fronti, scientifico e politico. Con il trascorrere degli anni allarga le sue collaborazioni giornalistiche, dall’Espresso al Corriere della Sera.
È un polemista efficace. Ma forse il volume che raccoglie appieno la sua impostazione meridionalista è un dialogo con Gerardo Chiaromonte, intitolato L’Italia dimezzata (Laterza, 1980), un dialogo serrato, controversiale, che comunque dà la misura di quale densità intellettuale possedesse quel dibattito, e di come questa sia poi evaporata.
La bibliografia di Galasso è vastissima. La storia del Mezzogiorno ne è il fulcro, ma sempre osservata come parte di quella nazionale e non solo nazionale e come chiave di volta per la soluzione di questioni che riguardano tutti. La Napoli spagnola, gli scritti di Antonio Gramsci, e poi Gaetano Salvemini, le indagini sullo stereotipo del napoletano, sui riti, sui santi e sulle feste. E quindi Croce, di cui fornisce un esauriente ritratto in Croce e lo spirito del suo tempo
(1990, poi aggiornato nel 2002), e al quale si dedica con costanza curando l’edizione delle opere per Adelphi.
Ma la bibliografia non basta a dar conto della personalità di Galasso. Non sono molte le leggi note con il nome di chi le ha promosse. La legge Galasso, forse la più innovativa norma a protezione del paesaggio, è una di queste. Fu varata nel 1985. Galasso, deputato del partito repubblicano, era da due anni sottosegretario ai Beni culturali nel governo che nel 1984, ministro Franco Nicolazzi, aveva approvato il primo condono edilizio. Lui, con la collaborazione di Antonio Iannello e di Paolo Maddalena, andò in direzione completamente opposta: vincolò per legge intere categorie di beni, le coste, le sponde di fiumi e di laghi, e poi colline, montagne e ghiacciai. Il paesaggio era definito un bene culturale e ambientale insieme. E le Regioni erano obbligate a redigere piani paesistici, altrimenti sarebbe intervenuto il ministero. Un sostanziale rovesciamento delle politiche fin lì adottate, attuato nella stagione d’oro della deregulation più spinta in materia urbanistica e che tuttora rappresenta un baluardo.
Anche in quell’intrapresa legislativa scorreva linfa crociana, del Croce ministro dell’Istruzione che nel 1920 aveva promosso una legge in difesa del paesaggio.