Cittadinanza responsabile (e digitale)

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In corrispondenza  alla fase che precede  l’avvio della campagna elettorale per le Regionali 2015 del Veneto, un gruppo di tecnici e professionisti ha elaborato una proposta di legge regionale sulla partecipazione dei cittadini che, a partire da una visione aggiornata  della rivoluzione digitale e della strategia operativa dell’Agenda Digitale, individua gli strumenti e le procedure che possono garantire un più intenso ed efficace coinvolgimento della popolazione nei processi decisionali  e legislativi della Regione.

Dal testo del  Capo I, ART. 1 – Principi per la cittadinanza responsabile (CITTADINARE) del  P. di L.:

«Il nostro progetto non è contro i partiti politici ma a favore della politica. La nostra idea si propone di mettere a disposizione della società civile alcuni strumenti per aggiornare le forme di partecipazione e le modalità di rappresentazione degli interessi. I principi elencati in questo capo hanno lo scopo di condividere un quadro di valori per un nuovo patto tra cittadini e istituzioni» ……..

Per l’intero testo e per condividere l’iniziativa:

https://sites.google.com/site/cittadinare/home

Una nuova narrazione per il #Venetochevogliamo

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Liberiamo i Palazzi regionali dalla casta dei figliocci e compagni di merende del “Doge” corrotto e corruttore

Depuriamo il linguaggio politico dal venetismo localista,  delirante  e sognante un piccolo staterello carrozzone e pasticcione

Rafforziamo la vocazione e l’azione  della nostra Regione per  la riforma costituzionale federalista e la piena integrazione europea del Paese

 La capacità di  visione prospettica da parte  della leadership  politica,  costituisce una risorsa cruciale per focalizzare gli interessi  strategici di un territorio e  disegnare  il futuro più realistico sul piano degli obiettivi  di crescita e benessere raggiungibili per la comunità  che lo abita.

L’uso della  paura e l’esasperazione delle difficoltà di un presente  gravato dalla crisi economica e dalle ingiustizie distributive crescenti,  può dare un appeal  immediato  e gratificante  ai professionisti della propaganda o dell’uso spregiudicato della comunicazione veloce e superficiale; ma non consente di rafforzare la capacità  di governare i processi decisionali e fare le scelte giuste, tempestive, adeguate alle sfide della complessità sociale e della riorganizzazione del sistema pubblico.

Allo stesso tempo  le timidezze-ritardi nelle scelte  e gli opportunismi operativi,  sono piombo per le ali di una progettualità politica, economica ed  amministrativo-istituzionale, in particolare per una realtà come il Veneto,  allenata a misurarsi costantemente – attraverso il suo apparato di Imprese industriali e di un  Terziario orientato all’innovazione  – con le sfide  della competitività sempre più globale e sistemica.

In particolare lo scenario  attuale,  presenta caratteristiche inedite e spiazzanti, tali da richiedere una rivisitazione critica sia dei tradizionali paradigmi interpretativi di lettura del cambiamento in corso  che delle subculture che hanno connotato la rappresentanza e la guida politico-istituzionale  regionale nell’ultimo ventennio.

L’intero  sistema richiede un sussulto di creatività e discontinuità, una rigenerazione etico-civile che si traduca però non in uno slancio moralistico per un generico rinnovamento, bensì in una effettiva concreta rottura,   ovvero  in un programma di innovazione schumpeteriana  le cui azioni  possono essere messe in campo solo da  una nuova leva di leader in grado di sottrarsi  alle pratiche dissipative della retorica, degli ideologismi passatisti  e dell’inconcludenza.

I Palazzi veneti della politica debbono essere liberati  dai figliocci e compagni di merende del  “Doge”  corrotto e corruttore; il linguaggio della politica deve essere ripulito dal ricorso al venetismo localista, piagnone e  mafioso che ha prodotto  diffusi comportamenti  omertosi, si trattasse di Grandi opere e/o di barare sulle Quote latte; le responsabilità per la  pianificazione di infrastrutture, territorio e servizi  non deve – mai più – essere affidata  ai “bracconieri di futuro”,  professionisti di un malaffare raffinato, ordito e praticato attraverso la manomissione dei dati, delle previsioni e l’occultamento sia dei danni del passato che del futuro prossimo provocati dal saccheggio delle risorse ambientali e dalla mancata attuazione dei processi di riorganizzazione ed efficientamento delle strutture pubbliche.

Le prossime elezioni regionali  sono un appuntamento storico non solo per il Veneto, ma per l’intero Paese: i cittadini infatti sono chiamati a  valutare ed esprimersi su un doppio imbroglio che grava in modo insopportabile sulle spalle della nostra comunità:

a) Innanzitutto quello intollerabile rappresentato dal perpetuarsi di colossali sprechi perpetrati dalla gestione centralistico-romana di risorse pubbliche che, anche per responsabilità di un ceto  politico nazionale  pigro ed inefficiente,  ha finora  consentito che le  solite note amministrazioni locali (in particolare del Centro-Sud) e corporazioni ministeriali alimentassero una spesa insostenibile, affrontata   con l’aumento della pressione fiscale su famiglie ed imprese  piuttosto che con il ricorso  ad una tempestiva  spending review finalizzata ad imporre il rigore finanziario attraverso i criteri standard ed il commissariamento di tutti gli enti con deficit fuori controllo. A fronte di tale patologia storica della finanza pubblica gli eletti del Consiglio regionale del Veneto dovranno adottare un codice di comportamento che li impegni ad una battaglia senza sosta e tentennamenti contro ogni tipologia di sprechi e privilegi che si annidi in tutte le pieghe della spesa pubblica nazionale, ad ogni latitudine del Paese.

b) Il secondo, altrettanto pericoloso anche se più mascherato, è quello che si manifesta con le vesti e le proposte del risentimento localista e della propaganda “indipendentista” – sia nella fattispecie dell’iniziativa  referendaria che di progetti di legge privi di serietà e fondamenti costituzionali. Si tratta di suggestioni e trucchi che debbono essere sconfitti  prima sul piano culturale che elettorale, perché costituiscono:

–   nel caso delle iniziative portate avanti  dalle fazioni  più ingenue e generose, uno spreco di energia politica,   che andrebbe investita a sostegno  di un autentico percorso federalista;

–   nel caso, invece delle proposte sostenute  dai “veterani” di centrodestra  del Consiglio Regionale, si tratta di tentativi  di mascherare il sogno di  perpetuare di una funzione di casta nella  rappresentanza di  un inutile nuovo staterello-carrozzone in un contesto di riforme costituzionali che esige il dimagrimento e lo snellimento della funzione regionale, cominciando con la secca riduzione di emolumenti  che dovranno essere da subito – ovvero immediatamente dopo l’insediamento del nuovo Consiglio –  ridotti a quello riconosciuto al Comune capoluogo.

Tale prospettiva comporta una discontinuità politico-culturale che ponga fine al periodo storico del gonfiamento artificioso di un potere regionale viziato dal centralismo, dall’inefficienza e dalla mancata integrazione funzionale e co-operativa con il territorio; la rivisitazione critica e riorganizzazione complessiva del sistema amministrativo  veneto, deve essere ri-conosciuta, divulgata e discussa attraverso un processo di partecipazione che si  diffonda in tutti gli angoli della Regione, con intensità e trasparenza crescenti, con l’adozione di strumenti e metodologie di coinvolgimento degli elettori – sollecitati a comprendere e condividere un progetto di destino  comune,  che mette in gioco e richiede l’esercizio di una cittadinanza attiva e responsabile e la realizzazione di un programma che costituisca una sintesi superiore alla somma delle legittime domande ed attese espresse dalla composita realtà  locale, anche per dare risposte che siano inclusive e  più efficaci per i territori ed i soggetti sociali più deboli.

E’ il caso di sottolineare che la realizzazione di questa rivoluzione presuppone il superamento  di  aggregazioni ancorate ad  identità territoriali e ideologiche che servono da alibi per incapaci e passatisti; serve invece la propensione ideale-valoriale ad arricchire gli strumenti di indagine, riflessione ed elaborazione di una  progettualità  che riveli e persegua le  inedite e virtuose interazioni tra governance dello sviluppo regionale ed evoluzione del Sistema-Paese,  da un lato,  e dell’ Europa 2020 dalla’altro.

La complessità ed articolazione degli argomenti e la motivazione politico-culturale della loro scelta e selezione rendono necessaria la cooperazione  sia nella raccolta e diffusione delle informazioni che nella tematizzazione ed alimentazione della riflessione; e ciò è reso possibile solo da un’organizzazione politica vocata ed attrezzata a praticare un nuovo modello di partecipazione e cittadinanza attiva, supportata da strumenti e metodologie digitali  condivisi e gestiti con procedure trasparenti.

Il progetto illustrato nella Presentazione in PowerPoint  al link indicato in calce nasce da queste considerazioni.

http://www.slideshare.net/dinobertocco1/ilvenetochevogliamob

La corruzione si combatte (anche) con l’innovazione digitale: l’appalto di lavori pubblici via cloud computing.

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Uno dei maggiori trend nel settore ICT di questi ultimi anni è senza dubbio il Cloud Computing, ovvero quell’insieme di tecnologie attraverso le quali è possibile fornire servizi attraverso la rete, per mezzo di infrastrutture di memorizzazione e di elaborazione dati residenti tipicamente in data center.
Tale procedura di efficientamento fino a poco tempo fa esclusivo dominio del settore privato, si è fatto più recentemente strada anche in un settore pubblico mosso dalla necessità di trovare nuove metodologie operative per ridurre i costi e aumentare la produttività dei servizi.

Un recente studio, realizzato da Microsoft Italia in collaborazione con l’Osservatorio ICT PA e Sanità di Netics, ha messo in evidenza che la Pubblica Amministrazione italiana, utilizzando quotidianamente le soluzioni offerte dalle tecnologie di comunicazione integrata e collaborativa, realizzerebbe un risparmio complessivo stimato sui 2,9 miliardi di euro all’anno.
Tuttavia, oltre che sui costi, l’attenzione dovrebbe essere portata sui risultati che il processo di “cloudizzazione” della PA può determinare; la questione che, infatti, fino ad oggi è rimasta sullo sfondo del dibattito politico, in particolare quello focalizzato sulla spending review, è come la Pubblica Amministrazione digitale possa migliorare le proprie performance, ovvero “fare presto e bene”. Secondo il
Politecnico di Milano, la digitalizzazione dei processi di interfaccia tra imprese e PA potrebbe comportare una riduzione dei costi burocratici a carico delle imprese superiore al 30%, con un recupero di produttività equivalente a 23 miliardi di euro!
Sono in gioco quindi cifre importanti che dimostrano come, semplificando le proprie procedure e riorganizzando i propri processi, la PA potrebbe svolgere un ruolo fondamentale nel partecipare allo “Sblocca Italia”, cioè allo sforzo che tutto il Paese è chiamato a fare per aumentare la propria competitività, lo sviluppo delle imprese e dell’occupazione.
Un contributo importante per accelerare tale cambiamenti è rappresentato dalla soluzione-Clesius per la gestione degli appalti di lavori pubblici.

La soluzione Clesius
La soluzione Clesius si contraddistingue per un approccio di tipo SaaS – Software as a Service – che consente l’utilizzo del programma attraverso un semplice browser internet. Quando una stazione appaltante indice una gara d’appalto rende pubblico un indirizzo web al quale connettersi, via https. L’intero processo dell’offerta è anonimo: il sistema non può identificare gli utenti e non conoscere nessuno dei valori introdotti.
Per inserire i dati è sufficiente creare un “account” ovvero completare la procedura di registrazione: chiunque desideri partecipare alla gara dovrà inizialmente creare un nome utente, una password e una chiave crittografica. Questi tre elementi non sono riconducibili ad alcun profilo utente ( incaricato, legale rappresentante o azienda ) e non vengono memorizzati “in chiaro” dal server.
Dopo aver completato la procedura di registrazione, gli stessi identificativi permettono l’accesso per visualizzare e eventualmente modificare i dati già introdotti. La base di partenza dell’offerta è uguale per tutte le imprese partecipanti: è infatti precompilata comprendendo voci e prezzi informativi fissati nella preventivazione esecutiva.

La modifica di un prezzo, relativo a un singolo elemento o a una lavorazione, all’interno di una scheda d’analisi produce l’effetto di modificare automaticamente tutte le schede riportanti lo stesso elemento, aggiornando il relativo prezzo. Se per esempio è modificato il prezzo orario di un “operaio specializzato” in una riga d’analisi di una scheda, tutte le schede che riportano la voce di costo “operaio specializzato” verranno aggiornate con il medesimo prezzo orario.
Ciò permette alle imprese di velocizzare l’attività di controllo, evitando l’affannosa ricerca di differenze di prezzo per voci di costo identiche, e di monitorare gli effetti che le modifiche producono progressivamente su importi generali e relativi ribassi.
I ribassi, in particolare, vengono messi in evidenza se considerati “eccessivi” ( per esempio, se subiscono uno scostamento maggiore al 25% dai valori del progetto ) e che potrebbero quindi costituire delle potenziali anomalie. L’aumento della qualità delle offerte è assicurato dall’introduzione di controlli automatici ( formali /ordine di grandezza ) sui valori inseriti ( quantità/ prezzi ) contestualmente al lavoro di input dati.
Qualità e sicurezza dell’offerta.

La chiave crittografica, costituita da una semplice frase, permette di rendere illeggibili i valori relativi all’offerta prima ancora che questi vengano memorizzati sul server. Questo significa che nemmeno la Stazione Appaltante o i gestori del servizio sono in grado di conoscere, a gara in corso, i dati contenuti nelle offerte.
Solo chi conosce i tre elementi di accesso ( nome utente, password e chiave crittografica ) ha la possibilità di consultare l’offerta e eventualmente richiamarla.
Le imprese partecipanti alla gara d’appalto, una volta compilata l’offerta nel sistema Clesius, hanno la possibilità di generare la documentazione ( pdf / cartaceo ) da consegnare entro i termini previsti nel bando di gara. Nelle prime pagine vengono riportati i codici identificativi dell’impresa, l’identificazione del momento della stampa, la chiave crittografica e i valori riassuntivi dell’offerta ( importi totali e percentuale di ribasso ). Segue, poi, l’elenco prezzi unitario con l’evidenziazione delle modifiche apportate alle quantità delle lavorazioni “a corpo” laddove permesso e le eventuali schede integrative alle lavorazioni previste nel progetto.
Al momento dell’apertura delle buste, la stazione appaltante – in seduta pubblica – per mezzo di una semplice scansione dei codici a barre riportati sulla prima pagina dell’offerta, può identificare subito l’impresa partecipante, decifrare i valori inseriti e rendere pubblici ribassi e eventuali anomalie.

L’apertura delle buste, inoltre, permette un confronto automatico tra le varie offerte e la generazione dinamica della graduatoria in funzione – ad esempio – del ribasso, confrontando al contempo le anomalie ( lo scostamento dell’offerta rispetto al listino prezzo provinciale o rispetto al capitolato tecnico possono essere impostati come parametri per fare si che l’amministrazione abbia strumenti di analisi efficaci ) ed identificando le imprese che in base alla normativa di riferimento devono essere escluse.
Una procedura di questo tipo permette di velocizzare le procedure di aggiudicazione, riducendone drasticamente i tempi: in sede di prima applicazione ( Provincia Autonoma di Trento ), il sistema Clesius ha permesso alla stazione appaltante di chiudere l’intero processo in circa 2 mesi ( contro i 6 mesi necessari per procedure analoghe con sistemi tradizionali ).

Il semestre italiano di presidenza dell’UE e la nomina di Federica Mogherini : per un Paese più forte in un’Europa più giusta

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La domanda di futuro che ci interpella.
I cittadini italiani-europei hanno espresso – con le recenti elezioni – segnali molteplici e contradditori: un certo disamore (con l’astensionismo , segnali di rancore (con il voto ai movimenti antieuropei) che sono strettamente correlabili, per una parte, ai pesanti costi sociali provocati dall’austerità imposta dalla BCE e, per un’altra, all’assenza di una prospettiva incoraggiante delle Istituzioni comunitarie, nel contesto di una crisi economico-finanziaria perdurante.
Le promesse e le attese alimentate e cresciute nella prima stagione dell’euro, sono infatti diventate meno credibili perché i costi dell’appartenenza all’UE e della condivisione dei sacrifici necessari per il suo rafforzamento, sono ora giudicati insostenibili – per ragioni opposte – sia dai popoli del nord che da quelli del sud.
Ma i risultati elettorali non segnalano e non devono essere interpretati come il fallimento dell’integrazione europea; ne evidenziano semmai i limiti e l’incompletezza su cui hanno potuto speculare i mercati finanziari – in particolare finanziando le bolle immobiliari ed i titoli pubblici nei paesi del sud – che dapprima hanno negato il rischio e poi – dopo che la crisi scoppiata negli USA ha innescato la questione dei Debiti sovrani europei – lo hanno sopravvalutato, dando vita al fenomeno degli spread che ha contagiato anche l’Italia, portandola sull’orlo del default.
L’Europa, fin dalla sua nascita e attraverso le successive tappe della sua evoluzione, dai Trattati alla adozione della moneta unica, ha rappresentato un fattore benefico per il nostro Paese che ha trovato, nel processo di integrazione comunitaria, sia un ampliamento degli spazi di mercato per la propria produzione industriale ed agricola, che l’impulso per migliorare gli standard dei diritti di cittadinanza e di protezione sociale.

Euro, uno scudo usato maldestramente.
Va sottolineato che l’euro, al netto delle “disfunzioni” provocate dagli operatori italiani che hanno – nella fase di decollo – barato e lucrato sui prezzi per la carenza di efficaci azioni di controllo sul cambio da parte delle autorità competenti, ha costituito uno scudo di fondamentale importanza per l’assetto economico-finanziario del nostro Paese:
a) frenando la crescita del deficit pubblico italiano che – con la lira vigente – avrebbe continuato un’accelerazione spaventosa determinando anzitempo il collasso del sistema;
b) riparando e tutelando i risparmi delle famiglie, protetti da una moneta forte che nel corso del tempo ha consolidato il proprio valore di scambio nel mercato finanziario globale sottoposto alle fluttuazioni di una speculazione crescente;
c) ma, soprattutto, rappresentando un argine decisivo di fronte alla crisi arrivata dagli USA nel 2008 con una forza tellurica che avrebbe travolto come fuscello la moneta nazionale, con effetti drammatici sui conti pubblici, sui costi dell’energia e delle materie prime, sul potere d’acquisto delle famiglie.
Il passaggio quindi dalla lira all’euro è stata un’operazione intelligente e vantaggiosa, la precondizione di una stabilità monetaria che avrebbe dovuto sostenere la crescita basata sulla spinta di un indispensabile aumento di produttività ed essere la leva per la creazione e l’aumento della ricchezza reale.
Purtroppo la solidità della nuova moneta (l’euro) è stata scambiata dalla classe dirigente italiana – nel suo complesso – come un ancoraggio sufficiente e sicuro per lo sviluppo, a prescindere dall’improcrastinabile necessità di affrontare le cause strutturali dell’assenza di crescita con stagnazione dell’occupazione, ovvero il costante calo della produttività riscontrato nel corso degli ultimi 15 anni, verosimilmente determinato da cause più volte identificate, ma non rimosse:
– scarsa concorrenza e liberalizzazione dei settori nei quali agiscono rendite di posizione e corporativismi professionali che incidono negativamente sulle tariffe e sulla qualità dei servizi per i cittadini
– insufficiente propensione all’innovazione da parte delle imprese gravate da un’alta pressione fiscale e non coadiuvate dal sistema pubblico della Ricerca
– un sistema di formazione ed istruzione superiore, in particolare tecnico-professionale, arretrato e sfasato rispetto alle esigenze del mercato del lavoro nel quale continuano a manifestarsi carenza di skill e figure richieste dalla imprese più innovative
– un costo dell’energia molto maggiore di quello dei paesi concorrenti
– un mercato del lavoro poco aperto (per usare un eufemismo) ai giovani
– una pubblica amministrazione farraginosa, arretrata sul piano tecnologico-organizzativo ed impreparata quindi a sostenere lo sforzo competitivo del sistema produttivo
– un sistema di giustizia civile tra i più lenti, inefficienti e costosi dei paesi avanzati
– e, non ultima, una perdurante e diffusa corruzione che ha continuato a pesare sui conti pubblici, scoraggiare la competizione l’arrivo di investitori esteri.
Si tratta di una serie di nodi cruciali che attendono di essere affrontati con una politica di riforme strutturali di ampio respiro e che sono entrati con colpevole lentezza e contraddizioni nell’Agenda politica dei Governi succedutisi negli “anni dell’euro” che – proprio in ragione della protezione assicurata dalla moneta unica – hanno oscurato la realtà di un Paese che perdeva il 20 % di competitività in un mercato internazionale sempre più aperto e sfidante.
Buon ultimo e con una determinazione più che motivata, il Governo Renzi vi ha ri-messo mano, accelerando anche il percorso parlamentare della riforma elettorale ed istituzionale, questioni sulle quali le difficoltà e le resistenze al cambiamento si stanno manifestando in modo trasversale, confermando la necessità di introdurre nel dibattito politico italiano il linguaggio della verità e della trasparenza, ovvero di denunciare e combattere il gioco sporco degli illusionisti che scaricano sull’Europa le responsabilità – tutte italiane – dello stato di crisi sistemica del Paese, pur di ritardare e dribblare i necessari processi di innovazione ed affrontare i veri limiti e le incongruenze della politica comunitaria.
Grillo, Salvini e Pinocchio
Si rende quindi necessario, prioritariamente, smascherare lo sfascismo antieuropeo e le bugie anti-euro perché rappresentano un’operazione che non produce solo l’effetto di intossicare il confronto politico interno, ma soprattutto si traduce in un sabotaggio dei valori e degli interessi profondi che legano il futuro dell’Italia a quello dell’Europa.
Grillo Salvini ha strutturato la loro campagna elettorale per le europee su un doppio binario. Da un lato, quello scontato della polemica anti-euro, finalizzato ad intercettare tutti gli italiani – e sono un numero crescente, purtroppo – che non avendo ricevuto nell’ultimo decennio dalle forze politiche e dal sistema dei media nazionali analisi serie e puntuali sui numeri e sulle ragioni obiettive dei conflitti interni all’Unione Europea e tanto meno risposte ai mille problemi quotidiani, vengono orientati a rivolgere i loro motivi di delusione e rabbia verso un’Europa “cattiva matrigna”.
L’apparentamento del M5S con l’inglese Farage e della Lega con la francese Le Pen, costituiscono ora una scelta strategica per continuare a soffiare ed a lucrare sui sentimenti antieuro.
Va d’altronde sottolineato che la causa profonda della disaffezione – che i sondaggi riscontrano – dei cittadini italiani nei confronti delle istituzioni comunitarie è causato dalla incapacità di opinion leader, giornalisti (per lo più disinformati ed incompetenti), agenzie culturali, associazionismo politico e sociale, di innovare la chiave interpretativa e narrativa della nuova Comunità nascente: un gap che le forze politiche autenticamente europeiste debbono proporsi, per la parte e le responsabilità che competono loro, di contribuire a superare attraverso il linguaggio e l’esercizio della rappresentanza coerenti con il progetto di una più compiuta cittadinanza europea.
Oltretutto tale messaggio innovativo costituisce la scelta giusta per contrastare l’operazione degli sfascisti, che è condotta con l’armamentario di argomenti e pregiudizi che tendono a semplificare e strumentalizzare le ragioni del confronto e della competizione in corso nell’ambito comunitario, il cui provincialismo gretto ed autolesionistico si evidenzia nella creazione di polemiche, in particolare con i partner tedeschi e la leadership della Merkel, assurta a simbolo di “gendarme” del rigore finanziario.
La sistematica falsificazione della storia recente riguardante il processo di integrazione europea, è usata allo scopo di continuare la polemica politica domestica: ma tale pratica – lo dobbiamo avere ben chiaro – rappresenta un danno incalcolabile per la credibilità del nostro Paese proprio nel momento in cui è impegnato nella responsabilità di gestione del semestre:
1. ci espone alla delegittimazione nell’arena politico-istituzionale europea rafforzando nei confronti delle proposte e rivendicazioni italiane – sulla cosiddetta flessibilità – in sede comunitaria i pregiudizi alimentati dal comportamento di Berlusconi: dopo aver subito i danni dei sorrisini del duo Merkel-Sarkozy, dobbiamo sopportare ora il peso di una scarsa credibilità;

2. rischia di indebolire la forza e la rappresentatività della delegazione parlamentare italiana a Bruxelles, chiamata, in una fase storica drammatica, a trovare le formule politiche ed i contenuti programmatici con cui sostenere unitariamente le ragioni superiori degli interessi strategici italiani da tutelare.

Il Parlamento europeo infatti non è:
a. Il teatrino in cui ci si può insultare e nel quale si possono usare argomentazioni ideologiche prive di fondamento e di sostenibilità e presumere che ciò procuri un vantaggio all’Italia.
b. Non è neppure un salotto per sognatori ed intellettuali animati da pie intenzioni e privi della conoscenza degli interessi e tradizioni culturali nazionali in campo, che debbono trovare costantemente mediazioni e sintesi parziali, ma condivise.
c. E’ piuttosto una vera arena politica competitiva, all’interno della quale valgono le buone idee e la capacità di sostenerle con i rapporti di forza che vengono giocati, però, all’interno di un perimetro di certezze che garantiscono la solidità dell’impianto istituzionale e, soprattutto, costituiscono un vantaggio per tutti i protagonisti incommensurabilmente superiore a quello marginale propagandato dai demagoghi e disfattisti che irridono la bandiera comunitaria di un continente pacificato ed incitano alla rissa sventolando le bandierine di piccole patrie contaminate dagli antichi virus del nazionalismo, del populismo e del razzismo.
Ciò che sconcerta è osservare, nei movimenti antieuropeisti che sono emersi con prepotenza dalle recenti elezioni in diversi Paesi, l’obnubilamento e la smemoratezza irresponsabile relativamente ai vantaggi che i Trattati per l’integrazione europea hanno determinato per tutti i popoli che hanno potuto varcare i vecchi confini, circolare liberamente, intensificare lo scambio di merci, condividere standard più elevati di diritti di cittadinanza, attrezzarsi per affrontare insieme le sfide della globalizzazione, dotarsi di reti ed infrastrutture che ampliano gli orizzonti della mobilità e degli spazi di azione per imprese sempre più internazionalizzate ed efficienti…

Il vento della generazione Erasmus
Ma non bisogna disperare: come rivela un recente Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo, due ragazzi italiani su tre sono convinti che il progetto comunitario sia più un’opportunità che un vincolo.
Al netto della delusione per come l’Europa ha affrontato la crisi e di un giudizio su di essa fortemente influenzato dall’atteggiamento che i giovani hanno nei confronti delle istituzioni italiane, la “generazione Erasmus” ha sperimentato la bellezza e l’utilità della libera circolazione senza visti e passaporti da mostrare; le frontiere cadute non sono solo quelle burocratiche, ma anche culturali, ragion per cui l’opinione prevalente è che bisogna andare avanti, anche con un esercito comune ed un’unica politica sociale ed estera.

Reintroduzione della lira?
Ciononostante, è ancor più avvilente riscontrare la rozzezza e l’avventurismo delle posizioni politiche che continuano ad usare nel dibattito politico, in Italia, il tema dell’abbandono dell’euro e/o della sua messa in discussione.
Per le ragioni già ricordate, è necessario contrastare la propaganda leghista e pentastellata con la massima energia, denunciandone il carattere regressivo e la carica distruttrice, di cui sono veicolo, per gli interessi nazionali.
Non dobbiamo lasciare ai cittadini italiani nessun margine di dubbio: la reintroduzione della lira non sarebbe un’operazione romantica, bensì dagli effetti drammatici e traumatici: il primo sarebbe un’immediata svalutazione molto significativa, stimata nell’ordine del 40 per cento. Ciò comporterebbe sicuramente uno stimolo alle esportazioni, ma a prezzi pesantissimi:
– con l’impatto automatico sul debito pubblico e privato, attualmente determinato in euro, che quindi aumenterebbe dello stesso importo della svalutazione
– ne seguirebbe un forte peggioramento della posizione patrimoniale di quei soggetti, imprese, famiglie e banche, che hanno nei propri bilanci passività in euro superiori alle attività, prolungandone ed aggravandone la crisi finanziaria
– il debito pubblico italiano, in larga parte detenuto da investitori stranieri, diventerebbe ancor più insostenibile
– l’aumento dello spread e del costo del credito innescherebbero un avvitamento del sistema economico-finanziario (aumento dell’inflazione, ecc.) ed il probabile collasso dell’intero Paese.
E’ pertanto fondamentale una lotta dura sul piano argomentativo e dialettico per evidenziare l’autentico karakiri che gli sfascisti antieuro propongono al nostro Paese: anche se risulta persino raccapricciante, è necessario divulgare il prospetto dei costi che deriverebbero dal “no alla UE”: 800 miliardi! (vedi l’elaborazione de Il Sole 24 Ore, lunedì 5 maggio 2014).
Non si tratta quindi di sostenere una polemica politica contingente, bensì di fissare la strategia ed i contenuti programmatici per il piano di salvezza del Paese che tra i punti programmatici ha un ancoraggio forte e strutturale nell’integrazione sociale, istituzionale ed economico-finnanziaria comunitaria.
Per il nostro Paese si tratta di aver ben chiaro che i fronti interno ed internazionale sono le due facce della stessa medaglia, nell’azione per il rinnovamento e la rinascita nazionale!
Nelle conclusioni del suo libro Trentatrè false verità sull’Europa Lorenzo Bini Smaghi sostiene – sulla scorta di un’approfondita analisi che gli deriva non solo dalla competenza scientifica, ma anche dalla esperienza diretta sul campo (membership del Comitato esecutivo della BCE) – che “il destino dell’Europa si gioca nei prossimi anni in gran parte a Roma. Ci si deve dunque interrogare sul ruolo che l’Italia può svolgere per avviare un circuito virtuoso, per la sua economia e per il Continente”.
Nel condividere pienamente tale diagnosi, riteniamo necessario prospettare con questo contributo alcuni elementi per un programma di politica economico-sociale ed europea su cui impegnare l’azione di rappresentanza e mobilitazione politico-culturale degli europarlamentari italiani dovrebbero sostenere per dare forza e legittimità all’azione del Governo Renzi nella gestione del semestre a guida italiana .

1. Multilevel governance
Il primo appunto che annotiamo innanzitutto per la nostra agenda personale e che riteniamo debba essere assunto dalle forze politiche e da tutti i soggetti sociali e professionali, senza distinzioni di sensibilità ed orientamento culturale, è il superamento della pratica politica della separazione tra livelli di rappresentanza (territoriale, nazionale, europeo) e l’adozione dell’ approccio della multilevel governance che consenta di sostenere una progettualità più coordinata, integrata e funzionale ad implementare – sia con l’azione di Governo che con l’attività nel Parlamento ed i ruoli operativi europei – i provvedimenti più efficaci per recuperare competitività e far crescere nuovamente l’economia del nostro Paese, all’interno di una strategia comunitaria espansiva.

2. Contractual arrangements
L’appuntamento più prossimo ed inequivocabile per testimoniare tale scelta ci sarà dato con la definizione dei cosiddetti contractual arrangements – Accordi contrattuali tra l’Unione e i Paesi membri – che secondo la decisione del Consiglio europeo del dicembre 2013 dovrebbero essere concordati nella seconda metà del 2014, sotto la presidenza italiana. Il contratto dovrà costituire l’occasione per formalizzare, in ambito europeo, l’impegno dell’Italia a dare concreta e tempestiva attuazione al processo riformatore avviato dagli ultimi Governi ed in modo più determinato dal Governo Renzi, e ciò a fronte della rimodulazione del percorso di risanamento delle finanze pubbliche, ovvero dei vincoli del Fiscal compact, al fine di uscire dalla retorica asfissiante dell’austerità e dare un impulso alle politiche della crescita, fondamentale per aggredire il debito pubblico e dare contestualmente risposte alla drammatica emergenza occupazionale.

3. Fondo di garanzia per l’occupazione
La prima, visibile, coerente, condivisibile da tutti i Paesi membri (con il superamento di visioni, rivendicazioni, pregiudizi di matrice nazionale) misura che deve scaturire dall’intesa negoziata, riguarda – appunto – il tema del lavoro. Vanno trovate le risorse finanziarie per rafforzare prioritariamente i fondi di garanzia per l’occupazione giovanile. Contestualmente va predisposto un meccanismo di finanziamento comune della disoccupazione collegato all’avanzamento delle riforme strutturali avviate nei singoli Paesi affinchè emerga chiaramente che i risparmi prodotti dal rigore sono finalizzati a dare maggiori garanzie ai milioni di lavoratrici e lavoratori disoccupati e/o coinvolti dalle trasformazioni economiche e dai processi di flessibilizzazione del mercato del lavoro. Si tratta di una questione che rappresenta un vero e proprio “dovere dell’Unione”, come giustamente titola l’articolo dettagliato di A. Quadrio Curzio (Il Sole 24 Ore, 4 maggio 2014).

4. BCE per lo sviluppo
Bisogna inoltre procedere alla creazione di strumenti finanziari, che potranno essere inizialmente garantiti da titoli dei Paesi membri per trovare successivamente una soluzione unitaria condivisa a livello comunitario (Eurobonds) che consentano di “irrorare” in modo più potente il mercato finanziario e del credito attraverso più tempestive ed incisive politiche di intervento della BCE per lo sviluppo. Anche in questo caso si tratta di superare la logica delle contrapposizioni ideologiche tra Paesi, alimentate dalla sfiducia reciproca in merito alla mutualizzazione dei rischi, pubblici o privati, determinata dal sospetto che l’obiettivo per alcuni, sia la “socializzazione dei debiti passati”. L’Italia, in quanto primo contribuente – per peso sul debito – per il Fondo Salva Stati, ha il diritto ed anche il dovere di propugnare una strategia di maggiore protagonismo della Banca Centrale per il sostegno alla crescita: non è in gioco il tanto invocato “ruolo di prestatore di ultima istanza”, bensì l’esigenza di affrontare alla radice la questione della crescente divergenza reale tra le economie europee. La UE presenta nel 2014, a distanza di 28 anni dall’Atto Unico, oltre al positivo bilancio – in particolare per il nostro Paese – che abbiamo sinteticamente descritto, anche una lunga e sottovaluta storia di “asimmetrie” , ovvero l’assenza di una policy per la convergenza tra Nord e Sud, cosicchè oggi la crescente distanza tra i diversi Paesi sta diventando la vera palla al piede per lo sviluppo dell’intera eurozona. Pertanto nel Parlamento europeo va affrontato l’aggiornamento della politica di austerità con il duplice obiettivo di intervenire sugli squilibri territoriali dello sviluppo e contrastare la prospettiva della stagnazione economica che già ora si manifesta attraverso il fenomeno della deflazione, che – com’era prevedibile – comincia a colpire anche il Paese (la Germania) più refrattario a politiche monetarie espansive: il rischio dell’avvitamento su se stessa dell’intera eurozona può diventare esplosivo!

5. Il segnale (positivo) dell’Unione bancaria
Va nella giusta direzione del rafforzamento della governance comunitaria il meccanismo di gestione delle crisi creditizie recentemente approvato. Non si tratta infatti di una questione di pura tecnicalità riguardante la “tecnocrazia” comunitaria, bensì dell’avio di un processo irreversibile di consolidamento di regole e strumenti che da un lato tutelino il risparmio dei cittadini europei e dall’altro determino una gestione del credito più trasparente, sottratta alla discrezionalità di lobbies e gruppi di potere operanti sia ai livelli nazionali che territoriali che negli ultimi anni si sono resi protagonisti di operazioni finanziarie che hanno bruciato ingenti risorse e rallentato il flusso della circolazione del credito a favore delle PMI. L’Unione Bancaria, che va ulteriormente completata, rappresenta un pilastro fondamentale per consolidare un processo di sostegno effettivo alle politiche di sviluppo e superamento della frammentazione del mercato finanziario e del credito.

6. Una politica estera e della difesa rafforzate
L’esigenza di sconfiggere in Italia il populismo antieuropeo e di orientare l’opinione pubblica nazionale ad una maggiore consapevolezza della dimensione internazionale dei problemi drammatici che il nostro Paese non può affrontare con una miope visione nazionale o – peggio – da “piccola patria”, è rappresentata dalla visione quotidiana delle immagini che scorrono sugli schermi televisivi: l’ondata immigratoria dal mediterraneo che sta travolgendo le fragili infrastrutture di accoglienza siciliane e gli eventi di guerra civile che riemergono nel versante orientale dell’Europa, ovvero in territori in cui potremmo affermare che “la storia non è ancora terminata” , resi ancor più drammatici con quello che non si può definire un “incidente” bensì dell’effetto collaterale dello scontro in atto tra i ribelli filorussi ed il Governo di Kiev: l’abbattimento dell’aereo civile olandese nei cieli dell’Ucraina. Si tratta quindi di aprire una pagina nuova nel processo di integrazione europea, mettendo al centro l’adozione di una strategia comunitaria che faccia della politica estera e della difesa uno scudo unitario per fronteggiare emergenze epocali che sollecitano una presa di coscienza dei popoli e delle classi dirigenti nazionali sulla trasformazione in atto nei rapporti tra i continenti. Vanno in questa direzione il rafforzamento della funzione dell’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune che dovrà diventare un vero Ministro degli esteri per il quale – giustamente – si rivendica l’attribuzione ad un rappresentante italiano. Sono sul tavolo decisioni di fondamentale importanza che riguardano:
a) l’allargamento verso Est, con un’azione geo-politica mirante a sostenere la cosiddetta Eastern Partnership che deve puntare a stabilizzare e far prosperare molti Paesi del blocco ex sovietico;
b) la capacità di stabilire rapporti più stringenti con la Russia di Putin sia per frenarne la risorgente aggressività espansionistica e trovare una soluzione realistica al conflitto in Ucraina, sia per definire le condizioni di una partnership che è decisiva per il consolidamento dello scambio commerciale e per la questione delle forniture energetiche;
c) ma – per quanto ci riguarda più direttamente – è sul lato meridionale del continente che l’Europa deve mettere in campo un programma di interventi che vadano oltre sia l’indolenza e l’opportunismo dei Paesi del Nord (che si ritengono immunizzati dal problema) sia le improvvide pulsioni nazionali (come quelle della Francia che hanno portato al disastroso intervento nella crisi libica) . Come sottolinea l’europarlamentare Gianni Pittella nel suo Manifesto: “l’asse centrale della politica estera dell’Unione Europea dovrà essere a Sud ed è per questo necessario ripensare la politica euro-mediterranea. Sia il processo di Barcellona lanciato nel 1995 che l’Unione per il Mediterraneo promossa nel 2007 si sono rivelate esperienze non positive. Uno dei principali difetti di questi progetti era nel loro carattere troppo generale, nell’ incapacità nell’individuare un tema operativo che potesse dare un senso reale alla cooperazione euro-mediterranea. Io ritengo che in futuro tale cooperazione debba essere costruita attorno ad un progetto concreto: il sostegno al capitale umano nel Mediterraneo. Per questo, credo che il Parlamento Europeo nel prossimo mandato debba lanciare il progetto MARE (Mediterranean Area for Research and Education), ossia un grande piano a sostegno della mobilità e cooperazione a livello universitario nel Mediterraneo” .
Ciò deve significare una mobilitazione straordinaria immediata di risorse finanziarie, umane, progettuali, infrastrutturali sia per fronteggiare l’emergenza degli sbarchi che il necessario riorientamento verso l’autosviluppo delle aree più fragili del continente africano ed inoltre per sostenere una robusta azione di Peacekeeping nelle zone infestate dal terrorismo dei gruppi islamisti e dagli assassinii sistematici rivolti in particolare contro le popolazioni cristiane e le donne.

7. Agenda digitale europea
L’Agenda digitale presentata dalla Commissione europea è una delle sette iniziative faro della strategia Europa 2020, che fissa obiettivi per la crescita nell’Unione europea (UE) da raggiungere entro il 2020. Questa agenda digitale propone di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) per favorire l’innovazione, la crescita economica e il progresso. Si tratta di un documento che deve ispirare ed orientare costantemente l’iniziativa politica – sia nel Parlamento europeo che a livello nazionale e territoriale – finalizzata alla crescita economica sempre più correlata agli interventi che sostengono ed accompagnano la rivoluzione digitale, sia attraverso la rigenerazione delle attività imprenditoriali che con la riorganizzazione dell’intero apparato pubblico e dei servizi resi sempre più accessibili ai cittadini.
L’economia della conoscenza basata sulle reti nella quale siamo oramai immersi, si basa sulle infrastrutture che consento il flusso delle informazioni più efficiente: la strategia definita con Europa 2020 ha sottolineato l’importanza della diffusione della banda larga per promuovere l’inclusione sociale e la competitività nell’UE, ribadendo l’obiettivo (temerario) di portare la banda larga di base a tutti i cittadini europei entro il 2013. Come ben sappiamo in Italia e nel Nordest, tale obiettivo è ben lungi dall’essere stato raggiunto ed è pertanto necessario realizzare una “connessione” sempre più stretta e coerente tra le indicazioni programmatiche dell’UE e gli impegni attuativi delle Autorità regionali e del Governo, avendo presente che la strategia UE è intesa a fare in modo che, entro il 2020, tutti gli europei abbiano accesso a connessioni molto più rapide, superiori a 30 Mbps, e che almeno il 50% delle famiglie europee si abboni a internet con connessioni al di sopra di 100 Mbps.
Per raggiungere questi obiettivi ambiziosi occorre elaborare una politica globale basata su una combinazione di tecnologie e con due obiettivi paralleli: da un lato, garantire la copertura universale della banda larga (combinando reti fisse e senza fili) con velocità di connessione crescenti fino a 30 Mbps e oltre e, nel tempo, favorire la diffusione e l’adozione su una vasta porzione del territorio dell’UE di reti di accesso di nuova generazione (NGA) che consentono connessioni superveloci superiori a 100 Mbps.
Ne risulta la necessità, per i Parlamentari europei, di garantire un costante collegamento ed interfacciamento tra i Provvedimenti e finanziamenti decisi a livello comunitario e le iniziative intraprese a livello territoriale e nazionale per dare concreta attuazione alle Agende digitali affinchè diventino un vettore decisivo per l’innovazione e la crescita.

8. L’Europa che fa bene all’Italia
I temi e le questioni che, come ricordato, legano il futuro dell’Italia alla qualità delle sue relazioni con l’Europa e alla capacità di cogliere le opportunità che l’orizzonte comunitario presenta, in termini di regolamentazioni, standard, risorse finanziarie, efficientamento delle reti, mercato, ecc., sono naturalmente molti altri e su di essi diventa necessario alimentare la riflessività e l’iniziativa politica costante, con resoconti, convegni ed altre attività con le quali non solo testimoniare la necessaria concretezza della rappresentanza parlamentare europea, correla alle molteplici azioni ai livelli nazionale-regionale-locale, ma contestualmente segnalare la complessità e ricchezza del processo di integrazione europea, che meritano attenzione e coinvolgimento sempre più intenso ed esteso dei cittadini e di una Rete Civica Europea che va alimentata con la partecipazione degli Enti locali e delle rappresentanze sociali.
Dai costanti aggiornamenti dei provvedimenti per la PAC, lo sviluppo delle reti infrastrutturali per la mobilità, dalla trattativa per l’espansione del mercato UE-USA (entrato in una fase cruciale) alla tematizzazione della liberalizzazione del mercato dell’energia, dal fondo per l’occupazione giovanile Youth Guarantee alla tutela di Made in Italy, si riempiono le pagine di un’Agenda nella quale leggiamo gli interessi fondamentali che l’Italia si gioca nel cantiere europeo.
Tutto ciò quindi motiva la necessità l’impegno permanente il rafforzamento del processo di integrazione comunitaria senza indulgere alla retorica bensì rendendo ancora più espliciti e sinceri la scelta di una testimonianza e l’invito a mobilitarsi con coraggio ed entusiasmo nell’ambito in cui ognuno di noi esercita una responsabilità, professionale o politica che sia.
Conclusione
Il semestre a guida italiana, anche in ragione del forte riconoscimento elettorale ricevuto dalla leadership del Presidente del consiglio Renzi, può rappresentare la scommessa vincente dell’Italia per far cambiare rotta all’Europa, ovvero l’alternativa al tafazzismo dei salvini e dei grillini ed il superamento dell’approccio patetico ed inconcludente “antimerkellista” .
Quella presente è una stagione politica europea nella quale bisogna dare voce alla speranza attraverso la determinazione al cambiamento nel segno dell’equità sociale: confermando la nostra sincera adesione al progetto europeo, con la stessa carica visionaria dei padri fondatori e dei leader protagonisti delle scelte coraggiose nei tornanti del processo di integrazione, ma anche sottolineando che abbiamo maturato la conoscenza e la consapevolezza dei limiti e delle contraddizioni che ne hanno accompagnato l’evoluzione.
Ma soprattutto è necessario ci è chiesto di diventare portatori dell’energia e della progettualità necessarie per aggredire le persistenti gerarchie feudali ed i corporativismi settoriali e territoriali che intendono sopravvivere all’interno dei vecchi confini nazionali, puntando sull’immobilismo sociale e sulle rendite di posizione, usando il linguaggio populista e rissoso che ha caratterizzato i conflitti e le tragedie del secolo scorso.
E’ tempo di un “combattimento democratico” finalizzato a risanare le paludi morali nelle quali si annidano le slealtà di chi, nel nostro Paese, bara per mascherare la propria inettitudine ed il proprio conservatorismo.
Allo stesso tempo, senza “battere i pugni sul tavolo”, bisogna dimostrarsi intransigenti difensori delle ragioni, degli interessi e delle richieste del nostro Paese: determinati cioè a convincere e far riconoscere ai nostri Partner la necessità di rilanciare il processo di integrazione europea coniugando il necessario rigore dei conti pubblici con la liberazione delle risorse finanziarie necessarie per rilanciare la crescita e combattere la disoccupazione in particolare con interventi di sostegno allo sviluppo delle aree territoriali più deboli.
L’Europa deve riprendere il cammino dell’integrazione attraverso il rafforzamento delle istituzioni comunitarie e dei processi democratici di coinvolgimento e partecipazione dei cittadini per orientarne le scelte strategiche.
Il semestre a guida italiana è quindi a una straordinaria occasione per introdurre nell’Agenda europea un programma innovativo sia per la governance dell’Unione che per le politiche di sviluppo e di giustizia sociale.

Centro Kneipp in Val di Rabbi, un altro percorso della Slow Valley!

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Il Percorso Kneipp è una delle cure termali più praticate nei centri benessere. Questa tecnica è nata in Germania ma negli ultimi anni si è diffusa anche in Italia. Il Percorso Kneipp fu inventato dal prete tedesco Sebastian Kneipp, che riuscì a guarire dalla tubercolosi grazie ad immersioni quotidiane nel Danubio.

In attesa dell’inaugurazione ufficiale, il Centro Kneipp di San Bernardo di Rabbi è stato aperto al pubblico e la notizia ha ricevuto un ampio risalto nel giornale locale Trentino che vi ha dedicato un’intera pagina di cui riportiamo di seguito un estratto del testo pubblicato nella versione online.

 

Per gli amanti del benessere 550 metri quadrati di terreno dove si possono sfruttare i principi salutari dell’idroterapia

di Francesca Tomaselli

RABBI. La Val di Rabbi aggiunge un altro importante tassello alla sua vocazione di gioiello naturale dedicato agli amanti del benessere. A San Bernardo al limitare del bosco nella Valle di Valorz è nato il primo centro Kneipp all’aperto del Trentino: 550 metri quadrati di cui 350 dedicati interamente al percorso. Un luogo di benessere e di relax che secondo i principi dell’idroterapia consente di utilizzare l’acqua come funzione curativa attraverso il fondamento della relazione caldo-freddo che migliora la circolazione sanguigna consentendo di recuperare le energie vitali. Un percorso unico, da pubblicizzare e collegare al turismo termale, un luogo in cui per sua valenza e caratteristica, dovrà essere curata l’atmosfera educando i fruitori all’ utilizzo e al rispetto.

Il percorso si estende vicino all’abitato di San Bernardo poco dopo il ponte sul torrente Rabbies. E’ delimitato da una staccionata in stecche verticali di larice e accessibile attraverso una “casetta” in legno adibita a spogliatoio, in cui si tolgono le scarpe per accedere liberamente a piedi nudi all’area benessere. L’acqua per il percorso è stata appositamente derivata dal rio Valorz, mentre le varie fontane sono collegate all’acquedotto pubblico. Il percorso è di grande impatto estetico grazie alla grande cura dei dettagli e alla scelta dei materiali usati per lo più naturali (ciottoli, erba, corteccia e legno). In particolare spiccano le sdraio in larice “chaises longues” che permettono un facile relax e le aiuole ricche di colori e fiori locali.

Un progetto partito pochi anni fa, quando nel 2009 l’area di proprietà della parrocchia venne data in uso per 30 anni al Comune con l’idea di farne un parco. Prende così piano piano forma l’idea del percorso Kneipp che nasce concretamente nel 2011 quando il Comune di Rabbi chiede la collaborazione al Servizio per il sostegno Occupazionale e Valorizzazione Ambientale per valorizzare l’area sportiva di Valorz. Un’opera interamente a carico della Provincia, (costo 190.000 euro) sotto la direzione lavori di Mauro Bortolotti coordinati dall’ingegner Lorenzo Mantini, che ha impiegato per tutto il tempo necessario una squadra di cinque operai della Cooperativa Rabbiese. I lavori iniziati nel 2012 si sono conclusi nel giugno di quest’anno, al Comune solo l’onere della progettazione dell’opera di presa del torrente e l’allacciamento delle fontane all’acquedotto.

Nei progetti dell’amministrazione locale per i prossimi anni il miglioramento dell’area con l’adeguamento delle strutture adiacenti (campo sportivo e spogliatoi) per fornire adeguati servizi dedicati alle famiglie.

«Il percorso Kneipp ed il parco giochi – spiega e conclude il sindaco di Rabbi Lorenzo Cicolini – rappresentano il primo step di un progetto ampio per valorizzare l’area di Valorz, presto provvederemo a completare l’area dei giochi con una grande attenzione alla qualità dei materiali. Il secondo step sarà quello di rimettere a posto il campo sportivo e gli spogliatoi. Tornano a Valorz grazie all’associazione Rabbi verde gioiello la bonifica dell’area è quasi terminata e si sta lavorando per allestire un percorso artistico naturalistico partendo dal percorso Kneipp salendo verso le cascate».

http://trentinocorrierealpi.gelocal.it/trento/cronaca/2014/08/13/news/in-val-di-rabbi-centro-kneipp-all-aperto-1.9758809

 

 

Verso la Terza Guerra mondiale?

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L’affermazione, sorprendente e volutamente shockante, che Papa Francesco ha fatto di fronte ai giornalisti nell’aereo che lo riportava a Roma dopo il Viaggio Apostolico nella Repubblica di Corea, ha posto all’opinione pubblica mondiale – che sia orientata da sentimenti religiosi o laici non cambia – la necessità di prendere atto della cruda realtà rappresentata dalla fenomenologia di diffusi conflitti armati, in diverse aree del mondo, che prefigurano una versione “aggiornata” di guerra globale. Le cause scatenanti degli scontri – con diversi gradi di intensità e drammaticità – sono diverse, ma non c’è dubbio alcuno  che, accanto ai risorgenti nazionalismi, l’epicentro degli scontri e delle aggressioni più cruente è rappresentato da quei territori nei quali esiste un insediamento storico culturale di popolazioni cristiane che sono sottoposte ad attacchi criminali e terroristici da parte di formazioni militari e veri e propri eserciti islamisti mossi da una volontà di sterminio sorretta e motivata dal fanatismo jihadista. Siamo di fronte ad una drammatizzazione che ha colto impreparata e “sorpresa” molta parte dei Paesi occidentali per ragioni che sono correlabili sia alla vacuità della politica estera europea che all’approccio arrendevole e ritardatario del Presidente americano. Ma in questo tornante storico, le parole del papa non costituiscono tanto un monito politico, bensì una sollecitazione forte e decisa a prendere atto della necessità di una riflessione culturale e spirituale delle ragioni profonde dell’incipiente “terza guerra mondiale”. Uno dei temi chiave è ovviamente quello della natura della recrudescenza della terrificante violenza islamista rivolta contro i cristiani e strategicamente  finalizzata a riproporre una regressione (e/o rivincita)  storica con l’obiettivo di aggredire e “sconfiggere l’occidente”. Su tale questione si esercita da molto tempo, con la perspicacia ed il rigore che gli deriva da una conoscenza ed uno studio sistematici,  sorretti da una fede cristallina e da un’osservazione diretta sul campo nel territorio israelo-palestinese, l’amico Gianfranco Trabuio,  di cui ripropongo  testo più recente, pubblicato nel suo Blog, con il  quale  ci offre un’analisi lucida e disincantata che fa piazza pulita di ignoranza, superficialità, pregiudizi ed opportunismi con cui vengono tuttora affrontati gli interrogativi ed esaminati  i rischi che la minaccia islamista rappresenta per la cultura occidentale.  Considero la lettura  del suo documento un atto preliminare e propedeutico per l’avvio di una riflessione  e di un confronto che porti ad una consapevolezza più matura e ad una reazione più coraggiosa e tempestiva dal pericolo del terrorismo  jihadista, sia sul piano militare che su quello religioso e socio-culturale.

http://www.gianfrancotrabuio.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=127:sul-sentiero-della-conoscenza-reciproca&Itemid=201

Lasciate stare l’orsa: è più pericoloso lo sci

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Quella che pubblico di seguito è un’appassionata lettera aperta pubblicata nei giorni scorsi sul giornale trentino l’Adige, che esprime una valutazione  argomentata sulla querelle per “Daniza”,  e sostenuta da un’esperienza personale straordinaria  dell’autore (“scrittore, traduttore, giornalista e viaggiatore italiano”  – vedi in www.davidesapienza.net). La discussione  è naturalmente vivace anche  in Val di Rabbi (luogo del ritrovamento di M2, l’orso ucciso da un bracconiere) e l’opinione di Davide Sapienza rappresenta un punto di vista ragionevole ed utile per sviluppare una riflessività matura e consapevole, non viziata dall’emotività o, peggio, dalle strumentalizzazioni politiche, sulla cruciale questione del rapporto uomo-natura-animali.

 

Lasciate stare l’orsa: è più pericoloso lo sci

Gentile assessore Dallapiccola, sono uno scrittore e giornalista e non le scriverò una lettera standard, non voglio intasare la sua casella di posta, né aggredirla verbalmente. Ma devo assolutamente scrivere per il tipo di rapporto che ho con la montagna, dove vivo, e l’informazione, che fa parte del mio lavoro di scrittore. Da decenni viaggio per il mondo e ho conosciuto situazioni simili a quelle relative al recente fatto di cronaca accaduto nella splendida Val Genova, che ora dovrebbe portare all’assassinio di un’orsa, madre di due cuccioli. E ho visto come, ad esempio in Canada, si affrontano certi problemi.

Aggiungo anche che nella mia vita ho effettuato oltre 300 escursioni nel parco Adamello di Lombardia e anche Adamello-Brenta, a qualsiasi quota e in ogni stagione: non ho mai incontrato orsi, se non alcune tracce di passaggio, certe volte. E sì che ho seguito anche sentieri sperduti in foreste selvagge. Chiunque ha approvato il progetto Life Ursus, doveva sapere che ogni animale sulla faccia del pianeta Terra ha un preciso compito affidatogli da madre natura, ovvero, garantire la vita, riprodursi, proteggere le creature fragili della propria specie. Dunque, anche gli orsi. Due zampate a un escursionista che, leggo, si ripara dietro un albero per vedere i cuccioli dell’orsa, sono davvero poca cosa e non sono il sintomo della pericolosità di un plantigrado… E sì che la vostra Provincia ha disseminato il territorio e il parco di avvisi sul comportamento da tenere in caso di incontri con l’orso. Daniza ha dimostrato una grande intelligenza e la consapevolezza di non dover fare male all’animale umano, che conosce benissimo, perché gli altri animali sono ben più intelligenti ed evoluti di quello che normalmente si tende a credere. Scusate la provocazione: ma a quel comandante di crociere che ha ucciso 32 persone, cosa dovremmo fare? Un animale umano che porta una nave gigante a pochi metri dalla costa rocciosa di un’area marina protetta, sapendo i rischi ai quali va incontro, ancora a piede libero a fare lezione in università, e che ha fatto una cosa che nessun animale sul pianeta terra avrebbe mai fatto. Però lui cammina libero, mentre Daniza rischia il massacro barbaro: con due cuccioli il cui destino è incerto. Le faccio notare, ma sono certo che già lo sa, che muoiono più persone sulle piste da sci per incapacità, che per attacchi di orsi bruni in tutta Europa, in un anno solare (e non si scia tutto l’anno). Eppure, non mi pare si vogliano chiudere gli impianti di risalita, visto che anzi ne vengono continuamente realizzati. Come dire: io a mio figlio direi, vai in un bosco, dove trovi più saggezza e meno pericoli che su una pista da sci. È la matematica che lo dice, non l’irrazionalità che invece pervade queste scelte «politiche» che danno ascolto alla «pancia» dell’elettorato. Questo, in una provincia che in Italia è da sempre esempio di scelte intelligenti relative alla gestione del territorio montano. Non rispondete emotivamente alle paure ataviche di una parte ignorante della popolazione: siete persone intelligenti, ricoprite ruoli determinanti per il futuro della natura madre. Dunque, per cortesia, dimostrate la vostra capacità di discernimento e trovate una soluzione: informare seriamente la gente e farle capire che si deve ritrovare un rapporto con la natura andato perduto. E ovviamente, guardate i numeri: quante persone sono state uccise da un orso negli ultimi 50 anni in Italia? Nessuno. Fatevi queste, di domande, non quelle della parte terminale dell’intestino popolare che risponde solo a principi egoistici e irrazionali.

Davide Sapienza Giornalista e scrittore www.davidesapienza.it

http://www.ladige.it/editoriali/lasciate-stare-l-orsa-piu-pericoloso-sci

Reinventare l’edilizia: Rebuild fa il «tris»

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Reinventare l’edilizia: Rebuild fa il «tris»

 di Enrico Orfano   Economia – Corriere del Trentino –  domenica 10 agosto 2014

Ai nastri di partenza la terza edizione di Rebuild, che il 25 e 26 settembre a Riva del Garda riunirà la convention internazionale sulla «riqualificazione e gestione degli immobili». Gli organizzatori sono Habitech, Progetto Manifattura e Riva del Garda FiereCongressi e il tema del 2014 è «Reinventare l’edilizia». «Con le prime due edizioni di Rebuild — spiega Thomas Miorin, direttore Habitech e co-ideatore di Rebuild — riteniamo di aver dato un segnale forte, evidenziando come la riqualificazione sia la strategia di rilancio del settore edilizio e abbiamo contribuito a far sì che il focus sia traslato dal consumo di suolo alla riqualificazione stessa. Tuttavia, crediamo che il mercato debba fare ancora un passo fondamentale, riconoscendo che siamo di fronte ad un vero e proprio nuovo mercato e non ad un suo filone. “Reinventare l’edilizia” è il titolo che abbiamo scelto per sottolineare come l’intera filiera debba riadattarsi e riallinearsi ai nuovi modelli di gestione e riqualificazione, nonché a come attivare questi stessi modelli e replicarli su vasta scala. Il deep retrofit (aggiungere nuove tecnologie o funzionalità ad un sistema vecchio, prolungandone così la vita utile, ndr) è possibile. Abbiamo invitato i massimi esperti internazionali per dimostrarlo, avremo contenuti esclusivi e contiamo su una formula ancora più coinvolgente, che consentirà di mettere tutti i presenti all’opera». «Ci aspettiamo che anche quest’anno — afferma Gianluca Salvatori, ideatore e gestore di Progetto Manifattura oltre che co-ideatore di Rebuild — la convention possa essere un luogo di confronto con un dialogo attivo tra tutti i protagonisti del settore, dai progettisti al finance, dai produttori di tecnologie ai property manager, le Esco, i fondi immobiliari. Il programma 2014 di Rebuild concentra la sua attenzione sulla creazione di una piattaforma comune per l’intera filiera per confrontarsi in sezioni tecniche e fortemente specializzate, pensate per gli operatori più evoluti, che sono interessati a conoscere i punti di vista dei propri interlocutori al fine di innovare la propria offerta di business». I due filoni di quest’anno saranno «Best practice: la riqualificazione che funziona» e «Scaling up: la riqualificazione su larga scala». Il primo filone analizza alcuni casi di eccellenza dall’Italia e dal mondo. L’argomento sarà introdotto da un guru della riqualificazione sostenibile: Victor Olgyay, l’americano che ha seguito il colossale intervento all’Empire State Building di New York, forse il progetto di deep retrofit più famoso al mondo, che nel 2017 farà risparmiare 4,4 milioni l’anno di gestione con un taglio del 38% dei costi. Nello stesso filone Paul Harrington, che presenterà i numeri del caso di riqualificazione più ambizioso di Londra: Embankment Place. L’edificio ha ridotto del 40% le sue emissioni, e produce in sito il 60% del suo fabbisogno energetico. Il secondo filone vedrà un focus sulle condizioni di replicabilità a larga scala delle riqualificazioni. Prima protagonista Suzie Elkerton, project manager di «Plan A» a Marks &amp; Spencer, che ha reso gli store del Gruppo inglese più efficienti dal punto di vista energetico del 34%, con un risparmio sui consumi idrici del 27% e una quota di riciclo rifiuti prossima al 100%. Al Palacongressi presenterà «Plan A 2020», con cui M&amp;S applicherà il progetto di green procurement e sostenibilità degli store oltre i confini inglesi. Poi arriverà Lennart Lifvenhjelm, direttore del supporto tecnico di Vasakronan AB. La società svedese si è contraddistinta negli anni per il fatto che i suoi edifici hanno un consumo energetico del 50% inferiore alla media del settore immobiliare.

 

Anche a padova il libro bianco per raccontare il lavoro che c’è

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di Chiara Andreola – VeneziePost – sabato 26 luglio 2014

Pagine cartacee da vergare a penna raccontando le proprie esperienze lavorative. Un progetto sperimentale sta facendo girare in Italia 500 libri bianchi che raccolgono le storie di chi il lavoro l’ha trovato. Magari inventandoselo

Per «white book» (libro bianco) si intende generalmente un documento ufficiale della Commissione europea, che contiene proposte di azioni comuni in settori specifici della politica e dell’economia; questa volta, invece, il «White Book of Job» non è un elenco di misure di stimolo all’occupazione ma un libro le cui pagine sono letteralmente bianche, e in attesa di essere riempite nel primo esempio di scrittura collettiva sul tema del lavoro. È l’idea venuta lo scorso aprile a Stefano Saladino, presidente dell’associazione culturale “Luoghi di relazione” e ideatore del Digital Festival, insieme al giornalista freelance Vito Verrastro, perché «si parla sempre del lavoro che non c’è – spiega Saladino – e mai di quello che invece c’è, delle persone e delle loro esperienze. Che vorremmo diventassero patrimonio condiviso, così da essere utili anche a chi è in difficoltà dal punto di vista occupazionale». In questi giorni sono così partite tramite dei referenti – i cosiddetti «ambassador» – 200 libri totalmente bianchi, che lasciati su treni, metro e pullman passeranno di mano in mano fino a riempirsi delle storie di ciascuno nel campo del lavoro, per poi ritornare agli organizzatori. Attraverso un Qr code presente su ogni copia ci si può anche collegare al sito www.whitebookofjob.com e ai canali social (per il momento Facebook e Twitter), e segnalare la proprietà temporanea dell’opera e la propria collocazione geografica; o ancora, date le mode in voga, scattare e postare un selfie con in mano il libro. Due copie sono state lasciate anche al Talent Garden di Padova, e la volontà è quella di «raccogliere uno spaccato più ampio possibile di realtà: il Talent Garden ad esempio, essendo uno spazio di coworking sul tema del digitale, coinvolgerà soprattutto giovani e informatici; ma a Matera lo stiamo facendo circolare tra gli artigiani, in Ucraina tra i soldati, e alcune copie gireranno anche nelle scuole e università per accogliere invece le aspettative e prospettive di lavoro degli studenti». Appunto per non lasciar fuori nessuno si è scelto il formato cartaceo, «dato che la percentuale di utenti attivi su web è ancora relativamente bassa; ma anche perché ci piaceva il «randagismo» del libro che passa di mano in mano, e il fatto che quello della circolazione fisica e della scrittura a mano sia necessariamente un processo lento: implica riflessione, concentrazione, in contrapposizione alla velocità e alla dispersione della rete». Inoltre, dato che le anche le copertine sono da decorare e personalizzare, «ciascuna può diventare un’opera d’arte». Opere d’arte che troveranno spazio nella seconda fase dell’iniziativa, che partirà a settembre, quando gli organizzatori si aspettano di ricevere indietro le prime copie dei libri e ne faranno partire altre 300. «Pensiamo a serate di reading collettivi, installazioni dei libri come opere d’arte contemporanea grazie appunto alle copertine, alla digitalizzazione delle storie più belle e altre idee che gli stessi autori potranno suggerire – riferisce Saladino -, da organizzare in tutta Italia per diffondere in maniera capillare le esperienze». Senza crearsi, peraltro, aspettative particolari: «Se su 500 libri totali ne torneranno indietro anche solo 100, a noi sta bene – afferma con serenità Saladino -. Le altre copie avranno fatto ugualmente il loro lavoro, raccogliendo le storie e diffondendole tra chi le prenderà in mano».

Il semestre italiano di presidenza dell’UE : per un Paese più forte in un’Europa più giusta

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La domanda di futuro che ci interpella.

I cittadini italiani-europei hanno espresso – con le recenti elezioni – segnali molteplici e contradditori: un certo disamore (con l’astensionismo , segnali di rancore (con il voto ai movimenti antieuropei) che sono strettamente correlabili, per una parte, ai pesanti costi sociali provocati dall’austerità imposta dalla BCE e, per un’altra, all’assenza di una prospettiva incoraggiante delle Istituzioni comunitarie, nel contesto di una crisi economico-finanziaria perdurante.

Le promesse e le attese alimentate e cresciute nella prima stagione dell’euro, sono infatti diventate meno credibili perché i costi dell’appartenenza all’UE e della condivisione dei sacrifici necessari per il suo rafforzamento, sono ora giudicati insostenibili – per ragioni opposte – sia dai popoli del nord che da quelli del sud.

Ma i risultati elettorali non segnalano e non devono essere interpretati come il fallimento dell’integrazione europea; ne evidenziano semmai i limiti e l’incompletezza su cui hanno potuto speculare i mercati finanziari – in particolare finanziando le bolle immobiliari ed i titoli pubblici nei paesi del sud – che dapprima hanno negato il rischio e poi – dopo che la crisi scoppiata negli USA ha innescato la questione dei Debiti sovrani europei – lo hanno sopravvalutato, dando vita al fenomeno degli spread che ha contagiato anche l’Italia, portandola sull’orlo del default.

L’Europa, fin dalla sua nascita e attraverso le successive tappe della sua evoluzione, dai Trattati alla adozione della moneta unica, ha rappresentato un fattore benefico per il nostro Paese che ha trovato, nel processo di integrazione comunitaria, sia un ampliamento degli spazi di mercato per la propria produzione industriale ed agricola, che l’impulso per migliorare gli standard dei diritti di cittadinanza e di protezione sociale.

 

Euro, uno scudo usato maldestramente.

Va sottolineato che l’euro, al netto delle “disfunzioni” provocate dagli operatori italiani che hanno – nella fase di decollo – barato e lucrato sui prezzi per la carenza di efficaci azioni di controllo sul cambio da parte delle autorità competenti,   ha costituito uno scudo di fondamentale importanza per l’assetto economico-finanziario del nostro Paese:

a)            frenando la crescita del deficit pubblico italiano che – con la lira vigente – avrebbe continuato un’accelerazione spaventosa determinando anzitempo il collasso del sistema;

b)           riparando e tutelando i risparmi delle famiglie, protetti da una moneta forte che nel corso del tempo ha consolidato il proprio valore di scambio nel mercato finanziario globale sottoposto alle fluttuazioni di una speculazione crescente;

c)            ma, soprattutto, rappresentando un argine decisivo di fronte alla crisi arrivata dagli USA nel 2008 con una forza tellurica che avrebbe travolto come fuscello la moneta nazionale, con effetti drammatici sui conti pubblici, sui costi dell’energia e delle materie prime, sul potere d’acquisto delle famiglie.

Il passaggio quindi dalla lira all’euro è stata un’operazione intelligente e vantaggiosa, la precondizione di una stabilità monetaria che avrebbe dovuto sostenere la crescita basata sulla spinta di un indispensabile aumento di produttività ed essere la leva per la creazione e l’aumento della ricchezza reale.

Purtroppo la solidità della nuova moneta (l’euro) è stata scambiata dalla classe dirigente italiana – nel suo complesso – come un ancoraggio sufficiente e sicuro per lo sviluppo, a prescindere dall’improcrastinabile necessità di affrontare le cause strutturali dell’assenza di crescita con stagnazione dell’occupazione, ovvero il costante calo della produttività riscontrato nel corso degli ultimi 15 anni, verosimilmente determinato da cause più volte identificate, ma non rimosse:

–              scarsa concorrenza e liberalizzazione dei settori nei quali agiscono rendite di posizione e corporativismi professionali che incidono negativamente sulle tariffe e sulla qualità dei servizi per i cittadini

–              insufficiente propensione all’innovazione da parte delle imprese gravate da un’alta pressione fiscale e non coadiuvate dal sistema pubblico della Ricerca

–              un sistema di formazione ed istruzione superiore, in particolare tecnico-professionale, arretrato e sfasato rispetto alle esigenze del mercato del lavoro nel quale continuano a manifestarsi carenza di skill e figure richieste dalla imprese più innovative

–              un costo dell’energia molto maggiore di quello dei paesi concorrenti

–              un mercato del lavoro poco aperto (per usare un eufemismo) ai giovani

–              una pubblica amministrazione farraginosa, arretrata sul piano tecnologico-organizzativo ed impreparata quindi a sostenere lo sforzo competitivo del sistema produttivo

–              un sistema di giustizia civile tra i più lenti, inefficienti e costosi dei paesi avanzati

–              e, non ultima, una perdurante e diffusa corruzione che ha continuato a pesare sui conti pubblici, scoraggiare la competizione l’arrivo di investitori esteri.

Si tratta di una serie di nodi cruciali che attendono di essere affrontati con una politica di riforme strutturali di ampio respiro e che sono entrati con colpevole lentezza e contraddizioni nell’Agenda politica dei Governi succedutisi negli “anni dell’euro” che – proprio in ragione della protezione assicurata dalla moneta unica – hanno oscurato la realtà di un Paese che perdeva il 20 % di competitività in un mercato internazionale sempre più aperto e sfidante.

Buon ultimo e con una determinazione più che motivata, il Governo Renzi vi ha ri-messo mano, accelerando anche il percorso parlamentare della riforma elettorale ed istituzionale, questioni sulle quali le difficoltà e le resistenze al cambiamento si stanno manifestando in modo trasversale, confermando la necessità di introdurre nel dibattito politico italiano il linguaggio della verità e della trasparenza, ovvero di denunciare e combattere il gioco sporco degli illusionisti che scaricano sull’Europa le responsabilità – tutte italiane – dello stato di crisi sistemica del Paese, pur di ritardare e dribblare i necessari processi di innovazione ed affrontare i veri limiti e le incongruenze della politica comunitaria.

 

Grillo, Salvini e Pinocchio

Si rende quindi necessario, prioritariamente, smascherare lo sfascismo antieuropeo e le bugie anti-euro perché rappresentano un’operazione che non produce solo l’effetto di intossicare il confronto politico interno, ma soprattutto si traduce in un sabotaggio dei valori e degli interessi profondi che legano il futuro dell’Italia a quello dell’Europa.

Grillo Salvini ha strutturato la loro campagna elettorale per le europee su un doppio binario. Da un lato, quello scontato della polemica anti-euro, finalizzato ad intercettare tutti gli italiani – e sono un numero crescente, purtroppo – che non avendo ricevuto nell’ultimo decennio dalle forze politiche e dal sistema dei media nazionali analisi serie e puntuali sui numeri e sulle ragioni obiettive dei conflitti interni all’Unione Europea e tanto meno risposte ai mille problemi quotidiani, vengono orientati a rivolgere i loro motivi di delusione e rabbia verso un’Europa “cattiva matrigna”.

L’apparentamento del M5S con l’inglese Farage e della Lega con la francese Le Pen, costituiscono ora una scelta strategica per continuare a soffiare ed a lucrare sui sentimenti antieuro.

Va d’altronde sottolineato che la causa profonda della disaffezione – che i sondaggi riscontrano – dei cittadini italiani nei confronti delle istituzioni comunitarie è causato dalla incapacità di opinion leader, giornalisti (per lo più disinformati ed incompetenti), agenzie culturali, associazionismo politico e sociale, di innovare la chiave interpretativa e narrativa della nuova Comunità nascente: un gap che le forze politiche autenticamente europeiste debbono proporsi, per la parte e le responsabilità che competono loro, di contribuire a superare attraverso il linguaggio e l’esercizio della rappresentanza coerenti con il progetto di una più compiuta cittadinanza europea.

Oltretutto tale messaggio innovativo costituisce la scelta giusta per contrastare l’operazione degli sfascisti, che è condotta con l’armamentario di argomenti e pregiudizi che tendono a semplificare e strumentalizzare le ragioni del confronto e della competizione in corso nell’ambito comunitario, il cui provincialismo gretto ed autolesionistico si evidenzia nella creazione di polemiche, in particolare con i partner tedeschi e la leadership della Merkel, assurta a simbolo di “gendarme” del rigore finanziario.

La sistematica   falsificazione della storia recente riguardante il processo di integrazione europea, è usata allo scopo di continuare la polemica politica domestica: ma tale pratica – lo dobbiamo avere ben chiaro – rappresenta un danno incalcolabile per la credibilità del nostro Paese proprio nel momento in cui è impegnato nella responsabilità di gestione del semestre:

  1. ci espone alla delegittimazione nell’arena politico-istituzionale europea rafforzando nei confronti delle proposte e rivendicazioni italiane – sulla cosiddetta flessibilità – in sede comunitaria i pregiudizi alimentati dal comportamento di Berlusconi: dopo aver subito i danni dei sorrisini del duo Merkel-Sarkozy, dobbiamo sopportare ora il peso di una scarsa credibilità;

 

  1. rischia di indebolire la forza e la  rappresentatività della delegazione parlamentare italiana a Bruxelles, chiamata, in una fase storica drammatica, a trovare le formule politiche ed i contenuti programmatici con cui sostenere unitariamente le ragioni superiori degli interessi strategici italiani da tutelare.

 

Il Parlamento europeo infatti non è:

  1. Il teatrino in cui ci si può insultare e nel quale si possono usare argomentazioni ideologiche prive di fondamento e di sostenibilità e presumere che ciò procuri un vantaggio all’Italia.
  2. Non è neppure un salotto per sognatori ed intellettuali animati da pie intenzioni e privi della conoscenza degli interessi e tradizioni culturali nazionali in campo, che debbono trovare costantemente mediazioni e sintesi parziali, ma condivise.
  3. E’ piuttosto una vera arena politica competitiva, all’interno della quale valgono le buone idee e la capacità di sostenerle con i rapporti di forza che vengono giocati, però, all’interno di un perimetro di certezze che garantiscono la solidità dell’impianto istituzionale e, soprattutto, costituiscono un vantaggio per tutti i protagonisti incommensurabilmente superiore a quello marginale propagandato dai demagoghi e disfattisti che irridono la bandiera comunitaria di un continente pacificato ed incitano alla rissa sventolando le bandierine di piccole patrie contaminate dagli antichi virus del nazionalismo, del populismo e del razzismo.

Ciò che sconcerta è osservare, nei movimenti antieuropeisti che sono emersi con prepotenza dalle recenti elezioni in diversi Paesi, l’obnubilamento e la smemoratezza irresponsabile relativamente ai vantaggi che i Trattati per l’integrazione europea hanno determinato per tutti i popoli che hanno potuto varcare i vecchi confini, circolare liberamente, intensificare lo scambio di merci, condividere standard più elevati di diritti di cittadinanza, attrezzarsi per affrontare insieme le sfide della globalizzazione, dotarsi di reti ed infrastrutture che ampliano gli orizzonti della mobilità e degli spazi di azione per imprese sempre più internazionalizzate ed efficienti…

 

Il vento della generazione Erasmus

Ma non bisogna disperare: come rivela un recente Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo, due ragazzi italiani su tre sono convinti che il progetto comunitario sia più un’opportunità che un vincolo.

Al netto della delusione per come l’Europa ha affrontato la crisi e di un giudizio su di essa fortemente influenzato dall’atteggiamento che i giovani hanno nei confronti delle istituzioni italiane, la “generazione Erasmus” ha sperimentato la bellezza e l’utilità della libera circolazione senza visti e passaporti da mostrare; le frontiere cadute non sono solo quelle burocratiche, ma anche culturali, ragion per cui l’opinione prevalente è che bisogna andare avanti, anche con un esercito comune ed un’unica politica sociale ed estera.

 

Reintroduzione della lira?

Ciononostante, è ancor più avvilente riscontrare la rozzezza e l’avventurismo delle posizioni politiche che continuano ad usare nel dibattito politico, in Italia, il tema dell’abbandono dell’euro e/o della sua messa in discussione.

Per le ragioni già ricordate, è necessario contrastare la propaganda leghista e pentastellata con la massima energia, denunciandone il carattere regressivo e la carica distruttrice, di cui sono veicolo, per gli interessi nazionali.

Non dobbiamo lasciare ai cittadini italiani nessun margine di dubbio: la reintroduzione della lira non sarebbe un’operazione romantica, bensì dagli effetti drammatici e traumatici: il primo sarebbe un’immediata svalutazione molto significativa, stimata nell’ordine del 40 per cento. Ciò comporterebbe sicuramente uno stimolo alle esportazioni, ma a prezzi pesantissimi:

–              con l’impatto automatico sul debito pubblico e privato, attualmente determinato in euro, che quindi aumenterebbe dello stesso importo della svalutazione

–              ne seguirebbe un forte peggioramento della posizione patrimoniale di quei soggetti, imprese, famiglie e banche, che hanno nei propri bilanci passività in euro superiori alle attività, prolungandone ed aggravandone la crisi finanziaria

–              il debito pubblico italiano, in larga parte detenuto da investitori stranieri, diventerebbe ancor più insostenibile

–              l’aumento dello spread e del costo del credito innescherebbero un avvitamento del sistema economico-finanziario (aumento dell’inflazione, ecc.) ed il probabile collasso dell’intero Paese.

E’ pertanto fondamentale una lotta dura sul piano argomentativo e dialettico per evidenziare l’autentico karakiri che gli sfascisti antieuro propongono al nostro Paese: anche se risulta persino raccapricciante, è necessario divulgare il prospetto dei costi che deriverebbero dal “no alla UE”: 800 miliardi! (vedi l’elaborazione de Il Sole 24 Ore, lunedì 5 maggio 2014).

Non si tratta quindi di sostenere una polemica politica contingente, bensì di fissare la strategia ed i contenuti programmatici per il piano di salvezza del Paese che tra i punti programmatici ha un ancoraggio forte e strutturale nell’integrazione sociale, istituzionale ed economico-finnanziaria comunitaria.

Per il nostro Paese si tratta di aver ben chiaro che i fronti interno ed internazionale sono le due facce della stessa medaglia, nell’azione per il rinnovamento e la rinascita nazionale!

Nelle conclusioni del suo libro Trentatrè false verità sull’Europa Lorenzo Bini Smaghi sostiene – sulla scorta di un’approfondita analisi che gli deriva non solo dalla competenza scientifica, ma anche dalla esperienza diretta sul campo (membership del Comitato esecutivo della BCE) – che “il destino dell’Europa si gioca nei prossimi anni in gran parte a Roma. Ci si deve dunque interrogare sul ruolo che l’Italia può svolgere per avviare un circuito virtuoso, per la sua economia e per il Continente”.

Nel condividere pienamente tale diagnosi, riteniamo necessario prospettare con questo contributo alcuni elementi per un programma di politica economico-sociale ed europea su cui impegnare l’azione di rappresentanza e mobilitazione politico-culturale degli europarlamentari italiani dovrebbero sostenere per dare forza e legittimità all’azione del Governo Renzi nella gestione del semestre a guida italiana .

 

  1. Multilevel governance

Il primo appunto che annotiamo innanzitutto per la nostra agenda personale e che riteniamo debba essere assunto dalle forze politiche e da tutti i soggetti sociali e professionali, senza distinzioni di sensibilità ed orientamento culturale, è il superamento della pratica politica della separazione tra livelli di rappresentanza (territoriale, nazionale, europeo) e l’adozione dell’ approccio della multilevel governance che consenta di sostenere una progettualità più coordinata, integrata e funzionale ad implementare – sia con l’azione di Governo che con l’attività nel Parlamento ed i ruoli operativi europei – i provvedimenti più efficaci per recuperare competitività e far crescere nuovamente l’economia del nostro Paese, all’interno di una strategia comunitaria espansiva.

 

  1. Contractual arrangements

L’appuntamento più prossimo ed inequivocabile per testimoniare tale scelta ci sarà dato con la definizione dei cosiddetti contractual arrangements – Accordi contrattuali tra l’Unione e i Paesi membri – che secondo la decisione del Consiglio europeo del dicembre 2013 dovrebbero essere concordati nella seconda metà del 2014, sotto la presidenza italiana. Il contratto dovrà costituire l’occasione per formalizzare, in ambito europeo, l’impegno dell’Italia a dare concreta e tempestiva attuazione al processo riformatore avviato dagli ultimi Governi ed in modo più determinato dal Governo Renzi, e ciò a fronte della rimodulazione del percorso di risanamento delle finanze pubbliche, ovvero dei vincoli del Fiscal compact, al fine di uscire dalla retorica asfissiante dell’austerità e dare un impulso alle politiche della crescita, fondamentale per aggredire il debito pubblico e dare contestualmente risposte alla drammatica emergenza occupazionale.

 

  1. Fondo di garanzia per l’occupazione

La prima, visibile, coerente, condivisibile da tutti i Paesi membri (con il superamento di visioni, rivendicazioni, pregiudizi di matrice nazionale) misura che deve scaturire dall’intesa negoziata, riguarda – appunto – il tema del lavoro. Vanno trovate le risorse finanziarie per rafforzare prioritariamente i fondi di garanzia per l’occupazione giovanile. Contestualmente va predisposto un meccanismo di finanziamento comune della disoccupazione collegato all’avanzamento delle riforme strutturali avviate nei singoli Paesi affinchè emerga chiaramente che i risparmi prodotti dal rigore sono finalizzati a dare maggiori garanzie ai milioni di lavoratrici e lavoratori disoccupati e/o coinvolti dalle trasformazioni economiche e dai processi di flessibilizzazione del mercato del lavoro. Si tratta di una questione che rappresenta un vero e proprio “dovere dell’Unione”, come giustamente titola l’articolo dettagliato di A. Quadrio Curzio (Il Sole 24 Ore, 4 maggio 2014).

 

  1. BCE per lo sviluppo

Bisogna inoltre procedere alla creazione di strumenti finanziari, che potranno essere inizialmente garantiti da titoli dei Paesi membri per trovare successivamente una soluzione unitaria condivisa a livello comunitario (Eurobonds) che consentano di “irrorare” in modo più potente il mercato finanziario e del credito attraverso più tempestive ed incisive politiche di intervento della BCE per lo sviluppo. Anche in questo caso si tratta di superare la logica delle contrapposizioni ideologiche tra Paesi, alimentate dalla sfiducia reciproca in merito alla mutualizzazione dei rischi, pubblici o privati, determinata dal sospetto che l’obiettivo per alcuni, sia la “socializzazione dei debiti passati”. L’Italia, in quanto primo contribuente – per peso sul debito – per il Fondo Salva Stati, ha il diritto ed anche il dovere di propugnare una strategia di maggiore protagonismo della Banca Centrale per il sostegno alla crescita: non è in gioco il tanto invocato “ruolo di prestatore di ultima istanza”, bensì l’esigenza di affrontare alla radice la questione della crescente divergenza reale tra le economie europee. La UE presenta nel 2014, a distanza di 28 anni dall’Atto Unico, oltre al positivo bilancio – in particolare per il nostro Paese – che abbiamo sinteticamente descritto, anche una lunga e sottovaluta storia di “asimmetrie” , ovvero l’assenza di una policy per la convergenza tra Nord e Sud, cosicchè oggi la crescente distanza tra i diversi Paesi sta diventando la vera palla al piede per lo sviluppo dell’intera eurozona. Pertanto nel Parlamento europeo va affrontato l’aggiornamento della politica di austerità con il duplice obiettivo di intervenire sugli squilibri territoriali dello sviluppo e contrastare la prospettiva della stagnazione economica che già ora si manifesta attraverso il fenomeno della deflazione, che – com’era prevedibile – comincia a colpire anche il Paese (la Germania) più refrattario a politiche monetarie espansive: il rischio dell’avvitamento su se stessa dell’intera eurozona può diventare esplosivo!

 

  1. Il segnale (positivo) dell’Unione bancaria

Va nella giusta direzione del rafforzamento della governance comunitaria il meccanismo di gestione delle crisi creditizie recentemente approvato. Non si tratta infatti di una questione di pura tecnicalità riguardante la “tecnocrazia” comunitaria, bensì dell’avio di un processo irreversibile di consolidamento di regole e strumenti che da un lato tutelino il risparmio dei cittadini europei e dall’altro determino una gestione del credito più trasparente, sottratta alla discrezionalità di lobbies e gruppi di potere operanti sia ai livelli nazionali che territoriali che negli ultimi anni si sono resi protagonisti di operazioni finanziarie che hanno bruciato ingenti risorse e rallentato il flusso della circolazione del credito a favore delle PMI. L’Unione Bancaria, che va ulteriormente completata, rappresenta un pilastro fondamentale per consolidare un processo di sostegno effettivo alle politiche di sviluppo e superamento della frammentazione del mercato finanziario e del credito.

 

  1. Una politica estera e della difesa rafforzate

L’esigenza di sconfiggere in Italia il populismo antieuropeo e di orientare l’opinione pubblica nazionale ad una maggiore consapevolezza della dimensione internazionale dei problemi drammatici che il nostro Paese non può affrontare con una miope visione nazionale o – peggio – da “piccola patria”, è rappresentata dalla visione quotidiana delle immagini che scorrono sugli schermi televisivi: l’ondata immigratoria dal mediterraneo che sta travolgendo le fragili infrastrutture di accoglienza siciliane e gli eventi di guerra civile che riemergono nel versante orientale dell’Europa, ovvero in territori in cui potremmo affermare che “la storia non è ancora terminata” , resi ancor più drammatici con quello che non si può definire un “incidente” bensì dell’effetto collaterale dello scontro in atto tra i ribelli filorussi ed il Governo di Kiev: l’abbattimento dell’aereo civile olandese nei cieli dell’Ucraina. Si tratta quindi di aprire una pagina nuova nel processo di integrazione europea, mettendo al centro l’adozione di una strategia comunitaria che faccia della politica estera e della difesa uno scudo unitario per fronteggiare emergenze epocali che sollecitano una presa di coscienza dei popoli e delle classi dirigenti nazionali sulla trasformazione in atto nei rapporti tra i continenti. Vanno in questa direzione il rafforzamento della funzione dell’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune che dovrà diventare un vero Ministro degli esteri per il quale – giustamente – si rivendica l’attribuzione ad un rappresentante italiano. Sono sul tavolo decisioni di fondamentale importanza che riguardano:

a)            l’allargamento verso Est, con un’azione geo-politica mirante a sostenere la cosiddetta Eastern Partnership che deve puntare a stabilizzare e far prosperare molti Paesi del blocco ex sovietico;

b)           la capacità di stabilire rapporti più stringenti con la Russia di Putin sia per frenarne la risorgente aggressività espansionistica e trovare una soluzione realistica al conflitto in Ucraina, sia per definire le condizioni di una partnership che è decisiva per il consolidamento dello scambio commerciale e per la questione delle forniture energetiche;

c)            ma – per quanto ci riguarda più direttamente – è sul lato meridionale del continente che l’Europa deve mettere in campo un programma di interventi che vadano oltre sia l’indolenza e l’opportunismo dei Paesi del Nord (che si ritengono immunizzati dal problema) sia le improvvide pulsioni nazionali (come quelle della Francia che hanno portato al disastroso intervento nella crisi libica) . Come sottolinea l’europarlamentare Gianni Pittella nel suo Manifesto: “l’asse centrale della politica estera dell’Unione Europea dovrà essere a Sud ed è per questo necessario ripensare la politica euro-mediterranea. Sia il processo di Barcellona lanciato nel 1995 che l’Unione per il Mediterraneo promossa nel 2007 si sono rivelate esperienze non positive. Uno dei principali difetti di questi progetti era nel loro carattere troppo generale, nell’ incapacità nell’individuare un tema operativo che potesse dare un senso reale alla cooperazione euro-mediterranea. Io ritengo che in futuro tale cooperazione debba essere costruita attorno ad un progetto concreto: il sostegno al capitale umano nel Mediterraneo. Per questo, credo che il Parlamento Europeo nel prossimo mandato debba lanciare il progetto MARE (Mediterranean Area for Research and Education), ossia un grande piano a sostegno della mobilità e cooperazione a livello universitario nel Mediterraneo” .

Ciò deve significare una mobilitazione straordinaria immediata di risorse finanziarie, umane, progettuali, infrastrutturali sia per fronteggiare l’emergenza degli sbarchi che il necessario riorientamento verso l’autosviluppo delle aree più fragili del continente africano ed inoltre per sostenere una robusta azione di Peacekeeping nelle zone infestate dal terrorismo dei gruppi islamisti e dagli assassinii sistematici rivolti in particolare contro le popolazioni cristiane e le donne.

 

  1. Agenda digitale europea

L’Agenda digitale presentata dalla Commissione europea è una delle sette iniziative faro della strategia Europa 2020, che fissa obiettivi per la crescita nell’Unione europea (UE) da raggiungere entro il 2020. Questa agenda digitale propone di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) per favorire l’innovazione, la crescita economica e il progresso. Si tratta di un documento che deve ispirare ed orientare costantemente l’iniziativa politica – sia nel Parlamento europeo che a livello nazionale e territoriale – finalizzata alla crescita economica sempre più correlata agli interventi che sostengono ed accompagnano la rivoluzione digitale, sia attraverso la rigenerazione delle attività imprenditoriali che con la riorganizzazione dell’intero apparato pubblico e dei servizi resi sempre più accessibili ai cittadini.

L’economia della conoscenza basata sulle reti nella quale siamo oramai immersi, si basa sulle infrastrutture che consento il flusso delle informazioni più efficiente: la strategia definita con Europa 2020 ha sottolineato l’importanza della diffusione della banda larga per promuovere l’inclusione sociale e la competitività nell’UE, ribadendo l’obiettivo (temerario) di portare la banda larga di base a tutti i cittadini europei entro il 2013. Come ben sappiamo in Italia e nel Nordest, tale obiettivo è ben lungi dall’essere stato raggiunto ed è pertanto necessario realizzare una “connessione” sempre più stretta e coerente tra le indicazioni programmatiche dell’UE e gli impegni attuativi delle Autorità regionali e del Governo, avendo presente che la strategia UE è intesa a fare in modo che, entro il 2020, tutti gli europei abbiano accesso a connessioni molto più rapide, superiori a 30 Mbps, e che almeno il 50% delle famiglie europee si abboni a internet con connessioni al di sopra di 100 Mbps.

Per raggiungere questi obiettivi ambiziosi occorre elaborare una politica globale basata su una combinazione di tecnologie e con due obiettivi paralleli: da un lato, garantire la copertura universale della banda larga (combinando reti fisse e senza fili) con velocità di connessione crescenti fino a 30 Mbps e oltre e, nel tempo, favorire la diffusione e l’adozione su una vasta porzione del territorio dell’UE di reti di accesso di nuova generazione (NGA) che consentono connessioni superveloci superiori a 100 Mbps.

Ne risulta la necessità, per i Parlamentari europei, di garantire un costante collegamento ed interfacciamento tra i Provvedimenti e finanziamenti decisi a livello comunitario e le iniziative intraprese a livello territoriale e nazionale per dare concreta attuazione alle Agende digitali affinchè diventino un vettore decisivo per l’innovazione e la crescita.

 

  1. L’Europa che fa bene all’Italia

I temi e le questioni che, come ricordato, legano il futuro dell’Italia alla qualità delle sue relazioni con l’Europa e alla capacità di cogliere le opportunità che l’orizzonte comunitario presenta, in termini di regolamentazioni, standard, risorse finanziarie, efficientamento delle reti, mercato, ecc., sono naturalmente molti altri e su di essi diventa necessario alimentare la riflessività e l’iniziativa politica costante, con resoconti, convegni ed altre attività con le quali non solo testimoniare la necessaria concretezza della rappresentanza parlamentare europea, correla alle molteplici azioni ai livelli nazionale-regionale-locale, ma contestualmente segnalare la complessità e ricchezza del processo di integrazione europea, che meritano attenzione e coinvolgimento sempre più intenso ed esteso dei cittadini e di una Rete Civica Europea che va alimentata con la partecipazione degli Enti locali e delle rappresentanze sociali.

Dai costanti aggiornamenti dei provvedimenti per la PAC, lo sviluppo delle reti infrastrutturali per la mobilità, dalla trattativa per l’espansione del mercato UE-USA (entrato in una fase cruciale) alla tematizzazione della liberalizzazione del mercato dell’energia, dal fondo per l’occupazione giovanile Youth Guarantee alla tutela di Made in Italy, si riempiono le pagine di un’Agenda nella quale leggiamo gli interessi fondamentali che l’Italia si gioca nel cantiere europeo.

Tutto ciò quindi motiva la necessità l’impegno permanente il rafforzamento del processo di integrazione comunitaria senza indulgere alla retorica bensì rendendo ancora più espliciti e sinceri la scelta di una testimonianza e l’invito a mobilitarsi con coraggio ed entusiasmo nell’ambito in cui ognuno di noi esercita una responsabilità, professionale o politica che sia.

Conclusione

Il semestre a guida italiana, anche in ragione del forte riconoscimento elettorale ricevuto dalla leadership del Presidente del consiglio Renzi, può rappresentare la scommessa vincente dell’Italia per far cambiare rotta all’Europa, ovvero l’alternativa al tafazzismo dei salvini e dei grillini ed il superamento dell’approccio patetico ed inconcludente “antimerkellista” .

Quella presente è una stagione politica europea nella quale bisogna dare voce alla speranza attraverso la determinazione al cambiamento nel segno dell’equità sociale: confermando la nostra sincera adesione al progetto europeo, con la stessa carica visionaria dei padri fondatori e dei leader protagonisti delle scelte coraggiose nei tornanti del processo di integrazione, ma anche sottolineando che abbiamo maturato la conoscenza e la consapevolezza dei limiti e delle contraddizioni che ne hanno accompagnato l’evoluzione.

Ma soprattutto è necessario ci è chiesto di diventare portatori dell’energia e della progettualità necessarie per aggredire le persistenti gerarchie feudali ed i corporativismi settoriali e territoriali che intendono sopravvivere all’interno dei vecchi confini nazionali, puntando sull’immobilismo sociale e sulle rendite di posizione, usando il linguaggio populista e rissoso che ha caratterizzato i conflitti e le tragedie del secolo scorso.

E’ tempo di un “combattimento democratico” finalizzato a risanare le paludi morali nelle quali si annidano le slealtà di chi, nel nostro Paese, bara per mascherare la propria inettitudine ed il proprio conservatorismo.

Allo stesso tempo, senza “battere i pugni sul tavolo”, bisogna dimostrarsi intransigenti difensori delle ragioni, degli interessi e delle richieste del nostro Paese: determinati cioè a convincere e far riconoscere ai nostri Partner la necessità di rilanciare il processo di integrazione europea coniugando il necessario rigore dei conti pubblici con la liberazione delle risorse finanziarie necessarie per rilanciare la crescita e combattere la disoccupazione in particolare con interventi di sostegno allo sviluppo delle aree territoriali più deboli.

L’Europa deve riprendere il cammino dell’integrazione attraverso il rafforzamento delle istituzioni comunitarie e dei processi democratici di coinvolgimento e partecipazione dei cittadini per orientarne le scelte strategiche.

Il semestre a guida italiana è quindi a una straordinaria occasione per introdurre nell’Agenda europea un programma innovativo sia per la governance dell’Unione che per le politiche di sviluppo e di giustizia sociale.