Il mood della Leopolda e della Piazza (1)

Tempo di lettura: 2 minuti

Un paio di premesse: 1) potendolo, avrei partecipato volentieri alla kermesse fiorentina; 2) nel mio curriculum uno “skill” che mi riconosco è rappresentato da una certa competenza professionale nella rottamazione degli ideologismi e pregiudizi  degli ex colleghi della CGIL,  esercitata nel “secolo scorso” attraverso una serrata e leale competizione, da cislino,  nell’ambito di quello che fu il dignitoso sindacato unitario CGIL CISL UIL.

Mi considero quindi un osservatore partecipe ed appassionato degli eventi , separati e contrapposti, andati in scena alla Leopolda ed in Piazza San Giovanni, perché cerco di scorgervi gli elementi  utili all’aggiornamento dell’agenda sociale e politico-culturale del Paese.

Ritengo che sia prioritariamente essenziale sottrarsi  alle cronache giornalistiche,  prevalentemente tese ad esasperare e “tribalizzare” le tensioni tutte interne al PD; più utile invece concentrarsi nella lettura,  da un lato, della tipologia dei partecipanti e, dall’altro, delle issues,  attese e  speranze che  sono emerse nelle due manifestazioni. Se i “cento tavoli” sono stati  imbanditi per sprigionare un pensiero creativo, il corteso di protesta è diventato una cerimonia liturgica con salmi e litanie rievocative della memoria, irrimediabilmente  spappolata dalla crisi. Da una parte l’energia ed il fervore di  generazioni che si propongono di affrontare con idee e procedure innovative le sfide del cambiamento, dall’altra un popolo frustrato  che rappresenta sofferenze reali e domande sociali legittime, ma esprime  anche disorientamento e slogan demagogici,  indotti  da un ceto professionale  “vintage” (copyright Rondolino): sindacalisti e politici politicanti del tutto incapaci di comprendere e praticare una strategia rivendicativa realistica ed efficace nel contesto di una trasformazione economica ed istituzionale epocale. Si tratta di una variopinta nomenclatura verbosa da talk show (dalla leziosità inconcludenti dei Vendola e dei Civati alle urla sconclusionate di Landini),  impegnata a salvaguardare la propria collocazione nell’ambito di una sinistra immaginaria, ma  incapace di aggiornare analisi, strumenti e programmi realmente popolari.

La tensione e l’apparente incomunicabilità emerse in questi giorni, costituiscono un problema che non attraversa solo il PD; è l’intero Paese che richiede che siano superate le crescenti distanze tra i protagonisti della governance ed soggetti sociali e politici che si candidano a rappresentare il disagio sociale; in mezzo ci sono le  asimmetrie tra i le giuste  terapie del risanamento finanziario e le procedure necessarie  per alimentare il dialogo e la riflessione, tra la rapidità dei processi decisionali  e la tempestività e trasparenza dei numeri e degli effetti che con essi si vogliono ottenere. Può  sembrare paradossale, ma il “metodo Leopolda” andrebbe moltiplicato (recuperando un vecchio slogan) per 10-100-1.000 volte! Le elaborazioni fiorentine costituiscono infatti appunti e suggerimenti che hanno bisogno di essere approfonditi e declinati nei diversi contesti  territoriali, da nord a sud:  sul piano metodologico  sottoponendoli   al vaglio di platee molto più vaste e rappresentative a partire dagli organismi e dalle strutture organizzative del PD, il  Partito che ricopre la responsabilità più cospicua nelle scelte di Governo del Paese; sul piano sostanziale perché il fervore e la progettualità rivolta al futuro osservati alla Leopolda, debbono  trovare il modo di contaminare il “popolo della protesta” per sottrarlo alla deriva protestataria  ed orientarlo ad un confronto e ad una discussione più consapevoli delle reali poste in gioco, ovvero che l’ipotesi dello sciopero generale tradisce e compromette prima di tutto gli interessi del mondo del lavoro.

Leadership, trasparenza e responsabilità per la nuova Europa

Tempo di lettura: < 1 minuto

Sostiene Antonio Polito sul Corriere odierno “C’è lettera e lettera. Quella «strettamente confidenziale» che trovate oggi su tutti i giornali, inviata dalla Commissione europea all’Italia, è severa nella forma; ma è niente a cospetto dell’altra ben più drammatica spedita nel 2011 dalla Bce, che fu l’inizio della fine dell’era Berlusconi (e infatti quella il governo la tenne riservata; questa invece è stata subito resa pubblica, con grande irritazione di Bruxelles)”. Credo che la scelta di Renzi non sia un atto da “guascone”, bensì un doveroso atto di coraggio: mettere “le carte sul tavolo” corrisponde infatti alla scelta di chiedere ai capi di Stato e di Governo europei la responsabilità di esercitare in modo più trasparente e leale un potere decisionale sulla strategia di sviluppo (che comporta anche l’adozione di criteri di flessibilità nella valutazione dei Bilanci nazionali che non rispettano le regole). E’ abbastanza evidente che finora alcuni Paesi ed in particolare la Germania, ha “giocato di sponda” con la tecnostruttura di Bruxelles sottrarsi ad un confronto strategico sulle misure necessarie per condividere realmente un programma di superamento della crisi che richiede un surplus di realismo e solidarietà di cui, negli ultimi anni, non c’è stata traccia nella governance europea. Sarebbe il caso che i giornalisti ed i rappresentanti del mondo politico italiano abituati a leggere  e giudicare gli eventi extranazionali con “occhiali da cortile”, facessero uno sforzo di comprensione sul significato e la valenza di atti che debbono essere ispirati e valutati con una concezione della Politica forte, autorevole, efficace, finalizzata non ad uno sterile protagonismo bensì ad una difesa autentica degli interessi nazionali.

Introduzione al tema dell’Open Innovation

Tempo di lettura: < 1 minuto

intro1. Per quanto riguarda la realtà italiana rinvio ad una mia presentazione nella quale passo in rassegna le esperienze e documentazione http://www.slideshare.net/dinobertocco1/progetto-empleko

2. Sul piano della riflessione più generale suggerisco una fondamentale intervista dello scorso anno nella quale il padre dell’open innnovation aggiorna e passa in rassegna le sfide cruciali del tempo presente: Open Innovation Past and Present: an Exclusive Interview with Henry Chesbrough

Impariamo a collaborare. La proposta per un Network italiano dell’ Open Innovation

Tempo di lettura: 3 minuti

barrettUn anno di  full immersion nella realtà italiana dei costruttori di innovazione, attraverso il confronto e la connessione con la vasta platea di ricercatori, imprenditori, professionisti, divulgatori  che costituiscono  una sorta di barriera corallina antideclino ed  il laboratorio nel quale si elaborano strategie e strumenti per innervare le filiere produttive, riorientare i sistemi territoriali, aggiornare i contenuti e le metodologie dei processi di formazione e consulenza: questo il compito che si è assegnato il Team di EMPLEKO e che ora sfocia nel Workshop organizzato in collaborazione con CSP-Innovazione nelle ICT. Il percorso che porta all’appuntamento milanese è contrassegnato da una molteplicità di azioni: incontri, seminari, ricognizione degli Enti e delle Agenzie impegnati nell’ambito della R & D, partnership con Università ed Imprese, analisi e benchmarking delle esperienze di open innovation, focalizzazione degli aspetti più propriamente tecnologici ed organizzativi che (ancora) rallentano una più fluida circolazione di idee, proposte, brevetti. Obiettivo  di tale umile ed intenso  lavoro preparatorio era – e sarà al centro della discussione alla Fondazione Bassetti –  la messa a punto di una proposta strategica  in grado di  far compiere – in particolare al sistema delle PMI – il salto di qualità sul piano dell’efficientamento, produttività, competitività in un mercato globale a cui stanno accedendo un numero insufficiente di protagonisti italiani.

GIORNATA DI LAVORO sul tema dell’OPEN INNOVATION in ITALIA

CSP‐Innovazione nelle ICT ed  EMPLEKO promuovono una giornata di confronto e riflessione fra alcuni protagonisti italiani dell’Innovazione aperta con l’obiettivo di dare vita a un network italiano dell’open innovation:

Giovedì 30 ottobre 2014, ore 10.00 – 17.00 Fondazione Bassetti. Via Michele Barozzi, 4 ‐Milano

Il tema dell’innovazione e in particolare dell’Innovazione Aperta è nell’agenda di soggetti pubblici, dei programmi di finanziamento della programmazione 2014‐2020 della UE e anche di alcune aziende.

Le esperienze si moltiplicano, a partire da progetti europei, iniziative di formazione e promozione, occasioni di collaborazione e piattaforme online.

Si tratta dell’ennesima buzzword, di mera speculazione scientifica o ci sono concrete opportunità di avere impatto sulla competitività del sistema economico e del Paese?

Da queste riflessioni nasce la proposta di una giornata di lavoro e confronto divisa in 4 sessioni fra una selezione di Operatori regionali e nazionali dell’Innovazione Aperta.

PROGRAMMA DI LAVORO

Dopo i saluti del Presidente della Fondazione, Piero  Bassetti, l’incontro si articolerà in quattro sessioni che affronteranno i temi cruciali e le loro ricadute operative.

Prima Sessione: Scenario di riferimento e condivisione delle definizione di innovazione aperta.

Domande chiave:

  • Abbiamo una definizione comune di Innovazione Aperta con alcuni punti fondamentali condivisi?
  • Parliamo tutti della stessa realtà?
  • Come ognuno dei partecipanti ha declinato l’idea di Innovazione Aperta in azioni concrete?

Seconda sessione: Le priorità pubbliche in termini di innovazione e innovazione aperta.

  1. Dove, come e con quali risorse è presente l’Innovazione Aperta nei programmi EU, nazionali e nei POR regionali?

Terza sessione: Prospettive dell’Innovazione Aperta

Domande chiave:

  • Quali sono le condizioni per introdurre l’Innovazione Aperta in Italia?
  • Ci sono sufficienti sensibilità e bisogni?
  • Le prospettive dell’innovazione aperta sul versante delle imprese e dei centri di ricerca:
  • Come rapportarsi con le PMI
  • Che ruolo possono svolgere le Associazioni di categoria?
  • È meglio il marketing mirato?
  • Come avviare percorsi di coaching per gli imprenditori per aiutare le PMI a percorrere la strada dell’open innovation?
  • I centri di ricerca e il trasferimento di tecnologie: è più conveniente avviare una svendita dell’innovazione o meglio ripensare il rapporto tra centri di ricerca e mercato?

Quarta sessione: Come favorire i processi di networking e di Open Innovation tra gli operatori dell’Innovazione Aperta in Italia?

Per informazioni e adesioni:

Michela Pollone, pollone@csp.it

Cristiano Buffa, cristianobuffa@gmail.com

 

L’esortazione di Stella ai veneti ed il ruolo dell’informazione

Tempo di lettura: 2 minuti

Vent’anni fa, con Schei, Stella aveva indugiato sulla fenomenologia del Veneto affluente, con annotazioni superficiali, acrimoniose e distorsive di un’antropologia socio-culturale che, pur appesantita da persistenti elementi di venetismo localista e regressivo, era ed è connotata da un’indomita energia sfidante i limiti storici di una terra segnata dalla povertà e dall’immigrazione, ma orientata dal valore guida dell’emancipazione più che dall’ossessione per il danaro. Nel frattempo la Regione ha assorbito ed integrato 500.000 immigrati, ha dapprima sperimentato la delocalizzazione e successivamente si è avviata nel percorso dell’internazionalizzazione con Imprenditori e Marchi che stanno assumendo un ruolo decisivo di traino e spinta alla competitività globale del sistema territoriale, si è dotata di prime infrastrutture fondamentali, si è incamminata in un irreversibile processo di terziarizzazione attraverso la qualificazione dell’offerta in comparti nei quali primeggia (dal Turismo alla filiera enogastronomica), ha iscritto nell’Agenda politica la questione delle riforme istituzionali. Restano tensioni e dilemmi fondamentali, ma in questa fase la sfida prioritaria è sicuramente quella della rigenerazione etico-civile, ovvero la capacità di guardare dentro alla “comunità veneta”, focalizzando   le ragioni ed i protagonisti reali del conflitto in corso tra innovatori e conservatori. C’è quindi bisogno di maggiore sincerità e documentazione, anche attraverso una discussione pubblica ed un sistema di comunicazione che consenta di andare oltre le rappresentazioni giornalistiche (e qualunquistiche) che si soffermano su letture macchiettistiche, parziali, pessimistiche e vittimistiche. Tale approccio ha – di fatto – evitato di affrontare la complessità e contraddittorietà dei processi di cambiamento ed oscurato i meccanismi di manomissione della governance regionale ad opera di protagonisti comunque osservati e omaggiati dal sistema dei media (affidando alla sola magistratura il compito di discriminazione: mi si spieghi per esempio la distinzione etico-morale tra Galan ed i suoi figliocci come Zaia ed il Tosi – citato da Stella). Abbiamo bisogno di nuovi leader (in tutti gli ambiti professionali ed associativi) e nuove “penne” in grado di promuovere maggiore riflessività e consapevolezza, di alimentare cioè l’informazione ed il dibattito per un’opinione pubblica nel Veneto a cui siano sempre più chiari i contenuti delle sfide e delle scelte che attengono alla responsabilità di tutti.

Da REbuild 2014 non solo la progettualità per lo sviluppo sostenibile, ma anche un’agenda di azioni ed obiettivi concreti e praticabili.

Tempo di lettura: 4 minuti

REbuild bSono trascorse un paio di settimane dalla conclusione della due giorni di Riva del Garda come”  nei quali gli esponenti più prestigiosi e qualificati dell’intera filiera del mercato delle costruzioni sono stati interpellati  e coinvolti per discutere e focalizzare le scelte strategiche ed operative su tutte le questioni  cruciali: quali  tecnologie sono le più efficienti e sostenibili? Quali gli strumenti finanziari stanno dimostrando la loro efficienza? Come è possibile massimizzare i risultati? Per i Professionisti e gli Operatori che hanno avuto la fortuna di parteciparvi (anche attraverso l’intenso scambio diretto di esperienze),  la complessità dello scenario e gli  strumenti con cui affrontarlo sono apparsi più chiari e la prospettiva immediata si è presentata densa di opportunità. Restano  per l’intero settore  e per i contenuti l’adozione tempestiva di una efficace strategia di sviluppo sostenibile, le indicazioni operative riassunte nel Comunicato che ritengo  utile riprodurre.

COMUNICATO STAMPA – 26/09/2014

Chiude REbuild 2014, «L’impegno civico alla base della riqualificazione sostenibile»

Proposto un credito d’imposta per investimenti privati nella riqualificazione di edifici pubblici. Numeri in crescita per la convention nazionale sulla riqualificazione e gestione sostenibile dei patrimoni immobiliari. Miorin: «Il mercato è maturo per il deep retrofit, la riqualificazione profonda degli edifici». Rick Fedrizzi, presidente U.S. GBC «riqualificare per tutelare il vostro paese»

***

“L’Italia va riqualificata – è il messaggio di Rick Fedrizzi, Presidente e CEO dell’U.S. Green Building e originario proprio del Trentino -. Noi dobbiamo riqualificare questo patrimonio immobiliare nel rispetto della conservazione della storia e della cultura di un luogo. Il futuro dell’edilizia è capire le performance e le dinamiche dell’edificio per renderlo sostenibile. I cittadini non possono più ignorare quanto la riqualificazione le farà risparmiare, quanto più sane saranno le loro abitazioni, quanto più durature.”

Rick Fedrizzi, il leader del movimento della sostenibilità nell’edilizia negli Stati Uniti e nel mondo, ha chiuso così la terza edizione di REbuild a Riva del Garda (TN).

La convention nazionale sulla riqualificazione e la gestione sostenibile dei patrimoni immobiliari in Italia, organizzata da Habitech, Progetto Manifattura e Riva del Garda FiereCongressi, ha riunito una volta di più i principali player del settore con lo scopo di spingere sempre di più il mercato del retrofit.

Molti gli spunti di riflessione e gli strumenti pratici presentati nel corso della due giorni, come quello  arrivato dall’Inghilterra e presentato da Ian Orme, esperto Soft Landing di BSRIA (The Building Services Research and Information Association) che ha presentato in anteprima questa pratica che garantisce un passaggio “morbido” tra progettazione, costruzione ed occupazione dell’immobile. Una tecnica, quella del Soft Landing, che consente di allineare l’immobile al suo utilizzo e migliorare le prestazioni reali: “Il Soft Landing è fatto per consegnare all’utente finale l’edificio al massimo delle sue performance sin dal momento in cui viene occupato – ha relazionato Ian Orme -, ed è un concetto completamente sconosciuto in Italia. Spero che, grazie anche alla presentazione di oggi, sia possibile diffondere questa pratica anche nel vostro Paese, sia nel pubblico che nel privato”.

Ha riscosso molto interesse anche la sessione di Lennart Lifvenhjelm, Head of Technical Support di Vasakronan, il principale portafoglio immobiliare svedese. Lifvenhjelm ha portato alla platea l’esempio virtuoso dell’operatore scandinavo Vasakronan, che ha ridotto il consumo energetico del proprio portafoglio immobiliare (192 edifici) ben del 50% in meno rispetto alla media. Molto partecipata anche la sessione curata da Paul Harrington (Real Estate Director, PricewaterhouseCoopers) che ha svelato i numeri del caso di riqualificazione più ambizioso di Londra: Embankment Place. L’edificio ha ridotto del 40% le sue emissioni, e produce on-site il 60% del suo fabbisogno energetico: a REbuild ha stupito la platea con i dettagli su approccio, tecnologie, criticità e numeri effettivi dei risultati energetici, costi e dei risultati organizzativi e produttività.

Gianluca Salvatori, ideatore e gestore di Progetto Manifattura e co-ideatore di REbuild, ha chiuso con un messaggio importante: “I cittadini e il settore privato possono essere il meccanismo per lanciare la riqualificazione sostenibile del paese”. Salvatori ha proposto un credito d’imposta per investimenti privati nella riqualificazione di edifici pubblici. “Lo scenario si sta chiarendo – precisa Salvatori-: la riqualificazione prevale sulla compravendita e richiede nuovi schemi di finanziamento, in quanto gli incentivi tipo eco-bonus hanno privilegiato i micro interventi scollegati, muovendo tuttavia ingenti risorse private. Bisogna lavorare in due direzioni: da una parte studiare nuovi meccanismi per interventi di scala maggiore e più integrati, ma sempre sul residenziale (e il mercato si sta adeguando spontaneamente); dall’altra inventare un meccanismo appropriato per gli interventi sul patrimonio di interesse pubblico, che sempre meno potrà contare su risorse adeguate da parte della finanza pubblica. Dobbiamo attivare il ruolo del privato nei confronti di un patrimonio che riveste un cruciale valore simbolico e di attivazione, perché restituisce qualità allo spazio pubblico e incrementa il benessere a livello individuale”.

La proposta che esce dagli organizzatori di REbuild è provocatoria: “Crediamo che si possa canalizzare una parte dell’investimento privato verso la riqualificazione di edifici pubblici. E questo lo si può fare con un meccanismo di credito di imposta, simile all’eco-bonus ma rivolto a beni di pubblica utilità (scuole, case di cura, ospizi, ecc) e quindi con percentuali di incentivazione più alte, o con altresì strumenti quali social bond remunerati in base ai risparmi di gestione ottenuti”.

Thomas Miorin, direttore Habitech e co-ideatore di REbuild ha infine tirato le somme: “La terza edizione porta un messaggio a favore di una riqualificazione radicale, per questo anche il programma dell’evento ha subito una innovazione radicale. Stiamo introducendo dei concetti nuovi, come deep retrofit e soft landing, stiamo ragionando in modo aperto e collettivo intorno a nuove modalità per re-inventare l’edilizia. La riqualificazione in Italia può essere un motore di sviluppo economico grazie alle opportunità offerte dagli interventi sugli edifici esistenti: possibilità in termini di risparmi energetici e in termini di lavoro creato. L’edilizia, la riqualificazione e l’efficientamento energetico sono i settori che più possono portare posti di lavoro, come dimostrato anche da molti studi internazionali. C’è bisogno di reinventare il modo in cui si organizza il lavoro all’interno della filiera dell’edilizia ed è quello che stiamo facendo qui a REbuild: persone con competenze diverse, dalla finanza al real estate, costruttori e progettisti, stanno immaginando un nuovo modo di assemblare e di far funzionare la supply chain della filiera. Il mondo dell’economia è qua, in tutti i suoi settori. Non si sente però il mondo della                 politica, che rimane forse un po’ troppo in silenzio su questo tema”.

Emanuele Bompan, Stefano Mandelli e Massimo Frera

Ufficio Stampa REbuild 2014

comunicazione@rebuilditalia.it

www.rebuilditalia.it

Solipsisti e narcisisti di tutta Europa…impariamo a collaborare!

Tempo di lettura: 7 minuti

NarcisistaLo sviluppo scientifico-tecnologico e la proliferazione di scelte professionali ed expertises, la corsa alla specializzazione e la ricerca necessitata di un profilo personale originale per essere riconosciuti (e gratificati) in un mercato del lavoro flessibile, la rivoluzione digitale che ha spettacolarizzato l’esplosione della soggettività: tutto ciò ha creato un ambiente umano-sociale euforizzante ed allo stesso tempo artificioso, entusiasmante ma anche disarmante, sovrabbondante di opzioni ed opportunità nell’ambito delle molteplici varianti dei nostri bisogni e desideri sociali, ma anche sfidante ed usurante.
Siamo immersi in un palinsesto che sollecita i nostri sentimenti, da quelli più profondi che hanno a che fare con l’autorealizzazione, la creatività e la relazionalità, a quelli che appartengono alla sfera del loisir (alimentazione, welness & turismo, informazione & cultura-spettacolo) e ad una più attenta e consapevole cura di sé (dalla qualità e continuità dei programmi educativi e di aggiornamento all’invecchiamento attivo per espandere gli anni di vita vissuti con intensità).
Il godimento di tali benefici ci sottopone all’esercizio quotidiano di nuovi alfabeti e linguaggi, ci impone la conoscenza ed il rispetto di nuovi protocolli ed a fare i conti, sia nella dimensione privata che in quella professionale e pubblica, con un quadro di crescente complessità, attraverso un “monitor” che ci indica quotidianamente l’intricato reticolo di vincoli e scelte operative.
Siamo anche noi sottoposti ad uno “stress test” che verifica costantemente il nostro background professionale, le coerenze comportamentali, il livello di conoscenza-consapevolezza posseduto e la capacità di affrontare – in termini di benessere psicofisico e consapevolezza – problemi e dilemmi la cui soluzione sfugge ai canoni conosciuti e dominati, e perciò richiede un permanente investimento intellettuale ed emotivo.
Lasciando alla competenza dei sociologi l’indagine sui fattori determinanti e sulle caratteristiche del mutamento antropologico-culturale in corso, mi interessa qui evidenziare come l’evoluzione e l’arricchimento (che ne è conseguito) della nostra identità costituiscono il vero motore di quell’economia della conoscenza, la cui affluenza – nell’ultimo ventennio – è stata osservata e descritta in lungo ed in largo, ma verosimilmente non ancora ben compresa ed indagata sotto il profilo del cambiamento strutturale che essa ha prodotto per la sua incidenza sulle scelte di vita delle persone, delle organizzazioni, delle rappresentanze.
Si pensi in particolare agli effetti sul mercato del lavoro, che hanno suggerito al futurologo e visionario Jeremy Rifkin l’inverosimile (ed ovviamente non avveratasi) “fine del lavoro”; oppure alle varie narrazioni sull’avvento dei knowledge workers o sulla moderna fiaba del “futuro artigiano”: tentativi di trovare un’interpretazione compiuta alla fenomenologia del “cognitariato” che in gran parte dei Paesi occidentali ad alto tasso di sviluppo, sul piano occupazionale ha progressivamente spiazzato e sostituito la realtà sociale del proletariato sorto ed espantosi con lo sviluppo industriale.
Il fatto è che da parte di molti analisti si è tentato di imbrigliare l’energia della soggettività emergente con strumenti interpretativi, parametri valutativi e contenitori organizzativi del tutto inadatti, nella speranza che i valori ed modelli storicizzati potessero essere sovrapposti ad una realtà sociale mutante ed inedita; quasi tutti i tentativi in tal senso si sono rivelati effimeri e sono stati letteralmente bruciati; la persistenza della crisi sta dimostrando che, in buona misura, essa è anche il risultato dell’incapacità di comprendere i paradigmi di una nuova strategia di sviluppo, le chiavi di accesso ad un futuro che segna una discontinuità storica shoccante.
Il “vecchio” cantore dei Distretti industriali Giacomo Beccattini è lo studioso che, invece, non si è fatto trovare impreparato di fronte al cambio epocale; cito a memoria una affermazione che ne riassume il (condivisibile) pensiero: “prima della crisi abbiamo imparato a produrre; durante la crisi abbiamo imparato a convivere; dopo la crisi dobbiamo imparare a con-produrre”.
Un’altra citazione, che sintetizza un approccio analitico brillante nello studio della rottura dei modelli organizzativi consolidati, si riferisce al docente di Management ad Harvard, Frank J. Barrett, autore del volume “Yes to the Mess: Surprising Leadership Lessons from Jazz”, pubblicato in Italia con il titolo “Disordine armonico” ed è la seguente: “il tessuto connettivo che unisce opportunità e attuazione è ancora in via di sviluppo”.
Naturalmente, per illustrare ancora meglio il pensiero che qui voglio esprimere, non può mancare un riferimento al fondamentale libro di Richard Sennett, Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, una sorta di manifesto-invito ad affrontare la grande trasformazione in atto in tutte le società occidentali riprendendo a coltivare una qualità innata dell’uomo, (di cui è dotato fin da neonato), ovvero la capacità di cooperare; oggi – insiste l’autore – gli è richiesto di esercitarla ed approfondirne la valenza, al fine di farla diventare un’abilità sociale in grado di consentirgli di realizzare opere e conseguire risultati che da solo non potrà più conseguire nel contesto economico mutato in modo così profondo da rendere presuntuosa, velleitaria ed inefficace l’azione individuale.
Purtroppo la perspicacia, le intuizioni e le indicazioni generose che ho espunto tra i molti testi che negli ultimi anni si sono cimentati con il tema del cambiamento necessario, sollecitato dalla crisi, impattano con una realtà vischiosa costituita dalla diffusione di una soggettività che si è spinta molto oltre i confini tradizionali dell’esercizio dell’affermazione individuale, esondando in una sorta di narcisismo che alimenta (in una prima fase positivamente) processi conflittuali nelle strutture organizzative tradizionali, introducendovi rotture e sperimentandovi innovazioni procedurali, ma fatica a coagularsi e consolidarsi in un movimento che valorizza la ricchezza delle persone assumendo la cultura della collaborazione come orizzonte culturale ed etico-sociale condiviso.
La strategia del win win si è certamente affermata, ma prevalentemente come artificio retorico per catturare – da parte dei soggetti forti operanti nel mercato – risorse professionali dinamiche ed energie intellettuali fresche espresse dalle giovani generazioni, all’interno di contesti sociali, imprenditoriali e politici nei quali hanno continuato a prevalere strutture e pratiche di potere gerarchico-organizzativo tradizionali, esercitato attraverso variazioni ed aggiornamenti (e camuffamenti) del leaderismo carismatico, dell’individualismo proprietario, dell’autoreferenzialità.
Il risultato sotto gli occhi di tutti coloro che si sforzano di comprendere le ragioni non congiunturali della crisi perdurante, attraverso una lettura svincolata da collocazione/ruolo/successo in ambito socio-politico o professionale-economico, è il seguente: il modello di sviluppo alimentato dalla competitività non accompagnata da una regolamentazione finalizzata a verificarne i benefici pubblici e ad incentivarla costantemente (per liberare tutte le risorse imprenditoriali portatrici di innovazione e incremento della produttività), si è inceppato.
I meccanismi della crescita sono ostruiti dalle infinite manifestazioni di autosufficienza, ovvero dai diffusi fenomeni di degenerazione dello spirito imprenditivo-professionale in corporativismo e monadismo a-sociale (altro che liquidità!) che ostacola e rallenta i processi di aggregazione-trasformazione indispensabili ad affrontare le nuove sfide della competizione globale.
Il mainstream della conservazione si nutre della frammentazione e dell’autodifesa da parte del caleidoscopio di mondi, soggetti, gruppi per i quali la rigenerazione della propria identità rappresenta una minaccia piuttosto che una sfida affascinante; gli apparati sedimentatisi all’interno delle istituzioni, le nomenclature politiche ed associative, il giornalismo sobillatore e qualunquista, il mondo bancario e delle imprese refrattario alla competizione trasparente, le corporazioni professionali rattrappite negli albi a difesa di anacronistici privilegi, esercitano una soggettività passiva, ovvero resistente alla domanda di cooperazione-integrazione-innovazione che si manifesta (anche) attraverso la voice di nuove generazioni (giustamente) impazienti di entrare in gioco.
Il paradosso del tempo presente in Italia ed in Europa è che la ripresa economica è possibile solo a condizione di innescare processi di maggiore integrazione attraverso l’abbattimento di barriere (obiettivo efficienza & competitività) contestuale alla moltiplicazione ed espansione delle reti con il finanziamento delle reti. E ciò è reso possibile se il solipsismo e narcisismo, la cui espressione massima è rappresentata dai risorgenti nazionalismi (macro nella versione tedesca, micro nei sussulti indipendentisti scozzesi e baschi), che a loro volta costituiscono la condensazione dei molteplici interessi annidati nei territori e nelle aggregazioni lobbistiche sociali ed economiche, piccole e grandi: si tratti di banche cooperative tedesche o di contadini francesi, di corporazioni professionali che erigono barriere alla libera circolazione o di utilities che operano al riparo di normative e regolamentazioni protezionistiche.
Questo coacervo di egoismi ed arretratezze va aggredito con la forza di tutti i soggetti che hanno acquisito la consapevolezza che gli interessi possono essere meglio salvaguardati all’interno di un sistema che privilegia i processi di innovazione sociale realizzati attraverso la condivisione della conoscenza.
Gli effetti positivi di tale scelta non vanno compresi solo per l’effetto spillover (su cui ha insistito Clay Shirky con le sue tesi ottimistiche sul surplus cognitivo), ma soprattutto perchè rappresentano l’orizzonte etico e culturale di una nuova civiltà dello sviluppo sostenibile che non sacrifica i talenti personali e l’affermazione individuale ma crea una cornice ed un contesto favorevole alla loro più piena maturazione e produttività, in tutti gli ambiti: a cominciare dalla ricerca (che senso hanno ventisette “CNR” in Europa e sistemi non integrati in rete, con impressionanti sovrapposizioni e diseconomie ….) proseguendo per l’integrazione interprofessionale (ora sostenuta dal FSE); dalla gestione d’impresa alla progressione geometrica dell’associazionismo finalizzato all’innovazione finanziaria, organizzativa, tecnologica; dalla cittadinanza attiva resa maggiormente praticabile dal digitale (e-participation) alla governace istituzionale per la quale la dialettica politica deve comunque finalizzata al superiore interesse delle comunità a tutti i livelli…..
Si tratta di una svolta resa possibile dalle scelte individuali con cui tutti siamo chiamati a ri-orientare l’orgoglio che alimenta il solipsismo ed il narcisismo, nell’alveo di un impegno impastato di umiltà, ascolto, riconoscimento della funzione decisiva del rapporto collaborativo con gli degli altri.
Con la dote di visionario che lo contraddistingue (e che ho già sottolineato) Jeremy Rifkin tratteggia nella sua ultima opera (La società a costo marginale zero, Mondadori, Milano) il mutamento di scenario così rilevante da ritenere che la terza rivoluzione industriale (risultante dalla connessione digitale di ICTs, energie rinnovabili e logistica), “si sta traducendo in una forte spinta alla produttività sino al punto di azzerare pressoché del tutto i costi marginali di produzione per numerosi beni e servizi, rendendo gli uni e gli altri pressoché gratuiti e talmente abbondanti da non essere, alla fin fine, più soggetti alle forze e ai vincoli del mercato”.
Saremmo cioè in presenza di una trasformazione epocale che prelude alla formazione di un sistema economico nel quale si andrà affermando il nuovo paradigma del “Commons collaborativo”, “caratterizzato dalla gestazione e progressiva affermazione di un’economia più empatica e sostenibile, tale da coinvolgere e collegare, attraverso una filiera complessa di network globali, tutto con tutti, milioni di individui e soggetti diversi”.
Rifkin ha ottime ragioni ed argomenti persuasivi nel descrivere tale suggestiva sceneggiatura, ma credo che il passaggio decisivo è legato all’evoluzione dell’identità profonda, ovvero alla capacità degli uomini di decidere che nel palinsesto del futuro la qualità ed il benessere non siano l’output di un ambiente naturale pervaso da tecnoscienza, informatica ed intelligenza artificiale, bensì la conseguenza di modelli relazionali impregnati di fiducia reciproca, apprezzamento etico ed estetico dello scambio collaborativo, che attestino il superamento dell’attuale stagione adolescenziale in cui stanno prevalendo l’illusione narcisistica e la diffusa pratica del solipsismo.

Ottuagenari boriosi e sessantenni frustrati, siate più sereni (ed obiettivi)!

Tempo di lettura: 4 minuti

Renzi bambinoGufi , rosiconi, pessimisti, menagramo ed altri epiteti, adottati nei confronti della “fronda” antirenziana, formatasi e – dopo l’iniziale sorpresa per le modalità ed il linguaggio con cui si è affermata la nuova leadership del Presidente del Consiglio – consolidatasi ed estesasi nelle ultime settimane, costituiscono una legittima reazione di autodifesa ma non aiutano molto a comprendere le motivazioni “paraculistiche” che hanno sospinto una vasta platea di giornalisti, intellettuali soi-disant, cicisbei e urlatori della sinistra catacombale, oppositori & dissenzienti PD lunari, sindacalisti fuori tempo massimo (per credibilità), a schierarsi contro, riesumando argomentazioni e ragioni che tradiscono chiari sintomi da burn-out. In un imbarazzato, ma lucido ed intelligente post del 24 settembre scorso, Luca Sofri evocava il “lato oscuro” della “Forza contro Renzi”, indicando “nel sonoro ribollire di mugugni contro Matteo Renzi…una categoria antropologico-giornalistica estesa ma individuabile” ed analizzandone le motivazioni. Affido all’intervento del Direttore del Il Post e a tre editoriali particolarmente pungenti (rispettivamente di Angelo Panebianco, Michele Salvati e di Giuliano Ferrara) l’analisi più pregnante dal punto di vista cultural-politologico delle polemiche ormai quotidiane che accompagnano l’azione di Governo e di gestione del Partito democratico da parte di Renzi e mi assegno – in questa occasione – un ruolo di osservatore informato sui fatti e sui personaggi che si stanno particolarmente agitando (ed anche vaneggiando) di fronte alla rottura dello “schema di gioco” che si è determinato nel quadro politico. E pertanto mi limito ad annotare alcuni giudizi e valutazioni che sembreranno sbrigative, ma esplicitano un pensiero meditato. Sulla “fenomenologia Renzi” ho già avuto modo di sottolineare che sarebbe saggio ascoltare il monito di Papa Francesco (“ In verità, sono convinto che se facciamo il progetto di evitare le chiacchiere, diventiamo santi”), e ritengo quindi preferibile focalizzarmi su una metafora semplice semplice. Nelle famiglie in crisi (e l’Italia lo è in modo drammatico) capita che ci sia il figlio più giovane ed esuberante che percepisca il rischio di un declino inarrestabile e dia una sveglia a tutta la compagine. In questo caso l’atteggiamento più ragionevole dei componenti dovrebbe essere quello di assecondarne la genuina energia rinnovatrice, contribuendo ad irrobustirla ed orientarla a rimuovere le cause delle difficoltà, i vizi e le inerzie che hanno determinato il dissesto. L’Italia come sappiamo – purtroppo – non è un Paese normale e quindi assistiamo ad una situazione paradossale, per alcuni versi divertente, ma foriera di danni ed inganni. Da un lato verifichiamo che la velocità dei processi innescata dalla discontinuità generazionale provoca sussulti e resistenze, anche culturali nei “nonni”: il caso più plateale è quello di Scalfari, pervicacemente e domenicalmente impegnato a sbugiardare il giovane leader fiorentino che – a suo insindacabile giudizio – ha la colpa grave di non essere stato generato dal laboratorio politico di Repubblica e di non prendere in considerazione i moniti ed i consigli sparsi a piene mani nei suoi editoriali. Ci sono altri ottuagenari letteralmente storditi dalla carica leaderistica renziana ed incapaci di accettarne l’utile spinta al rinnovamento democratico perché attardati a difendere le proprie posizioni di rendita ideologica e/o schemi interpretativi della governance poco vantaggiosi per il Paese, ma sicuramente vantaggiosi per carriere, consulenze, riconoscimenti (un nome su tutti? Giuseppe de Rita). C’è poi la categoria dei “fratelli più anziani”: numerosa, riottosa, rancorosa perché legge nel renzismo e nella squadra dei “giovani della Leopolda” l’accusa e la conferma di una sconfitta generazionale. Per un attimo lasciate da parte gli atteggiamenti, le questioni affrontate, gli argomenti usati che vedono protagonisti polemici una quantità sconcertanti di personaggi pubblici accomunati dall’appartenenza alla categoria socio-anagrafica dei sessantenni: guardateli attentamente e verificherete che li contraddistingue l’aspirazione a rappresentare un’elite informata e pensosa sugli interessi del Paese e sul ruolo della classe dirigente. Ne sto redigendo un elenco, che su esplicita richiesta posso fornire, ma intanto posso già anticipare che tutti, ma proprio tutti, negli ultimi anni hanno avuto visibilità, tribuna, responsabilità con remunerazioni di varia natura che li fanno assimilare attribuite alla nomenclatura che – giustamente – oggi viene interrogata (“voi dove eravate?”) da un polemico ed aggressivo Renzi. Io ritengo che all’aria fresca fiorentina sia giusto aprire le finestre (e mi ritengo impegnato in tale senso), partecipando – ognuno nell’esercizio delle sue funzioni, competenze, responsabilità – ad un rinnovato impegno per il bene comune del Paese; credo altresì che vada mantenuto un approccio di attenzione critica all’azione di Governo, per focalizzarne meglio i programmi concreti ed accelerarne l’esecuzione. Non ci si deve mai dimenticare che il vizio nazionale da debellare resta ancora l’ossessione per il who accompagnata dalla disattenzione per il what ed il when. Nutro una sincera simpatia per il nostro Presidente del Consiglio anche per una ragione personale: alla sua età è capitato anche a me (naturalmente in contesti molto meno impegnativi) di incontrare resistenze e pregiudizi; ma sono abituato ad osservare e giudicare l’efficacia di una leadership sulla base di indicatori che siano correlati alle sfide storiche che essa debba affrontare. Superfluo aggiungere che molti censori, analisti, oppositori dovrebbero evitare di guardare il dito (l’irruenza solitaria di Renzi) e concentrarsi sulla luna (la rapidità necessaria per realizzare le riforme), interrogandosi sui ritardi, i limiti e gli opportunismi con cui essi stesi hanno letto ed affrontato la crisi strutturale del Paese.

Articoli correlati:
– Il lato oscuro della Forza contro Renzi
di Luca Sofri 24 settembre 2014
Nel sonoro ribollire di mugugni contro Matteo Renzi che sentite provenire da una categoria antropologico-giornalistica estesa ma individuabile – qualche esempio: la rubrica fissa antirenziana di Eugenio Scalfari la domenica, il drastico editoriale di Lucia Annunziata, il severo fastidio mostrato da mesi dalla direzione del Corriere della Sera ed esplicitato oggi da un editoriale del direttore – ci sono molte considerazioni fondate….
http://www.wittgenstein.it/2014/09/24/il-lato-oscuro-della-forza-contro-renzi/

– Veleni interni, barriere infrante
di Angelo Panebianco – 28 settembre
Contano solo le realizzazioni pratiche o anche le innovazioni culturali? Dobbiamo valutare una leadership solo per gli obiettivi concreti che ha raggiunto o anche per la qualità delle idee che diffonde, per la visione che cerca di trasmettere?
http://www.corriere.it/editoriali/14_settembre_28/veleni-interni-barriere-infrante-f234b634-46d5-11e4-b58c-ffda43e614fc.shtml

– Un po’ di comprensione per le fatiche di Renzi
di Michele Salvati – 1 ottobre 2014
In un recente articolo ho usato la metafora della sesta fatica di Ercole — la meno eroica ma la più difficile — per dare un’idea della situazione in cui si trova chi voglia tornare a far crescere il nostro Paese
http://www.corriere.it/opinioni/14_ottobre_01/po-comprensione-le-fatiche-renzi-408addfa-4937-11e4-bbc4-e6c42aa8b855.shtml

– Quel che di lui non piace, e perché
di Giuliano Ferrara – 08 Ottobre 2014
Gli danno di Thatcher (complimento), lo detestano per tanti motivi banali e loffi. Che ce la possa fare, è da vedere, intanto noi godiamo quando i falsi gentiluomini scoppiano di bile….
http://www.ilfoglio.it/articoli/v/121675/rubriche/renzi-sindacati-quel-che-di-lui-non-piace-e-perch.htm

Da REbuild 2014 la spinta progettuale allo sviluppo sostenibile

Tempo di lettura: 4 minuti

Chiude REbuild 2014, «L’impegno civico alla base della riqualificazione sostenibile»

 Proposto un credito d’imposta per investimenti privati nella riqualificazione di edifici pubblici. Numeri in crescita per la convention nazionale sulla riqualificazione e gestione sostenibile dei patrimoni immobiliari. Miorin: «Il mercato è maturo per il deep retrofit, la riqualificazione profonda degli edifici». Rick Fedrizzi, presidente U.S. GBC «riqualificare per tutelare il vostro paese»

“L’Italia va riqualificata – è il messaggio di Rick Fedrizzi, Presidente e CEO dell’U.S. Green Building e originario proprio del Trentino -. Noi dobbiamo riqualificare questo patrimonio immobiliare nel rispetto della conservazione della storia e della cultura di un luogo. Il futuro dell’edilizia è capire le performance e le dinamiche dell’edificio per renderlo sostenibile. I cittadini non possono più ignorare quanto la riqualificazione le farà risparmiare, quanto più sane saranno le loro abitazioni, quanto più durature.”

Rick Fedrizzi, il leader del movimento della sostenibilità nell’edilizia negli Stati Uniti e nel mondo, ha chiuso così la terza edizione di REbuild a Riva del Garda (TN).

La convention nazionale sulla riqualificazione e la gestione sostenibile dei patrimoni immobiliari in Italia, organizzata da Habitech, Progetto Manifattura e Riva del Garda FiereCongressi, ha riunito una volta di più i principali player del settore con lo scopo di spingere sempre di più il mercato del retrofit.

 

Molti gli spunti di riflessione e gli strumenti pratici presentati nel corso della due giorni, come quello arrivato dall’Inghilterra e presentato da Ian Orme, esperto Soft Landing di BSRIA (The Building Services Research and Information Association) che ha presentato in anteprima questa pratica che garantisce un passaggio “morbido” tra progettazione, costruzione ed occupazione dell’immobile. Una tecnica, quella del Soft Landing, che consente di allineare l’immobile al suo utilizzo e migliorare le prestazioni reali: “Il Soft Landing è fatto per consegnare all’utente finale l’edificio al massimo delle sue performance sin dal momento in cui viene occupato – ha relazionato Ian Orme -, ed è un concetto completamente sconosciuto in Italia. Spero che, grazie anche alla presentazione di oggi, sia possibile diffondere questa pratica anche nel vostro Paese, sia nel pubblico che nel privato”.

 

Ha riscosso molto interesse anche la sessione di Lennart Lifvenhjelm, Head of Technical Support di Vasakronan, il principale portafoglio immobiliare svedese. Lifvenhjelm ha portato alla platea l’esempio virtuoso dell’operatore scandinavo Vasakronan, che ha ridotto il consumo energetico del proprio portafoglio immobiliare (192 edifici) ben del 50% in meno rispetto alla media. Molto partecipata anche la sessione curata da Paul Harrington (Real Estate Director, PricewaterhouseCoopers) che ha svelato i numeri del caso di riqualificazione più ambizioso di Londra: Embankment Place. L’edificio ha ridotto del 40% le sue emissioni, e produce on-site il 60% del suo fabbisogno energetico: a REbuild ha stupito la platea con i dettagli su approccio, tecnologie, criticità e numeri effettivi dei risultati energetici, costi e dei risultati organizzativi e produttività.

 

Gianluca Salvatori, ideatore e gestore di Progetto Manifattura e co-ideatore di REbuild, ha chiuso con un messaggio importante: “I cittadini e il settore privato possono essere il meccanismo per lanciare la riqualificazione sostenibile del paese”. Salvatori ha proposto un credito d’imposta per investimenti privati nella riqualificazione di edifici pubblici. “Lo scenario si sta chiarendo – precisa Salvatori-: la riqualificazione prevale sulla compravendita e richiede nuovi schemi di finanziamento, in quanto gli incentivi tipo eco-bonus hanno privilegiato i micro interventi scollegati, muovendo tuttavia ingenti risorse private. Bisogna lavorare in due direzioni: da una parte studiare nuovi meccanismi per interventi di scala maggiore e più integrati, ma sempre sul residenziale (e il mercato si sta adeguando spontaneamente); dall’altra inventare un meccanismo appropriato per gli interventi sul patrimonio di interesse pubblico, che sempre meno potrà contare su risorse adeguate da parte della finanza pubblica. Dobbiamo attivare il ruolo del privato nei confronti di un patrimonio che riveste un cruciale valore simbolico e di attivazione, perché restituisce qualità allo spazio pubblico e incrementa il benessere a livello individuale”.

La proposta che esce dagli organizzatori di REbuild è provocatoria: “Crediamo che si possa canalizzare una parte dell’investimento privato verso la riqualificazione di edifici pubblici. E questo lo si può fare con un meccanismo di credito di imposta, simile all’eco-bonus ma rivolto a beni di pubblica utilità (scuole, case di cura, ospizi, ecc) e quindi con percentuali di incentivazione più alte, o con altresì strumenti quali social bond remunerati in base ai risparmi di gestione ottenuti”.

 

Thomas Miorin, direttore Habitech e co-ideatore di REbuild ha infine tirato le somme: “La terza edizione porta un messaggio a favore di una riqualificazione radicale, per questo anche il programma dell’evento ha subito una innovazione radicale. Stiamo introducendo dei concetti nuovi, come deep retrofit e soft landing, stiamo ragionando in modo aperto e collettivo intorno a nuove modalità per re-inventare l’edilizia. La riqualificazione in Italia può essere un motore di sviluppo economico grazie alle opportunità offerte dagli interventi sugli edifici esistenti: possibilità in termini di risparmi energetici e in termini di lavoro creato. L’edilizia, la riqualificazione e l’efficientamento energetico sono i settori che più possono portare posti di lavoro, come dimostrato anche da molti studi internazionali. C’è bisogno di reinventare il modo in cui si organizza il lavoro all’interno della filiera dell’edilizia ed è quello che stiamo facendo qui a REbuild: persone con competenze diverse, dalla finanza al real estate, costruttori e progettisti, stanno immaginando un nuovo modo di assemblare e di far funzionare la supply chain della filiera. Il mondo dell’economia è qua, in tutti i suoi settori. Non si sente però il mondo della         politica, che rimane forse un po’ troppo in silenzio su questo tema”.

 

Emanuele Bompan, Stefano Mandelli e Massimo Frera

Ufficio Stampa REbuild 2014 T (+39) 0464 443315

M (+39) 3386958339 – (+39) 3475053787

comunicazione@rebuilditalia.it www.rebuilditalia.it

Giorgio Santini sulla riforma del lavoro

Tempo di lettura: 3 minuti

 OSSERVARE ED ASCOLTARE LA BOLSA RETORICA DEGLI ESPONENTI DELLA MINORANZA PD IN QUESTI GIORNI MI DA LA NAUSEA, PERCHE’ VI RITROVO LA STRUMENTALIZZAZIONE IDEOLOGICA CHE HO COMBATTUTO PER DECENNI, QUANDO – IN MODO PIU’ TRASPARENTE – “FACEVANO” I COMUNISTI. PER QUESTO, LA DICHIARAZIONE DELL’AMICO ED EX COLLEGA GIORGIO SANTINI MI FA RESPIRARE E MI DONA UN REFOLO DI SERENITA’ E SPERANZA SUL RINNOVAMENTO DELLA CULTURA POLITICA….

Sen.  Giorgio Santini: votero’ la riforma del lavoro per l’occupazione e la tutela dei più deboli 

Come senatore ( già sindacalista ) voterò la legge-delega per la riforma del lavoro.

Perché essa prevede principi innovativi e riformatori per dare risposte positive alle principali difficoltà del lavoro, che rappresentano oggi il punto più acuto di sofferenza sociale.

Il rafforzamento delle Agenzie del lavoro pubbliche e private potra’ finalmente migliorare l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, promuovere un più rapido inserimento lavorativo dei giovani e  la ricollocazione di quanti hanno perso il lavoro.

La riforma degli ammortizzatori sociali in chiave universalistica potrà assicurare una protezione sociale in caso di disoccupazione a  quanti oggi  ne sono sprovvisti, in particolare ai molti giovani impegnati nei lavori atipici e para-subordinati.

Sarà favorita la conciliazione tra lavoro e famiglia con la tutela universale della maternità e combattendo le discriminazioni di genere, a partire dalle dimissioni in bianco.

La semplificazione dei molteplici adempimenti burocratici che ingessano lavoro ed imprese darà un contributo- assieme alle misure di riduzione delle tasse e di sblocco degli investimenti –  alla ripresa dell’economia.

Infine la tanto discussa introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti faciliterà nuove assunzioni con maggiore stabilità e durata, in particolare per i giovani, anche perché nel contempo è prevista una forte riduzione delle tante forme di contratto di lavoro di breve durata e di bassa contribuzione, che danno origine a tanti abusi ed incertezze.

A quanti nel Pd manifestano un forte dissenso vorrei ricordare che i contenuti della Delega Lavoro sono in linea con le migliori esperienze riformistiche ( la c.d. flexicurity ) dei paesi europei socialmente più avanzati, anche quelli a guida PSE, ed hanno dato buoni risultati per favorire l’occupazione,in questi anni difficili di crisi economica.

Se si perde di vista questo quadro di riferimento e si polemizza unicamente sull’art.18 si commette un grave errore di valutazione.

L’art.18 non è una questione da prendere alla leggera ma essa non deve impedire l’approvazione della Delega – lavoro, senza la quale il mercato del lavoro rimarrebbe bloccato e frammentato come e’ ancor oggi, lasciando senza risposte migliaia di giovani e tanti over-50.

Chi si oppone a suo dire “da sinistra” otterrebbe un bel risultato : bloccherebbe una riforma che punta a facilitare nuove assunzioni ,lasciando  il Paese in una situazione di disoccupazione altissima, con un sistema di tutele che spesso non arrivano dove c’è più necessità , tra i giovani e le famiglie più in difficoltà ormai risucchiate dal gorgo della povertà .

La pietra dello scandalo e’ data dal contratto a tutele crescenti che secondo i dissenzienti del Pd cancellerebbe l’art.18 e con esso ogni  tutela del lavoratore in caso di licenziamento senza giusta causa.

Al contrario, tutta la discussione svolta finora in Senato assicura che,dopo i primi 3 anni, il lavoratore licenziato senza giusta causa possa ricorrere al giudice e che il licenziamento discriminatorio sia nulllo e come tale preveda il reintegro del lavoratore.

Resta da definire la questione se quando un licenziamento viene dichiarato illegittimo si debba procedere all’indennizzo del lavoratore o al suo reintegro. L’attuale legge 92 prevede entrambe le possibilità, in base a specifiche casistiche. Nella realtà dei fatti c’è una netta prevalenza dell’indennizzo economico, spesso anche nei casi ( invero circoscritti ) in cui il giudice decide per il reintegro.

Questi nodi saranno definiti dal decreto legislativo ma quale che sia la scelta  rimane indiscutibile che i lavoratori licenziati senza giusta causa saranno tutelati sia individualmente sia da una maggiore capacità del sistema delle tutele di favorire una loro più rapida ricollocazione lavorativa Chi parla di libertà di licenziare, chi paragona Renzi alla Tachter utilizza argomenti strumentali al solo scopo di alimentare una inutile e regressiva battaglia interna al Pd.

E’ una strada sbagliata.

Saremo tantissimi nel Pd ad impedire questa  deriva, sostenendo la riforma del lavoro, approvando la delega in Parlamento e i decreti legislativi attuativi,con tutti i miglioramenti possibili, chiedendo al Governo di confrontarsi con le parti sociali  e di recepirne le proposte utili.

L’impegno del Pd sarà concentrato per realizzare una riforma che aiuti l’occupazione ed accompagni con il sostegno al reddito e le politiche di ricollocazione ogni persona che si trovi in difficoltà nel lavoro, nei diversi momenti della propria vita.