Ance con Renzi per il piano di rigenerazione dei centri urbani

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MONITORIMMOBILIARE – 14 SETTEMBRE 2015 -Come obiettivo la sostituzione di tutti gli edifici inquinanti ed energivori

 

 

Meno tasse e più incentivi per l’acquisto e l’affitto di edifici ad alta efficienza energetica: sono questi gli strumenti per un piano di modernizzazione delle città italiane.

 

“E’ un’occasione che non possiamo perdere e le parole del Premier Renzi su questo tema mi pare vadano in questa direzione – commenta il presidente Ance (Associazione nazionale costruttori edili), Claudio De Albertis – .

 

Dobbiamo agganciare la ripresa facendo diventare più forti e competitive le nostre imprese che possono e anzi devono giocare un ruolo di primo piano per la riqualificazione dei nostri centri urbani”.

 

“Le misure che sta mettendo in campo il Governo non possono che essere di stimolo alla ripresa di un mercato che, come dice il Presidente del Consiglio, è stato messo in ginocchio da una crisi senza precedenti e da una politica fiscale fortemente penalizzante – spiega ancora De Albertis che rilancia: “concentriamoci sulla riqualificazione delle nostre città avviando un grande processo di rottamazione e sostituzione di tutti gli edifici inquinanti, energivori e poco sicuri che non rispondono alle esigenze dei cittadini di oggi e né tanto meno a quelli di domani”.

 

“Un obiettivo che può essere raggiunto – conclude Presidente Ance – coinvolgendo tutta la filiera delle costruzioni che deve essere protagonista del processo di rigenerazione urbana vero e proprio driver di crescita e sviluppo per il Paese.”

 

“Gli strumenti economico-fiscali per rendere possibile tutto questo ci sono e come associazione abbiamo elaborato un pacchetto di proposte che mirano a favorire l’acquisto e l’affitto di alloggi ad alta efficienza energetica che ci auguriamo vengano messi presto in campo”.

Premio Artusi 2015 ad Alberto Alessi

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Con l’assegnazione del Premio Artusi 2015 ad Alberto Alessi trova un’importante conferma il processo di rinascimento culturale dell’intera filiera agroalimentare italiana, ovvero il riconoscimento dell’opera dell’insigne designer non solo come espressione artistica – di ideazione e creatività originale -, ma anche contributo essenziale per l’affermazione del made in Italy nel mondo e vettore sempre più cruciale per sostenere l’evoluzione del Food System nazionale verso livelli più alti di innovazione e competitività.

Accademia delle 5 T condivide tale valutazione perché riconosce nelle molteplici attività dell’arch. Alessi una esemplare testimonianza dell’impegno – professionale, artistico, industriale, accademico – ad immettere nelle imprese, in particolare del comparto alimentare, un supplemento di carica umanistica ed ispirazione estetica.

Il cibo costituisce da sempre uno dei principali mediatori nella nostra relazione con il mondo e le forme degli strumenti che lo trasformano, lo veicolano e lo rendono un consumo “attraente” diventano esse stesse sostanza; attraverso di esse l’alimentazione supera la funzione meramente nutrizionale ed i sensi ci permettono di percepire il mondo stesso nella sua complessità, gustandone le sfumature, cogliendone gli aromi e i sapori, ammirandone i colori.

Anche per questa ragione, la nostra Associazione, nelle motivazioni del Premio Artusi 2015 trova un riscontro ed una rinnovata spinta a promuovere tra i piccoli e medi produttori dell’agroalimentare il legame tra natura, cultura e produzione, a praticare la fusione tra bellezza ed agire umano che rappresenta l’autentica garanzia per l’unicità e la credibilità del cibo made in Italy.

Felicitazioni quindi all’arch. Alberto Alessi al quale confermiamo l’interesse e la disponiilità a veicolare e sperimentare – nella vasta e variegata platea dei produttori associati – il messaggio e la proposta estetico-culturali.

 

 

La via italiana all’Open innovation

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La via italiana dell’open innovation

di Alberto Di Minin e Nicola Redi – estratto da Nòva – Il Sole 24 Ore 6 settembre 2015

Risorse umane, corporate venturing e centri di eccellenza: le strategie utili, secondo il rapporto Action Institute

 

 

 

Senza lasciarsi prendere dallo sconforto del confronto internazionale e senza farsi distrarre da proclami e lustrini, l’ecosistema innovazione italiano può essere motore di sviluppo economico. Ma perché ciò avvenga ci vogliono buona ricerca, approccio industriale alla finanza e coraggio imprenditoriale. Questo il messaggio del rapporto Action Institute, un “Action Tank” indipendente fondato nel 2012 che formula proposte pratiche e d’impatto per rilanciare la competitività del Paese. Il rapporto, pubblicato a luglio, avanza nove idee per fare guadagnare centralità al progresso scientifico e tecnologico come driver di competitività, attraverso una strategia di open innovation.

L’obiettivo ultimo di questa analisi è applicare all’Italia i concetti sviluppati dalle raccomandazioni dell’high level group for innovation policy management, presentate poco meno di un anno fa, nel corso della Presidenza di turno Ue dell’Italia. Nello stesso spirito, a giugno, il Commissario europeo per la Ricerca e l’Innovazione, Carlos Moedas, ha rilanciato affermando che: «Una strategia di open innovation necessita il coinvolgimento di ricercatori, imprenditori, utenti, settore pubblico e società civile. L’Europa deve puntare sull’open innovation per capitalizzare i grandi risultati ottenuti nel progresso scientifico e tecnologico. Ciò vuol dire creare i giusti ecosistemi dell’innovazione, aumentare gli investimenti, accompagnare sempre più imprese e regioni verso l’economia della conoscenza».

Ecco dunque le nove proposte di Action Institute su come investire 160 milioni di euro in Italia per ottenere un’efficacia significativa sull’ecosistema dell’innovazione.

Sviluppo e valorizzazione delle risorse umane. Fabbisogno di 37 milioni. Stando al Researchers Report 2013 della Commissione europea, l’industria italiana impiegava 1,53 ricercatori ogni mille addetti. Metà della media europea (2,98), e ben lontani dalle esperienze Usa(7,40) e Giappone (7,63). Inoltre in Italia, solo 6 ricercatori post-doc su 100 dichiaravano di aver lavorato più di tre mesi in un’azienda privata; la media europea, anche in questo caso era il doppio. Partendo da questi dati è fondamentale avvicinare le competenze di mondi che non si parlano ancora, arrivare a una professionalizzazione del ricercatore (dottorando o post-doc) e del manager della ricerca. Tre le misure proposte: defiscalizzare cento borse all’anno per la partecipazione di ricercatori a programmi di accelerazione imprenditoriali, offerte da imprese con più di 50 dipendenti che si impegnino anche ad affiancare i ricercatori con propri manager junior; supportare 2mila nuove assunzioni di ricercatori che dagli enti pubblici di ricerca (Epr) passino alla ricerca in imprese private; fondo nazionale per l’accelerazione imprenditoriale di circa 20 progetti di trasferimento tecnologico maturati nell’ambito di università ed Epr.

Corporate venturing. Fabbisogno: 37 milioni. Il corporate venturing è ormai la strategia di riferimento per i grandi gruppi industriali nel mondo e strumento fondamentale di open Innovation. Nell’ultimo trimestre 2014, un terzo degli investimenti in start-up americane è stato effettuato da fondi corporate. Tra il 2011 e il 2014 in Europa l’88% dei disinvestimenti dei fondi di Vc è avvenuto attraverso acquisizioni industriali. Particolare attenzione merita il settore del seed-capital dove negli Usa si stanno concentrando sempre più operazioni di corporate venture. In Italia, è cruciale sviluppare il legame tra imprese hi-tech e tessuto produttivo/industriale tradizionale. Tre le proposte: fondo a supporto di 25 progetti che entrano nelle graduatorie di programmi europei come Sme Innovation Instrument e Fast Track to Innovation, ma che per mancanza di risorse non vengono finanziati; fondo per raddoppiare su base nazionale il finanziamento Horizon 2020 ricevuto da cinque aziende italiane vincitrici di un Fase 2 dell’Sme Innovation Instrument; fondo nazionale seed che, sul modello israeliano, affianchi gli investimenti di grandi gruppi industriali e fondi di venture capital associati con incubatori o parchi scientifici (a regime 30 investimenti all’anno).

Centri di eccellenza congiunti pubblico/privato. Fabbisogno: 86 milioni. Queste realtà possono rappresentare delle vere e proprie fucine di open innovation. Solitamente il punto di partenza è un partenariato locale, finanziato da progetti svolti conto terzi. Stando a dati Anvur, alle università italiane arrivavano nel 2010 circa 515 milioni di euro tramite questi canali: risorse per metà concentrate nelle prime 10 università italiane. Quando queste collaborazioni si sviluppano possono esse stesse diventare calamite per attrarre ulteriori investimenti. Tre le proposte: defiscalizzare i contratti di ricerca su commessa che le imprese italiane sigleranno con Epr italiani, per un totale di 50 milioni di euro ogni anno; contribuire alle spese per l’istituzione di sei nuove partnership tra acceleratori imprenditoriali italiani e grandi acceleratori internazionali legati al mondo della ricerca; creare pacchetti di incentivi per attrarre in Italia nuovi investimenti in ricerca da parte di gruppi industriali internazionali, favorendo in particolare progetti finalizzati all’istituzione di centri di eccellenza congiunti con Epr italiani.

In Italia la sfida dell’open innovation si vince se le imprese (dalle startup alle grandi multinazionali) collaborano di più con la ricerca pubblica. Serve un ecosistema più maturo, incentivi diretti, investimenti mirati e competenze adeguate a questo nuovo scenario.

 

Alberto Di Minin e Nicola Redi

sono autori del Rapporto Action Institute

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La via italiana dell’open innovation

PROGRESSO TECNOLOGIA SCIENZA

 

 

Risorse umane, corporate venturing e centri di eccellenza: le strategie utili, secondo il rapporto Action Institute

 

 

 

Senza lasciarsi prendere dallo sconforto del confronto internazionale e senza farsi distrarre da proclami e lustrini, l’ecosistema innovazione italiano può essere motore di sviluppo economico. Ma perché ciò avvenga ci vogliono buona ricerca, approccio industriale alla finanza e coraggio imprenditoriale. Questo il messaggio del rapporto Action Institute, un “Action Tank” indipendente fondato nel 2012 che formula proposte pratiche e d’impatto per rilanciare la competitività del Paese. Il rapporto, pubblicato a luglio, avanza nove idee per fare guadagnare centralità al progresso scientifico e tecnologico come driver di competitività, attraverso una strategia di open innovation.

L’obiettivo ultimo di questa analisi è applicare all’Italia i concetti sviluppati dalle raccomandazioni dell’high level group for innovation policy management, presentate poco meno di un anno fa, nel corso della Presidenza di turno Ue dell’Italia. Nello stesso spirito, a giugno, il Commissario europeo per la Ricerca e l’Innovazione, Carlos Moedas, ha rilanciato affermando che: «Una strategia di open innovation necessita il coinvolgimento di ricercatori, imprenditori, utenti, settore pubblico e società civile. L’Europa deve puntare sull’open innovation per capitalizzare i grandi risultati ottenuti nel progresso scientifico e tecnologico. Ciò vuol dire creare i giusti ecosistemi dell’innovazione, aumentare gli investimenti, accompagnare sempre più imprese e regioni verso l’economia della conoscenza».

Ecco dunque le nove proposte di Action Institute su come investire 160 milioni di euro in Italia per ottenere un’efficacia significativa sull’ecosistema dell’innovazione.

Sviluppo e valorizzazione delle risorse umane. Fabbisogno di 37 milioni. Stando al Researchers Report 2013 della Commissione europea, l’industria italiana impiegava 1,53 ricercatori ogni mille addetti. Metà della media europea (2,98), e ben lontani dalle esperienze Usa(7,40) e Giappone (7,63). Inoltre in Italia, solo 6 ricercatori post-doc su 100 dichiaravano di aver lavorato più di tre mesi in un’azienda privata; la media europea, anche in questo caso era il doppio. Partendo da questi dati è fondamentale avvicinare le competenze di mondi che non si parlano ancora, arrivare a una professionalizzazione del ricercatore (dottorando o post-doc) e del manager della ricerca. Tre le misure proposte: defiscalizzare cento borse all’anno per la partecipazione di ricercatori a programmi di accelerazione imprenditoriali, offerte da imprese con più di 50 dipendenti che si impegnino anche ad affiancare i ricercatori con propri manager junior; supportare 2mila nuove assunzioni di ricercatori che dagli enti pubblici di ricerca (Epr) passino alla ricerca in imprese private; fondo nazionale per l’accelerazione imprenditoriale di circa 20 progetti di trasferimento tecnologico maturati nell’ambito di università ed Epr.

Corporate venturing. Fabbisogno: 37 milioni. Il corporate venturing è ormai la strategia di riferimento per i grandi gruppi industriali nel mondo e strumento fondamentale di open Innovation. Nell’ultimo trimestre 2014, un terzo degli investimenti in start-up americane è stato effettuato da fondi corporate. Tra il 2011 e il 2014 in Europa l’88% dei disinvestimenti dei fondi di Vc è avvenuto attraverso acquisizioni industriali. Particolare attenzione merita il settore del seed-capital dove negli Usa si stanno concentrando sempre più operazioni di corporate venture. In Italia, è cruciale sviluppare il legame tra imprese hi-tech e tessuto produttivo/industriale tradizionale. Tre le proposte: fondo a supporto di 25 progetti che entrano nelle graduatorie di programmi europei come Sme Innovation Instrument e Fast Track to Innovation, ma che per mancanza di risorse non vengono finanziati; fondo per raddoppiare su base nazionale il finanziamento Horizon 2020 ricevuto da cinque aziende italiane vincitrici di un Fase 2 dell’Sme Innovation Instrument; fondo nazionale seed che, sul modello israeliano, affianchi gli investimenti di grandi gruppi industriali e fondi di venture capital associati con incubatori o parchi scientifici (a regime 30 investimenti all’anno).

Centri di eccellenza congiunti pubblico/privato. Fabbisogno: 86 milioni. Queste realtà possono rappresentare delle vere e proprie fucine di open innovation. Solitamente il punto di partenza è un partenariato locale, finanziato da progetti svolti conto terzi. Stando a dati Anvur, alle università italiane arrivavano nel 2010 circa 515 milioni di euro tramite questi canali: risorse per metà concentrate nelle prime 10 università italiane. Quando queste collaborazioni si sviluppano possono esse stesse diventare calamite per attrarre ulteriori investimenti. Tre le proposte: defiscalizzare i contratti di ricerca su commessa che le imprese italiane sigleranno con Epr italiani, per un totale di 50 milioni di euro ogni anno; contribuire alle spese per l’istituzione di sei nuove partnership tra acceleratori imprenditoriali italiani e grandi acceleratori internazionali legati al mondo della ricerca; creare pacchetti di incentivi per attrarre in Italia nuovi investimenti in ricerca da parte di gruppi industriali internazionali, favorendo in particolare progetti finalizzati all’istituzione di centri di eccellenza congiunti con Epr italiani.

In Italia la sfida dell’open innovation si vince se le imprese (dalle startup alle grandi multinazionali) collaborano di più con la ricerca pubblica. Serve un ecosistema più maturo, incentivi diretti, investimenti mirati e competenze adeguate a questo nuovo scenario.

 

Alberto Di Minin e Nicola Redi

sono autori del Rapporto Action Institute

Alberto Di Minin e Nicola Redi

 

 

Le lezioni della montagna

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Le lezioni della montagna

 

Vette di amicizia e fratellanza

Nelle giornate in cui la cronaca o le relazioni personali ci parlano di divisioni e di inimicizia, ci velano i pensieri di tristezza e ci ricordano la prevalenza delle cattive abitudini che affaticano le nostre vite, diventa necessario concedersi un cambio di pensieri, con una buona dose di emozione, tuffandosi sulle pagine di un libro: se la fortuna ci soccorre (e la nostra raccolta di pubblicazioni dedicate alla montagna è il risultato di scelte meditate) avremo a disposizione già dal titolo il profumo di sentimenti forti e di un messaggio corroborante che promette il ripristino di un’intimità foriera di serenità ed ottimismo.

Ci sono casi in cui l’attesa desiderante cresce di fronte alle immagini della copertina; e se sono rappresentate dalle foto che si sovrappongono dei giovani volti sorridenti di Reinhold Messner e Walter Bonatti, la ricerca è già terminata! Ed il titolo, in mezzo, diventa un’affermazione che ti promette una lettura piena di emozioni: “Walter Bonatti – Il fratello che non sapevo di avere”.

Chi non ha nelle gambe l’affaticamento e nella mente il fascino dell’escursione alpinistica, chi non conosce le vite parallele di due straordinari protagonisti del ventesimo secolo che, seppur diacronicamente,  hanno saputo interpretare e vivere imprese sovrumane sospinti dalla passione per la montagna, non può capire quanto significative e ricche di empatia sono le parole che il più giovane Reinhold rivolge al più anziano Walter, incontrato nel 2004 – dopo un lungo periodo di avvistamenti ed incomprensioni – e frequentato successivamente con l’intensità di un affetto e di una confidenza profonda fino alla dolorosa scomparsa nel 2013.

Non è stata la notorietà a farmi scoprire di avere un fratello in più. Nulla a che fare con questioni di sangue. Molto, invece, con i sentimenti. Con gli ideali. Con una visione di vita condivisa. Nei pensieri e, prima di tutto, nell’azione. Walter  Bonatti è il fratello che non sapevo di avere”.

Non si tratta solo del riconoscimento postumo della grandezza del maestro italiano a cui lo scalatore altoatesino si è ispirato per realizzare un progetto di vita dedicata integralmente alle cime, che l’ha portato a scalare per primo tutti i 14 ottomila e con il quale ha condiviso l’esaltazione delle sfide impossibili e delle conquiste, ma anche la sofferenza di attacchi e polemiche collegate a drammatiche vicende personali (il K2 per Bonatti, il Nanga Parbat per Messner); è molto di più: rappresenta  la comprensione che anche quando siamo chiamati a sfidarci inseguendo sogni ed avventure a cui affidiamo l’affermazione della nostra identità, la ricerca di libertà e realizzazione, abbiamo davanti e/o di fianco a noi un  “fratello” che ci accompagna e ci dà la misura della nostra capacità di condividere il comune destino.

Anche i più grandi ed esaltanti progetti personali (come nel caso del visionario ed insaziabile inseguitore di mete altoatesino) rappresentano l’occasione – pur nell’espressione della più autentica vocazione individuale – per trovare ispirazione e confrontarsi con le “imprese” degli altri protagonisti:del mondo alpinistico, così come dei contesti in cui tutti ci sentiamo impegnati a dare e raggiungere il meglio di noi.

Certo la montagna costituisce l’ambiente naturale che può mettere a più dura prova la tempra personale ed imporre la “disciplina della cordata”, ovvero l’accettazione di  regole di altruismo e solidarietà; ma la “fratellanza” dichiarata e motivata da Messner è una testimonianza che commuove per schiettezza e profondità di argomentazioni, che sono supportate dalla ricostruzione binaria di due vite, incrociate e rilette per ritrovarne il senso di un messaggio unitario ed universale..

A coloro che sono animati da propositi ambiziosi o conoscono persone intenzionate a perseguirli, il consiglio è di leggere e regalare questo libro:  una lettura che produrrà una sferzata di rinnovato vigore, l’insegnamento prezioso di interpretare l’avventura – anche quando, spesso in montagna, è solitaria – non come tuffo nella solitudine, bensì come impegno per ritrovare in se stessi l’energia per con-vivere più pienamente la propria umanità, ovvero la capacità di riconoscere ii molti “fratelli sconosciuti” che si incontrano anche nei sentieri non tracciati nelle nostre mappe tradizionali.

 

 

L’ispirazione e l’opera di Giacomo Valorz per la scuola d’intaglio e creatività

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Loc Slowalley

Prefazione

 Andai nei boschi

Perché volevo vivere con saggezza

E in profondità

E succhiare tutto il midollo

Della vita

H.D.Thoreau

 

Per uno storico dell’arte confrontarsi con l’opera artistica  non sempre equivale a conoscere veramente  l’uomo che ne è artefice .

Si analizza un’opera  per  valutare “un lavoro”, una  produzione, talvolta anche per una mera quotazione di mercato, confinando ad una zona di penombra l’interiorità dell’attore del processo creativo.

La fortuna ha voluto che io potessi incontrare, diversi anni fa, le sculture di Giacomo Valorz. Opere con un’aurea particolare ed una forte valenza mistica. Questa suggestione si è sviluppata anche grazie al tema preso in esame durante le nostre prime esposizioni: il tema sacro, analizzato e vissuto in una sfera non vincolata al semplice elemento iconografico,ma allacciato ad una visione intimistica legata a tradizioni e leggende dell’acqua e del legno della sua cultura e tradizione.

E questo è stato il passaggio che mi ha condotta poi a cercare di conoscere “l’uomo” attraverso e oltre l’opera stessa . il legame di Giacomo con la sua terra e il suo lavoro. Il saper riconoscere “il respiro” di un legno e la freschezza dell’acqua di fonte.

Così è nata la mia prima visita alla Val di Rabbi,sperimentando percezioni visive, olfattive e tattili per una condivisione  esperienziale del mondo di Valorz .  Ho imparato a vedere ed ad apprezzare come l’artista coincida con l’uomo e come sia in grado di muoversi all’unisono con il suo ambiente, la valle e quella strana percezione del tempo rallentato che ne caratterizza il vivere.

ogni viaggio di lavoro diventa un piacevole incontro con questa realtà, in grado di migliorare la    lettura delle opere di Giacomo, che non potrebbero prendere vita in altri contesti. In tale armonia Giacomo ha fatto nascere nuove sinergie e ricerche, concretizzate poi nello studio di animali e volatili del Parco dello Stelvio, sempre attraverso la sapiente lavorazione del legno.  E nuove collaborazioni si stanno evolvendo sul tema dell’uomo- ambiente- lavoro manuale.

Giacomo Valorz ha saputo valorizzare e trasmettere la discrezione del vivere, l’essere accorto nel calpestare la sacralità della terra e l’umiltà che l’uomo deve saper dimostrare nei confronti dei misteri, leggende e riti che hanno formato la nostra memoria storica e che devono essere , attraverso la sua arte, un insegnamento per tutti noi.

Elsa Gipponi

Storico dell’arte

(PD) VENETO anno zero

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“La mia sensazione è che il senso civico che c’è nel Veneto è molto al di sopra del resto d’Italia” Stefano Ancilotto (da VENETO anno zero – Renzo Mazzaro)

Abbiamo da tempo imparato a non dare credito alle previsioni elettorali di sondaggisti e politologi i quali, escluse poche eccezioni, sono ingaggiati e ben remunerati da media che chiedono loro di inseguire umori, tendenze momentanee e piroette dei “personaggi” prodotti dai media stessi (talk show in primis), piuttosto che realizzare analisi approfondite che scrutino i processi politico-culturali profondi e la loro incidenza sugli effettivi cambiamenti per quanto attiene la governance ed i programmi.

Purtroppo non siamo ancora sufficientemente preparati a sottrarci ai commenti ed alle valutazioni postelettorali formulati da quei stessi personaggi che, per non contraddirsi, continuano imperterriti a sciorinare letture superficiali delle risultanze delle urne, del loro significato e del loro impatto sulla realtà, anche quando mettono in discussione i presupposti dei presunti analisti.

Il caso Veneto ovviamente costituisce una conferma di tale povertà. Per questa ragione riprendiamo la riflessione sul #venetochevogliamo pubblicando articoli, interventi e documenti che esprimono opinioni e proposte, sulla realtà politico-aministrativa-istituzionale determinatasi dopo la recente tornata elettorale regionale-comunale, focalizzando questioni vere, soffermandosi sui dati strutturali, sollecitando la discussione ed il confronto sulle scelte programmatiche che la campagna elettorale, affidata dai maggiori competitor ai “professionisti del fumo a manovella”, ha evitato accuratamente di sottoporre ai cittadini elettori, ma che costituiscono una drammatica urgenza dell’agenda politica.

Per alcune delle questioni che avevamo indicato nei nostri “10 punti”, la realtà si è incaricata di accentuare la problematicità e complessità delle decisioni da assumere (immigrazione, priorità nella lista delle infrastrutture necessarie, riorganizzazione amministrativo-istituzionale contestuale alla razionalizzazione della spesa, rischio default Comune di Venezia….).

L’intento di questa nostra iniziativa era ed è di contribuire ad arrestare lo spegnimento della passione civica e di alimentare una cittadinanza attiva, diffusa, consapevole, in grado di contrastare le pulsioni del populismo e della rozza demagogia, un prezzo insopportabile per una Regione come la nostra; quello che molti Veneti si attendono è una offerta politica innovativa, sincera, coinvolgente e responsabilizzante.

Per questa ragione il dibattito sofferto e necessario apertosi nel Partito regionale che maggiormente è mancato (finora) all’appuntamento con le emergenti domande dei cittadini (in particolare degli elettori che alle europee si erano sintonizzati con il messaggio renziano) è particolarmente significativo per il percorso che vogliamo riprendere.

Rinviamo ad un primo articolo di Claudio Rizzato pubblicato dal giornale online Veneto vox nei giorni scorsi:

Pd: o partito vero, o perderà ancora. Non può continuare ad essere un comitato elettorale iper-litigioso. E che insegue la destra.

 

http://www.vvox.it/2015/06/16/pd-o-partito-vero-o-perdera-ancora/?utm_source=Newsletter+Vvox&utm_campaign=6aa6cd69cc-newsletter_marted%C3%AC&utm_medium=email&utm_term=0_e1016a8d37-6aa6cd69cc-208926521

 

 

L’ispirazione l’opera di Giacomo Valorz per la Scuola d’intaglio e creatività

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Prefazione

Loc Slowalley

 

 

 

 

Andai nei boschi

Perché volevo vivere con saggezza

E in profondità

E succhiare tutto il midollo

Della vita

H.D.Thoreau

 

Per uno storico dell’arte confrontarsi con l’opera artistica  non sempre equivale a conoscere veramente  l’uomo che ne è artefice .

Si analizza un’opera  per  valutare “un lavoro”, una  produzione, talvolta anche per una mera quotazione di mercato, confinando ad una zona di penombra l’interiorità dell’attore del processo creativo.

La fortuna ha voluto che io potessi incontrare, diversi anni fa, le sculture di Giacomo Valorz. Opere con un’aurea particolare ed una forte valenza mistica. Questa suggestione si è sviluppata anche grazie al tema preso in esame durante le nostre prime esposizioni: il tema sacro, analizzato e vissuto in una sfera non vincolata al semplice elemento iconografico,ma allacciato ad una visione intimistica legata a tradizioni e leggende dell’acqua e del legno della sua cultura e tradizione.

E questo è stato il passaggio che mi ha condotta poi a cercare di conoscere “l’uomo” attraverso e oltre l’opera stessa . il legame di Giacomo con la sua terra e il suo lavoro. Il saper riconoscere “il respiro” di un legno e la freschezza dell’acqua di fonte.

Così è nata la mia prima visita alla Vall di Rabbi,sperimentando percezioni visive, olfattive e tattili per una condivisione  esperienziale del mondo di Valorz .  Ho imparato a vedere ed ad apprezzare come l’artista coincida con l’uomo e come sia in grado di muoversi all’unisono con il suo ambiente, la valle e quella strana percezione del tempo rallentato che ne caratterizza il vivere.

ogni viaggio di lavoro diventa un piacevole incontro con questa realtà, in grado di migliorare la    lettura delle opere di Giacomo, che non potrebbero prendere vita in altri contesti. In tale armonia Giacomo ha fatto nascere nuove sinergie e ricerche, concretizzate poi nello studio di animali e volatili del Parco dello Stelvio, sempre attraverso la sapiente lavorazione del legno.  E nuove collaborazioni si stanno evolvendo sul tema dell’uomo- ambiente- lavoro manuale.

Giacomo Valorz ha saputo valorizzare e trasmettere la discrezione del vivere, l’essere accorto nel calpestare la sacralità della terra e l’umiltà che l’uomo deve saper dimostrare nei confronti dei misteri, leggende e riti che hanno formato la nostra memoria storica e che devono essere , attraverso la sua arte, un insegnamento per tutti noi.

Elsa Gipponi

Storico dell’arte

A quota 2.012 le reti di impresa con 10.099 imprese coinvolte, avanti a tutto gas !

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Due soglie psicologiche superate di slancio, due soglie fondamentali:
over quota 2.000 Reti di Imprese, over quota 10.000 Imprese partecipanti.

L’aggiornamento di Infocamere al 1°marzo 2015 ci fornisce questo dato importante di crescita delle Reti e delle Imprese coinvolte nei contratti di Rete.

Un dato questo che, unitamente alla Relazione del Garante delle MPMI di pochi giorni fa, da un lato è in linea con le previsioni e proiezioni del Garante e dall’altro fa percepire la sempre maggior propensione anche dei piccoli imprenditori verso le Reti e l’importanza – sottolineata dallo stesso Garante – di quanto si debba puntare alla valorizzazione di figure manageriali con competenze specialistiche adeguate per consentire alle MPMI “di agganciare la ripresa e per conseguire quegli elevati standard qualitativi imposti dalla competizione globale.”

E’ un altro elemento di conforto e grande spinta anche per chi, come noi, si pone con forza e con straordinaria energia al fianco delle Imprese che credono nelle Reti creando inoltre delle opportunità professionali per tutti coloro, Manager, Consulenti e Professionisti che vogliono valorizzare le proprie competenze per dare supporto alle Reti, gestirne la governance e incrementare il loro sviluppo. 

Un altro grande passo verso un processo di cambiamento in atto che sta assumendo la connotazione di quel “rinascimento produttivo” citato dal Garante e che vede le MPMI aggregate in reti innovative, internazionalizzate e competitive. 

Un altro punto di partenza. Per dare sempre più slancio e crescita dimensionale alle nostre MPMI in forma di rete e al ruolo sempre più strategico del Manager di Rete.

Reti di Imprese, Innovazione, Trasferimento Tecnologico, Capitale Umano.

ASSORETIPMI è l’associazione nazionale indipendente di Imprenditori, Reti di Imprese, Professionisti, Manager di Rete e tutte le persone interessate allo sviluppo dell’aggregazione nata dal social network LinkedIn, all’interno del Gruppo RETI DI IMPRESE PMI, che con i propri gruppi verticali conta oggi oltre 26.000 membri.

 Reti di impresahttp://www.retipmi.it/pmi/news/newstutte/item/890-2012-reti-di-impresa-10099-imprese-coinvolte-a-tutto-gas

 

 

Pro-Green, distretto Euregio per l’edilizia sostenibile

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Pro-Green, distretto Euregio per l’edilizia sostenibile

di Federico Mele – Corriere dell’Alto Adige martedì 3 marzo 2015

 

Rinnovare l’accordo sancito nel settembre 2012 dai presidenti di Alto Adige, Trentino e Tirolo in campo «green», in modo da collaborare all’interno dell’Euregio per trovare insieme nuove strategie e sviluppi del settore dell’energia rinnovabile. È quanto emerso dall’incontro di ieri al Tis innovation park di Bolzano, al quale ha preso parte anche il Landeshauptmann Arno Kompatscher, che ha sottolineato l’intenzione della giunta di rinnovare la collaborazione avviata con il progetto Interreg Italia-Austria «Pro-Green», in scadenza il 31 marzo. «L’Alto Adige – ha detto Kompatscher – da anni si impegna nel settore. Tra le strategie messe in atto uno degli strumenti cardine è il protocollo che sancisce la collaborazione sulle green technologies nell’Euregio. Il protocollo d’intesa punta a creare un distretto fra imprese della filiera delle costruzioni sostenibili creando sinergie tra aziende, enti e ricerca». Nel convegno sono stati presentati i risultati della collaborazione, come la guida ai servizi per le imprese e la banca dati online che riunisce le imprese del settore dell’edilizia sostenibile dell’Euroregione. «Grazie a questi due progetti – ha commentato Stefano Dal Savio del Tis – abbiamo facilitato il lavoro di chi cerca partner o fornitori nell’Euregio, raccogliendo una massa enorme di know how. È necessaria una nuova programmazione che prolunghi la collaborazione, dove l’Alto Adige è leader nell’efficienza energetica con il marchio CasaClima, il Trentino può portare l’esperienza maturata con il marchio Leed di Habitech e il Tirolo può insegnare quanto appreso in anni di studi della Casa passiva». Durante il convegno sono state presentate le strategie supportate dalla Provincia in questi ultimi mesi. «Per gli investimenti su crescita e occupazione” – ha detto il dirigente Maurizio Bergamini – abbiamo stanziato poco meno di 32,8 milioni per sostenere ricerca pubblica e privata, trasferimento di tecnologie e cooperazioni tra ricerca e impresa. Avviato il nuovo bando per assumere personale altamente qualificato». Ha chiuso Andrea Zaghi di Assorinnovabili: «La forte crescita registrata negli ultimi anni sarà molto più lenta a causa di politiche del governo meno favorevoli».

 

Pop Hub, la città si riprende i suoi spazi

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POP HUB, LA CITTÀ SI RIPRENDE I SUOI SPAZI

Vincitore del bando “Smart Cities and Social Innovation”, Pop Hub è un progetto di riqualificazione urbana che parte dalla mappatura degli spazi urbani inutilizzati tramite app e piattaforme virtuali apposite, ai fini di riuso e rivitalizzazione urbana e sociale, in contrasto al consumo di suolo e all’abbandono edilizio. In questa sede presentiamo il percorso di formazione e sviluppo del progetto, a partire dall’idea del nucleo fondatore fino alla realizzazione concreta e al suo impatto sul territorio.

16/02/2015 di: Elena Colli

L’innovazione non è più prodotto esclusivo di grandi società o centri di ricerca, ma è al contrario strutturata attorno all’individuo, radicata nella quotidiana creatività di piccole imprese e comunità produttive. È proprio in questo contesto fertile e in espansione che si inserisce il progetto Pop Hub.

L’idea è quella di creare una rete tra persone e spazi, a partire dagli edifici dismessi e sottoutilizzati delle città, che dalla denuncia e localizzazione su mappa della situazione di abbandono arrivi alla loro rivalutazione, per trasformarli in una risorsa: edifici incompiuti, vuoti, abbandonati e in rovina, sono spazi senza più rapporti col contesto e privi di un valore urbano, ma “sono luoghi dove potrebbero nascere nuove storie”.

Per fare questo Pop Hub utilizza una piattaforma web e un’app mobile per segnalare, geolocalizzare e raccogliere dati sugli edifici. L’obiettivo è innescare processi di riattivazione attraverso la partecipazione dal basso e la cooperazione con le amministrazioni locali, tramite i quali diffondere la consapevolezza dell’esistenza di questi spazi e quindi trasformarli in luoghi che accolgano laboratori, attività sperimentali, progetti a carattere sociale, culturale e di innovazione. Il progetto risponde alle esigenze di quella rigenerazione urbana che vorrebbe appunto “dare nuova vita alla città[1], agendo sulla qualità della vita e sulle relazioni sociali logorate e impoverite, che richiedono di essere ricostituite. Una rigenerazione possibile solo tramite azioni e politiche che aiutino a rendere partecipativi gli strumenti proposti dall’innovazione tecnologica.

Dal bisogno all’ispirazione: l’origine del percorso

Alla base di ogni iniziativa di innovazione sociale c’è un bisogno sociale, da cui nasce l’ispirazione per il progetto. Pop Hub nasce in questo senso da tre nuclei di idee, che toccano sia le esperienze personali dei fondatori che un bisogno sociale diffuso: in primo luogo, l’esperienza in prima persona di ri-attivazione di uno spazio all’interno della Fiera del Levante di Bari. In secondo luogo, nell’ambito delle associazioni studentesche, l’idea di voler creare luoghi di interazione a Bari tra studenti universitari e realtà esterne, vista la mancanza di uno spazio di dialogo. Infine, la partecipazione ad un nucleo di ricerca sull’architettura dell’abbandono, argomento della tesi di laurea in Ingegneria edile-architettura di uno dei due fondatori. Le tre idee, confluite nel progetto Pop Hub, hanno potuto realizzarsi concretamente vincendo il bando “Smart Cities and Social Innovation” nell’ambito dei PON “Ricerca e Competitività” 2007-2013, finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

La vincita del bando ministeriale ha innescato processi per la realizzazione concreta dell’idea: strutturazione di un business plan, studio di modelli low cost per lo sviluppo del progetto, istituzione di un gruppo dedito all’intercettazione di fonti di finanziamento, considerazione delle forme alternative e innovative di finanziamento (crowdfunding, investimenti derivanti dal riutilizzo di spazi, servizi di consulenza). Per quanto riguarda la forma di organizzazione e il modello di governance, il team di Pop Hub presenta una struttura fluida lontana dal tradizionale modello gerarchico, tramite lavori di gruppo e collaborazioni trasversali.

Inizialmente limitata alle Regioni dell’Obiettivo Convergenza, Pop Hub ha in seguito espanso il proprio campo d’indagine, per testare la validità dello strumento su territori molto diversi tra loro, in una logica di “sperimentazione urbana”. Una volta acquisita la base solida di mappatura, si potrà passare all’ultimo stadio del progetto, ovvero il riutilizzo degli spazi mappati e la creazione di una comunità attiva indipendente dal team. Nel concreto il team lavora già dal basso con azioni urbane per far emergere di proposte di riuso e sensibilizzare la comunità sul tema: eventi di riapertura temporanea, festival di riattivazione su alcuni edifici ed eventi spot tematizzati, con i quali si fondono la fame di spazi e le giovani energie creative, accogliendo le passioni e i desideri degli abitanti.

Le buone pratiche proposte dalle iniziative di innovazione sociale attecchiscono sulla società quando le istituzioni sono a loro favorevoli, tramite riconoscimento e collaborazione. Il beneficio è doppio: facilita gli attori coinvolti, ma è anche un modo per introdurre cambiamenti stabili all’interno delle istituzioni stesse. L’intento di Pop Hub è infatti divenire uno strumento in supporto agli enti locali, utile per rispondere ad esigenze amministrative e per costruire politiche urbane di rigenerazione. Questo tipo di dialogo ha trovato riscontro positivo a Bari, dove è stata avviata una collaborazione con l’Assessorato al Patrimonio per la riflessione sullo stato attuale del patrimonio inutilizzato e il ripensamento di strumenti e interventi legati al futuro degli edifici comunali in disuso, aggregando associazioni, cittadini e progetti locali.

Organizzazione e diffusione: strategie comunicative e di network

Il rapporto con i media, quindi le strategie di comunicazione e la capacità di creare network, diventano essenziali per catturare l’attenzione delle persone, risorsa preziosissima per un cambiamento sociale più rapido. Per Pop Hub la comunicazione ha un ruolo decisivo per il raggiungimento di un pubblico vasto e diversificato: linguaggio tecnico per professionisti e amministratori, e un lato più user friendly per i non addetti ai lavori. La presenza sui social network è imprescindibile: YouTube, Twitter, Pinterest, Google+, Instagram e naturalmente Facebook, tramite il quale può anche organizzare gli eventi-spot sopracitati.

L’innovazione sociale: risorsa alla portata di tutti

La produzione di vuoti urbani è causata da un insieme di fattori in cui sono coinvolti sia il mercato che le carenze dello Stato: domanda debole del mercato immobiliare, lentezza delle politiche e della pianificazione, incertezze sulla proprietà e costi di riqualificazione eccessivamente alti[2]. Per contro, iniziative come Pop Hub incentivano una manutenzione degli spazi da parte degli attivatori stessi, contribuendo allo sviluppo economico di un territorio, accogliendo attività sociali e culturali a costo minimo o nullo per la spesa pubblica.

Pop Hub rispecchia nella sua storia e composizione quanto detto all’inizio: i due fondatori sono infatti due ragazzi di 26 e 28 anni, Luca Langella, dottore in Scienze Politiche, e Silvia Sivo, laureanda in Ingegneria edile-architettura, e il nucleo di collaboratori rimane nel range 30 – 40 anni. Il background accademico dei fondatori mostra l’unione tra due ambiti disciplinari piuttosto diversi, con la quale si è potuto integrare in un unico progetto l’aspetto umanistico-relazionale e quello tecnico, specchio di una multidisciplinarietà tipica delle attuali start-up emergenti.

In conclusione, l’esperienza innovativa di Pop Hub deve fungere da esempio per ricordare che un nuovo modo di fare imprenditorialità, giovane, potente e ispirato a valori sociali, è possibile e soprattutto è alla portata di tutti. È possibile innescare nuove occasioni di sviluppo culturale e imprenditoriale locale, proponendo modelli di gestione alternativi a quelli delle logiche di mercato, per fare in modo che la città e i suoi cittadini si riapproprino dei loro spazi affidandoli alle idee e alla progettualità dei giovani e facendo spazio a un futuro in cui la collaborazione, il riuso, la creatività siano parte integrante della vita urbana.

 

 

[1] Vicari Haddock, S., Moulaert, F. (2009). Rigenerare la città. Pratiche di innovazione sociale nelle città europee. Il Mulino, Bologna.

[2] Colomb, C. (2012). Pushing the urban frontier: temporary uses of space, city marketing, and the creative city discourse in 2000s Berlin. Journal of urban affairs, 34(2), 131-152.

 

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