L’ORFANOTROFIO DI GALAN

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Orfanotrofio

L’ORFANOTROFIO DI GALAN. La location è nel più puro stile doroteo, ma con l’innovazione di costume rilevante: non si mangia! Anzi  si piangerà e l’amarcord prevarrà; poi un sussulto di orgoglio e via con la nuova Forza Italia…Sia detto senza ironia, le intenzioni dell’ex Governatore Giancarlo Galan sono serie ed il tema che mette nell’agenda della discussione politica per l’incontro nella trattoria sui Colli euganei  è stringente, inequivocabile: (recuperare) “la capacità di rappresentare un blocco elettorale di centrodestra, il nostro blocco, che in Veneto è sempre stato intorno ai due terzi dell’elettorato. Adesso che la Lega, all’interno di questo blocco, non è più un problema, noi dovremmo essere al 45%. E invece…”

Ma gli elettori oggi si attendono che i rappresentanti politici, tanto più se parlamentari, promuovano la discussione e la riflessione sui valori, le scelte strategiche e le  terapie hic et nunc  necessari per affrontare i processi di trasformazione sociale-economica-istituzionale (compresa quella indispensabile –che starà sicuramente a cuore anche a Galan – della Giustizia) in atto nel Paese.

Ovvero che si espliciti una nuova offerta di policies piuttosto che di politics, che si alimenti una nuova partecipazione politica focalizzata sui contenuti  riformatori (o, per usare l’efficace espressione del Sindaco di Pavia sulla “riformattazione”) piuttosto che  si mandi in scena  il teatrino dei lealisti versus i cosiddetti neodemocristiani.

Gli uni e gli altri, in verità, hanno sicuramente bisogno anche di  incontri per superare quella che potremmo definire la “sindrome  degli orfani attempati”, ma per cortesia, non li  contrabbandino come iniziative per il rinnovamento della politica!

SGONFIARE IL POPULISMO

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PopulismoSGONFIARE IL POPULISMO. Le giornate veneziane di Repubblica, senza l’abituale assillo della “caccia al caimano”,  sono trascorse senza bagliori e sussulti nella cronaca registrata dai mei abituali media. Ma il passaggio che vi ha fatto ieri Letta, seppure con i toni bassi e la sobrietà che contraddistingue il Presidente del Consiglio, ha lasciato un segno ed un messaggio che mi ha colpito e dovrebbe essere preso seriamente in considerazione ed inserito nell’agenda del dibattito politico-culturale italiano: “l’Europa deve liberarsi del populismo“. L’espressione usata – invero efficace – è stata “sgonfiare il populismo“! Hai detto niente: l’ultimo leader che si è cimentato con tale sfida è stato (su  incarico di Napolitano) l’ex Presidente del Consiglio Monti e se consideriamo il peso specifico del riconoscimento ricevuto da tale suo impegno, possiamo registrare che lo “sgonfiamento” ha riguardato la sua rappresentatività.

Scampato il pericolo di un drammatico declassamento in Europa,al professore bocconiano non solo sono  stati tranquillamente misconosciuti i meriti, bensì ne è stata sapientemente oscurata la famosa “Agenda”.

Ora, non si trattava certamente di una Bibbia, ma le ragioni strutturali che la motivavano sono tuttora ben presenti: se osserviamo però l’atteggiamento, il linguaggio, le proposte strategiche al centro del dibattito politico, verifichiamo la prevalenza dei toni populisti: soprassediamo sulla compagnia di giro dei professionisti della retorica (una buona parte dei quali proprio ieri si sono radunati a Roma in difesa di una Costituzione che è minacciata soprattutto dalla vetustà del suo impianto istituzionale), registriamo con la solita angoscia le performance grilline nelle diverse varianti in cui sono protagonisti i parlamentari dilettanti allo sbaraglio ed il loro boss autocratico. Concentriamoci invece ad osservare l’evoluzione dei due schieramenti fondamentali del quadro politico ai quali il discorso di Letta è senza dubbio rivolto…

Per  quanto riguarda il PDL-Forza Italia, il passaggio dal populismo berlusconiano al popolarismo di matrice europea rappresenta un processo che, avviato – con sorpresa generale – da Alfano il 2 ottobre scorso con la fiducia al Governo, denso di incognite ed ostacoli, il primo dei quali è l’autentico paracarro della indispensabile fidejussione dello “sceicco di Arcore” per evitare il collasso finanziario di un Partito che vive una contraddizione paradossale: può contare su un vastissimo elettorato che è costretto a riversare ancora la fiducia sul – seppur azzoppato – leader carismatico,  piuttosto che sulla rappresentanza politica intermedia perché la considera, giustamente, in gran parte una corte di nominati senza un’autoconsistenza personale, confermata anche dalle reiterate affermazioni di “fedeltà al capo” che – tranne i casi di autentica ammirazione (o idolatria) , come per Bondi – mascherano l’assenza di una soggettività politica propria.

Quella cioè che, fatta salva la giusta e legittima difesa delle ragioni politiche e giudiziarie di Berlusconi, avrebbe dovuto  consentire di condividere in modo esplicito ed in termini strategico- programmatici la fiducia al Governo Letta-Alfano.

In ogni caso quella del centro-destra è una partita aperta e lo sbocco “europeo” (per usare il paradigma lettiano) è collegato sia alla capacità di declinare la governabilità del Paese su contenuti (riforme istituzionali, giustizia, pressione fiscale) affrontati con pragmatismo, determinazione, continuità dell’azione, capacità di mediazione con l’alleato di governo: senza velleitarismi, rivendicazionismi, isterismi (ovvero evitando che la rappresentanza dei moderati sia affidata – per esemplificare – alla sola “vivacità polemica” della Santanchè e di Brunetta…

Un’operazione di riorientamento a cui può dare un contributo importante Scelta Civica, forza politica che pesca nel bacino elettorale contiguo e può uscire dal cono d’ombra del minoritarismo se evita di rincorrere l’improbabile  funzione di terzaforzismo (nel quale si è inutilmente esercitato l’eterno Casini) e sceglie di irrobustire i contenuti culturali e programmatici di un bipolarismo, appunto europeo, operando – nel solco di un autentico popolarismo –  per “depurare” il centrodestra dai condizionamenti della concezione patrimoniale, proprietaria e populista.

Sul versante del centrosinistra, ci sta il “cantiere permanente” del Partito Democratico, ora entrato in un percorso congressuale che ne può rilanciare le ambizioni e l’insostituibile ruolo di polo dell’alternanza, ma anche oscurarne la vocazione riformatrice se il dibattito interno e la leadership che prevarrà non sarà in grado di esplicitare un orientamento programmatico sulle questioni cruciali che l’hanno visto oscillare tra posizioni conservative (penso a temi come tasse, mercato del lavoro, pensioni, federalismo) e tentazioni giustizialiste.

L’avvio del confronto sancito dalla kermesse barese del candidato Renzi si può definire incoraggiante perché la questione del populismo è entrata subito in agenda proprio per le affermazioni del sindaco di Firenze su amnistia e indulto e le polemiche reazioni che hanno suscitato: e ciò può innescare un salutare chiarimento attraverso l’approfondimento delle differenze e la focalizzazione di obiettivi concreti.

Sottolineo che nell’attuale congiuntura non è assolutamente agevole assumere posizioni equilibrate ed orientamenti programmatici puntuali sui numerosi nodi cruciali che assillano l’azione di governo (a cominciare dalla Legge di stabilità in gestazione in questi giorni), ma ciò che è richiesto ai protagonisti del PD è quello di non dribblare le difficoltà con il ricorso alle usurate argomentazioni dell’antiberlusconismo, “vitaminizzanti” nel rapporto con la base disorientata dalla crisi, ma assolutamente inefficaci ai fini della elaborazione di un Programma credibile per conquistare una effettiva maggioranza parlamentare alle prossime elezioni.

Certo, la pre-condizione indispensabile ad entrambi gli schieramenti, affinchè si affermi un rinnovamento politico-culturale, è la costruzione di forme-partito in grado di garantire la più ampia partecipazione di iscritti e cittadini senza che ciò determini il crearsi di perniciose burocrazie: non si tratta di un’impresa impossibile perché in quest’ultimo lustro della vita politica italiana, abbiamo visto emergere novità ed esperienze che nel loro impasto di personalizzazioni esasperate ed incongruenze, hanno lasciato trasparire anche le vie del cambiamento: primarie, cittadinanza digitale, diffusione di think tank, pratiche di partecipazione diretta…

Sarà soprattutto la “dieta” del nuovo finanziamento pubblico ad orientare le scelte più impegnative, ma anche più paganti per le forze che saranno in grado di superare creativamente  il vetusto modello della rappresentanza lobbistica e/o ideologica e del linguaggio populista, praticando e caratterizzando la propria proposta con valori distintivi e sollecitando gli elettori alle scelte di responsabilità ed impegno, a partire dal radicamento territoriale, antidoto fondamentale alla malattia dell’insopportabile e trasversale centralismo romano.

Mi auguro, quindi,  che le affermazioni di Letta siano riprese e sostenute – anche con maggior vigore – da molti altri leader

LETTA & ALFANO

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LETTA & ALFANO hanno finalmente deciso di dare alle “larghe intese” il loro timbro personale, attribuendovi il significato di un patto costituente attraverso cui si affronta non solo la fase emergenziale dei conti pubblici e della crisi economica, ma si prefigura anche un modello di governance istituzionale a cui concorrono coalizioni politico-partitiche che – pur rappresentando schieramenti ed impostazioni programmatiche in competizione – sono in grado di condividere la responsabilità per la salvaguardia dei principi costituzionali e degli interesse generali del Paese.

 

Credo anche che abbiano compreso che la invocata “pacificazione” passa anche attraverso la qualità della rappresentazione pubblica che essi danno del loro rapporto di collaborazione e  dello sforzo (più esplicito e faticoso quello di Alfano – più sottotraccia e prudente quello di Letta) per attrarre centro-destra e centro-sinistra nell’alveo delle culture politiche europee.

 

Osservando la conclusione della crisi di governo, si può dire che la spregiudicatezza manovriera di Berlusconi ha provocato un risultato sicuramente sorprendente e spiazzante, innanzitutto per la sua numerosa  e stralunata corte, ma soprattutto per le componenti interne degli schieramenti che si sono finora contraddistinti o nell’esercizio dell’intransigentismo morale (si veda il patetico intervento di Zanda, incapace di modificare – in sede di dichiarazione di voto –  il copione della denuncia d’ufficio delle malefatte del cavaliere) o del radicalismo da passionaria della Santanchè.

 

Tali comportamenti si sono dimostrati rappresentativi delle fazioni che nel PD e nel PDL sono impegnate ad  alimentare (sovrastimando i torti e le ragioni di Berlusconi) una sorta di strisciante sabotaggio delle ragioni nobili e forti che sono alla base dell’alleanza di governo e che, oltre che essere motivate dalla ineludibile necessità di affrontare la drammatica agenda politica, possono  costituire anche i vettori per praticare il rinnovamento del sistema istituzionale (legge elettorale, federalismo, semplificazione, ecc.) e creare le condizioni per il rinnovamento del ceto politico, la cui rottamazione (copright sindaco PD di Firenze) o formattazione  (copright sindaco PDL di Pavia) è un processo che va attuato non solo attraverso le procedure congressuali bensì con il cimento sulle soluzioni innovative  alla crisi ed alla regolazione politica.

 

Questo è un commento a caldo con il voglio esprimere la soddisfazione di vedere ripagato l’investimento di fiducia ad una coppia che, nonostante le previsioni e più fosche e gli attacchi forsennati di cui è stata oggetto, non è scoppiata e si appresta ora a riprendere la guida di un Paese che chiede ad autorevolezza, serietà, collaborazione e continuità nell’esercizio della responsabilità di governo.

 

MERKEL E NOI

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Merkel

MERKEL  E  NOI

Le recenti elezioni tedesche avrebbero dovuto suggerire qualcosa ai  nostri rappresentanti politici, per affrontare con maggiore equilibrio e realismo le turbolenze di un’alleanza di governo sofferta….

La vittoria elettorale di Angela Merkel,  infatti,  se si evitano i giudizi e pregiudizi suggeriti  dalla pura difesa degli interessi italiani penalizzati nell’ambito europeo dall’ostinazione della Kaiserin contro politiche finanziarie espansive dell’UE,  costituisce una lezione che i Partiti italiani dovrebbero tener in buon conto, anche e soprattutto nella temperie della crisi  incorso.

Ne riassumo  quelli che mi sembrano essenziali:

1. L’ottimo bottino  di voti è stato raggiunto potendo contare su una organizzazione partitica, fondata  sulla  solida Unione di CDU-CSU,  che consente di  ottimizzare la raccolta del consenso,  sia con un forte radicamento territoriale, in particolare con il partito bavarese, che con una strategia  catch-all in grado di inglobare ampi strati sociali non propriamente legati alla tradizionale identità cattolico-conservatrice  bensì di orientamento laico- liberale ed ambientalista.

2.  Pur  priva di una carica carismatica e  di  un linguaggio seducente,  la candidata democratico-cristiana  ha saputo  essere convincente mantenendo la barra dritta  di una strategia ancorata  all’euro  ed al rigore dei conti, ovvero alla difesa di una moneta, di cui la Germania si è dimostrata il Paese più pronto a  beneficiare, diventata attore competitivo per un’economia che ha adottato le misure adeguate per uno spettacolare aumento della produttività attraverso intensi processi di innovazione tecnologia, flessibilizzazone del mercato del lavoro, politiche di sostegno alla tutela degli interessi tedeschi su scala globale (si pensi solo al rapporto privilegiato con la Cina…).

3.  Angela Merkel, inoltre, prima, durante ed a conclusione della campagna elettorale, ha saputo coniugare  il mantenimento di un profilo basso con una determinazione fortissima nel  prospettare una visione degli interessi nazionali come sovrastanti  qualsiasi calcolo politico-partitico opportunistico; è questa posizione che ha determinato in Germania la diffusa  consapevolezza  del valore della grosse koalition , da intendere quindi non come ripiego frustrante bensì come una scelta strategica con cui le forze politiche evitano di coltivare l’illusione dell’autosufficienza nell’affrontare una  trasformazione epocale dell’assetto economico-finanziario in un contesto di   competitività  internazionale che rende necessario  il  coordinamento e la convergenza di tutti  gli sforzi  in una sintesi unitaria e dinamica.

Naturalmente questo schema interpretativo va integrato con le considerazioni sui limiti e le  contraddizioni presenti  sia nella politica interna (vedi le sofferenze sociali per i bassi salari, i ritardi nella politica energetica dopo l’annunciata rinuncia al nucleare, le storture del sistema creditizio….) che, ancor più gravi, sulle scelte riguardanti l’integrazione europea (valutata con un prevalente approccio egoistico-nazionale e di corto respiro),  ma in questa occasione mi preme sottolineare le caratteristiche di un modello di azione e rappresentanza politica di successo che suggerisca un cambio di rotta ad un  ceto politico italiano incapace di sottrarsi  ai fantasmi della retorica, della personalizzazione esasperata, della contrapposizione strumentale, insomma prigioniero all’interno di recinti e paradigmi culturali privi di capacità interpretativa di una realtà sociale ed economica in profonda trasformazione

Ma i messaggi  che la cronaca politica di queste ultime settimane ci invia descrivono un Paese che oltre ai nodi strutturali dell’arretratezza economico-produttiva deve affrontare un gap politico-culturale che ne inficia la qualità della democrazia e dell’efficienza istituzionale.

Lasciando in disparte le risibili grida isteriche di fronte all’aggressione predatoria che i nostri asset e numerosi importanti marchi stanno subendo da parte dei competitor europei, mi interessa in questa occasione segnalare alcune dinamiche che coinvolgono la nostra politics e prefigurano i rischi di un degrado della vita politica che diventa essenziale contrastare sia con buoni argomenti che con buone pratiche di testimonianza civica.

  1. L’esempio più rilevante è dato dal Pdl  i cui vertici, sulla spinta decisiva di Berlusconi, hanno deciso il ritorno a Forza Italia: non ne discuto le ragioni e la legittimità, bensì osservo che con tale   scelta  si opera uno strappo  dalla famiglia del Partito Popolare Europeo, che costituiva un ancoraggio culturalmente determinante, e si ritorna nell’alveo politicamente regressivo del partito personale, ovvero di una concezione politica che  attraverso l’affermazione  di una  leadership carismatica autocratica  e di una gestione patrimoniale-proprietaria,  propone di fatto un neopopulismo che ben lungi dal rappresentare una terapia efficace per la malattia del sistema politico italiano, ne può provocare l’aggravamento.
  2. Non sono meno preoccupanti gli  sbandamenti  che hanno finora accompagnato     la vita interna del Partito Democratico, a partire dal dopo-elezioni, proseguendo per la contradditoria partecipazione al Governo delle “larghe intese”,  per arrivare alle convulsioni del dibattito precongressuale, nel quale l’ultima “stella” apparsa nel firmamento dei candidati alla Segreteria (leggi il Sindaco di Firenze), oltre ad aver dato il proprio originale contributo al logoramento dell’amico Presidente del Consiglio (sollecitandone una maggiore dinamicità, realisticamente impraticabile sic rebus stantibus), poggia la propria proposta strategica nel rifiuto delle larghe intese e nella rivendicazione di un’autosufficienza che a ben vedere, è utile a solleticare l’orgoglio dell’appartenenza e a dare una verniciatina all’identità partitica, ma povera di indicazioni programmatiche per un Paese segnato (per usare le parole di Michele Salvati, Il Corriere della Sera, 29 settembre 2013) “da fattori di arretratezza profondamente radicati sia nel settore pubblico che in quello privato che non è facile estirpare”…
  3. Sugli altri  versanti della rappresentanza politica, non possiamo che attendersi l’accentuarsi di divaricazioni estremistiche rispetto all’evoluzione del quadro politico:  collegate, per quanto riguarda il M5S, all’anoressia democratica di una formazione letteralmente prigioniera del “capo” oscillante tra roboanti affermazioni velleitarie e digressioni tattiche repellenti (si pensi solo al caso della riforma elettorale ritenuta non indispensabile se il Porcellum consente di  raggiungere il quorum di maggioranza!); mentre per la Lega sono conseguenti alla volontà di affrancarsi dal discredito  che ne ha, con le note vicende di corruzione e conflitti interni,  ridimensionato la funzione di forza di cambiamento.
  4. Resta poi il punto interrogativo sulle (eccessive) attese attribuite al movimento del Presidente Monti – Scelta Civica – che si trova nella fortunata congiuntura di poter interpretare un ruolo cruciale,  da un lato di forza parlamentare responsabile e punto di equilibrio della governabilità praticabile nell’attuale congiuntura, dall’altro di centro di aggregazione di un’amplissima area sociale (che potremmo genericamente definire liberaldemocratica) alla ricerca di rappresentanza. Ma tali potenzialità richiedono il rinnovamento della leadership e un aggiornamento progettuale ed organizzativo di cui si fatica attualmente a vedere la attualità.

Si tratta di uno scenario pessimistico ed irrimediabilmente regressivo?

Non credo proprio; così come ho sostenuto da subito il carattere positivo e senza alternative del governo di coalizione (“Nessuno tocchi Letta & Alfano”),  come soluzione realistica all’impasse post-elettorale, ora  ritengo che, proprio a fronte della drammatizzazione della crisi provocata dalla querelle sulla vicenda giudiziaria di Berlusconi, si siano create le condizioni per fare uscire allo scoperto tutte le forze e i protagonisti che ritengono che questo sia diventato  il tempo di un’operazione verità e trasparenza  sui problemi del Paese e di accentuare in modo ancora più esplicito e cogente le ragioni di uno sforzo di convergenza operativa sulle priorità dell’Agenda Italia ….

Una prospettiva di cui definire e precisare maggiormente  contenuti, confini e tempi (sui quali tornerò nei prossimi giorni).

Intanto è utile meditare la lezione di “mutti” Merkel…

 

STORIA E STORIE DEL PD A NORDEST

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La versione di  Andrea   su “Storia e storie  del  Partito Democratico a Nordest”.

(quello che segue è il testo del commento che ho scritto sul libro di Andrea Colasio, presentato sabato 31 agosto alla Festa provinciale del PD padovano, in un incontro a più voci   al quale ho partecipato)

Quando il legame tra partito e bagaglio identitario è venuto a mancare, i partiti hanno risposto alla caduta di legittimazione con un’accentuazione del loro profilo elettorale mediatico a sostrato organizzativo liquido. La ricostruzione dei partiti è considerata dalle classi dirigenti più avvedute una non più rinviabile necessità del sistema politico dopo gli anni della completa disgregazione di apparati, classi dirigenti, simboli, interessi sociali e credenze. Non basta solo la volontà politica per resuscitare embrioni di partito strutturati, ma senza un salto di cultura politica che abbandoni le scorciatoie rappresentate dalle soluzioni liquide e carismatiche non si procede alla ricucitura di legami organizzativi utili per riavviare le forme oggi ancora possibili di un insediamento di partito.”

Michele Prospero, Il partito politico – Teorie e modelli

 

Non è d’uso, ma in premessa a queste annotazioni  sul libro di Andrea Colasio – VENTO DEL NORDEST. Storia e storie del Partito Democratico -, che esponiamo come un primo commento per introdurre la discussione nel Blog di Storia e Cultura,  mi corre l’obbligo di esprimere un sincero apprezzamento e ringraziamento,  all’autore.

Tutti coloro, me compreso, che hanno partecipato con un ruolo più o meno rilevante; meglio ancora con un briciolo di passione e di militanza (così piaceva auto gratificarsi fino a qualche tempo fa) gli debbono essere grati, almeno per due ragioni:

a)      Si è fatto carico di una ricostruzione storiografica talmente meticolosa dei fatti più rilevanti  della politica veneta  (e non solo) degli ultimi vent’anni, donando ad essi una luce più intensa, tanto  da consentirci  l’aggiornamento di una pigra e parziale memoria,  e di rileggere con rinnovato interesse anche le nostre personali polverose raccolte di documenti e dossier…

b)      Nella scrittura, pur non rinunciando mai al rigore dello studioso, l’interesse del lettore è sollecitato con uno stile da giornalista d’inchiesta , da inviato negli anfratti  di un territorio e di vicende in cui i protagonisti  vengono “estratti”, monitorati  e descritti  restituendo loro uno spessore ed una dignità (associata in molti casi anche agli errori e all’ostinazione con cui sono stati commessi) che nel recente passato sono stati ridimensionati e talvolta distorti, dai resoconti dei media nazionali, mai generosi con le “novità” che hanno costellato  la storia  veneta recente.

I “cammei” dei  numerosi personaggi (omaggiati iconograficamente nella copertina) che hanno calcato la scena di una vita politica straordinariamente intensa, sono intervallati, talvolta assorbiti e travolti, dalla minuziosa trama di  genesi, svolgimento e – in una sorta di predestinazione – declino dei movimenti politici succedutisi all’esaurimento della Prima Repubblica, che in Veneto ha significato il tracollo dell’egemonia democristiana ( dal Movimento dei Sindaci al  Movimento NordEst, dalla  Lega, fino al M5S…).

 

La robustezza dell’impianto di ricerca storica, l’originalità degli strumenti di indagine, la freschezza ed in molti casi l’assoluta novità dei documenti portati alla luce sia dall’archivio personale dell’autore che da fonti pregiate, la stessa scansione della pubblicazione che di fatto è composta di cinque capitoli che costituiscono altrettanti  libri con una loro auto consistenza; ebbene tutto ciò sfugge sia ai canoni  accademici tradizionali (con il corredo di  descrizioni necessariamente  distaccate) sia a quelli editoriali più recenti (con tutto il gioco di effetti, colori, accentuazione di toni per  episodi minori).

Voglio dire con ciò che VENTO DEL NORDEST  è l’opera di un autentico uomo di cultura che ha la fortuna di aver coltivato con sistematica continuità l’attività di ricerca e la raccolta di documenti e testimonianze, e di  possedere   un’inesausta passione civile  tradottasi anche nella scelta coraggiosa di cimentarsi nell’esercizio della rappresentanza politica, sia a livello parlamentare che nella dura pratica dell’amministrazione locale (dove si sta segnalando per la strenua e brillante programmazione dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Padova).

Con tale background è quindi possibile misurarsi sia con  l’occhiuta (e solitamente  mai benevola) “attenzione” del mondo accademico (nel cui ambito peraltro l’autore ha svolto attività didattica e di ricerca) che fronteggiare  l’atteggiamento  ansioso e talvolta malizioso della vasta platea di colleghi di partito, sottoposti per lungo tempo ad una sorta di “attenzionamento critico”.

Siamo in ogni caso di  fronte ad una pubblicazione di notevole rilievo, in cui Colasio si dimostra capace di padroneggiare, disvelare e domare la complessità di una tela narrativa di cui la mano dell’autore è protesa a volere completare l’ordito, anche ricorrendo ad un corredo di note e rinvii bibliografici impressionante.

Per dirla in termini sbrigativi: mi è capitato di sentire commenti e valutazioni sul testo, da parte di soggetti diversi, ricavandone la convinzione che il lavoro di Colasio “sorprende”  ed è quasi una provocazione  imbarazzante ….

E non certo per il carattere ostico della scrittura, bensì perché esce in un tempo politico  dominato  dalla chiacchiera e dalle piroette, in cui c’è spazio per ogni genere di recitazione a soggetto ed autoreferenzialità di cui la clamorosa entrata in scena  dell’ex  comico Grillo  è la manifestazione più rutilante, ma non la più sorprendente di un ventennio che sarà ricordato nei libri di storia per l’esasperazione del linguaggio e della  personalizzazione.

STORIA E STORIE DEL PARTITO DEMOCRATICO, invece, impone un grado di riflessività, di attenzione e rispetto della concatenazione dei fatti esposti,  che determina lo sbriciolamento dei pregiudizi, il superamento di schematismi interpretativi (adottati da alcuni storici  di chiara fama nell’affrontare la storia politica veneta) e dell’approccio sociologico grossolano  e  superficiale di quanti si sono soffermati   sulla fenomenologia degli eventi senza scrutarne la matrice antropologico-culturale più profonda.

Possiamo dire che l’autore, in modo molto elegante, motivando la sua impostazione metodologica come quella di un “osservatore partecipante”, ha sapientemente mascherato l’obiettivo di voler offrire un’autentica “lezione”, in particolare  alla nutrita schiera di professionisti  della politica che nel corso di un ventennio hanno attraversato i processi di riorganizzazione, ristrutturazione, divisione e ricomposizione di quell’articolata realtà che siamo soliti identificare con il Centrosinistra, possiamo dirlo?, un po’ a tentoni!

Parlo di “lezione politica” in un’accezione  insolita: non si tratta  di quella assimilabile agli articoli che siamo abituati (con diversi gradi  di accettabilità) a leggere negli editoriali del quotidiano più familiare,  né di quella autoriale di “professionisti” (siano essi docenti universitari o  politici con un “cospicuo” passato sulle spalle – più o meno autorevole -) a cui ci affidiamo per discernere le convulse dinamiche del quadro politico italiano che abbiamo vissuto negli ultimi lustri:  ognuno di noi  con un certo grado di disagio!

Si tratta, invece, di una stringente ricostruzione storiografica che fa ricorso non solo alla illustrazione di una trama con le sequenze e le correlazioni  che ne costituiscono   gli elementi della continuità e discontinuità; essa  fornisce  contestualmente una ricchissima mappa di  documenti e strumenti interpretativi che consentono al lettore di operare una valutazione critica ed anche la possibilità di riavvolgere i fotogrammi delle vicende narrate, secondo un canovaccio personale. Sempre rispettando però  e facendo i conti con la realtà degli episodi, dei copiosi dati statistici e della documentazione : dai verbali congressuali  alle indagini longitudinali sui militanti di partito, dalle interviste ai risultati delle ricerche sull’identità e sui  modelli culturali che nel tempo hanno caratterizzato i movimenti politici esaminati.

A partire da queste considerazioni preliminari, ci si prospetta  un intero quaderno denso di rilievi e giudizi sui  passaggi storico politici descritti con limpidezza e dovizia di particolari; in molti casi ci siamo sentiti  sollecitati ad esprimere un  commento sarcastico ed in altri  di sdegno di fronte a episodi in cui gli atteggiamenti e comportamenti dei protagonisti evidenziano limiti, calcoli opportunistici, narcisismi, incoerenze ed errori grossolani.

Le pagine da sfogliare, che in particolare ci hanno incuriosito e convinto per l’efficacia narrativa e per le argomentazioni illustrate, sono davvero troppe per darne conto in un commento necessariamente  riassuntivo. Ragion per cui  le enumeriamo attraverso una titolazione arbitraria ed attingendo  temi, dilemmi e personaggi dal testo,  allo scopo di esprimere un primo  commento sintetico, preparatorio di una valutazione critica più ampia ed approfondita.

 

  1. Fenomenologia  Bindi. Il libro prende le mosse dalla “morte della DC” e non poteva essere diversamente, atteso che – anche alla luce della recentissima vicenda governativa – si può notare che dal vecchio tronco democristiano sono spuntati molti “virgulti” e progetti,  Colasio affronta la spinosa questione inoltrandosi con leggerezza nelle tortuose e sofferte  dinamiche, riportando però in luce frangenti che consentono di esprimere qualche valutazione:

–           emerge in tuta la sua potenza devastante per i  traballanti assetti politici del Veneto la funzione del “commissario toscano” che, in forza di un  moralismo usato come arma di sterminio,  ne ricava indubbi  vantaggi per l’affermazione di un disegno politico personale con il duplice effetto di acquisire una visibilità sul piano nazionale e di provocare (inconsapevole o meno) un insuccesso  annunciato per il Partito Popolare, impegnato nella competizione con l’insorgente e virulento movimento leghista che si trova spalancate le porte del consenso tra quei “diecimila amministratori locali” di cui invano il Segretario regionale Bruno Oboe ha cercato di difendere l’onorabilità proponendo di evitare la s-comunicazione bindiana nei confronti della base democristiana (destinata così inevitabilmente a  trovare successivamente casa nella Lega – appunto – e nella futura Forza Italia.

–          La vicenda significativa della mancata candidatura della Anselmi a Presidente della Regione rasenta l’inverosimile,  ma è potuto realmente accadere che una delle poche figure “intonse” del Pantheon democristiano veneto sia stata subdolamente sacrificata sull’altare del tatticismo della nostra eroina moralizzatrice.

–          Ed è sicuramente da ascrivere all’approccio moralistico e minoritario (tipico, va ricordato,  della vecchia componente morotea  veneta) l’effetto di snaturamento del ruolo della rappresentanza politica determinatosi con la scelta,  rivelatasi spiazzante  del Partito Popolare: ritroviamo infatti nella cronaca convulsa degli anni ’93-’94 l’inascoltato appello di Fracanzani  – anziano, ma perspicace leader  – ad adottare la necessaria strategia di rinnovamento, osservando però  ed interpretando realisticamente i fermenti e le domande sociali della società veneta, alla ricerca di nuove indicazioni politiche con cui affrontare la crisi incombente ed  il cui disagio si sarebbe tradotto in consenso alle sgangherate, ma concrete e vincenti  proposte leghiste…

 

  1. Il sogno federalista. E mentre la Liga Veneta si afferma e, entrata nell’alveo del progetto bossiano, diventa forza di governo sia a livello regionale che nazionale, le residue forze ex democristiane, alleate con altri segmenti politico-culturali di centro e di sinistra, iniziano una lunga attraversata alla ricerca di una nuova identità forte: le note che l’autore dedica sono generose, ricche di fotogrammi che segnalano le molte sconfitte, ma anche le intuizioni ed illuminazioni che costituiranno parte fondamentale del bagaglio culturale e programmatico con cui potranno prendere vita ed acquistare un respiro vincente i progetti nazionali, dell’Ulivo dapprima e del Partito Democratico successivamente. Colasio scruta e passa in rassegna tutti i passaggi-chiave, regalandoci una mappa cognitiva con cui è possibile valutarli criticamente ed ipotizzare diacronicamente i diversi scenari che le risorse di consenso e progettuali messe in campo non solo sarebbero stati possibili, ma soprattutto sono tuttora prefigurabili. Perché il bello della sua prosa è che dà ai fatti ed alle idee plasticità e la loro concretizzazione storica è sempre correlata all’intelligenza politica che viene investita nella progettualità. Ciò significa altresì che la mente dell’autore, scevra com’è da pregiudizi ed “ingombrata” solo dalla genuina passione per la ricerca, ci aiuta a comprendere che i processi storici non sono predeterminati e le idee ed i valori forti si possono misurare con le insidie del tempo e riemergere ogniqualvolta  incontrano volontà ferree e gruppi sociali determinati a dispiegarne il significato e le potenzialità realizzative.

Emergono così movimenti di breve e di lungo termine, tentativi abortiti ed altri  che vengono premiati,  “primedonne” alla ricerca di visibilità e protagonisti che invece lasciano un segno ed una testimonianza duratura (una su tutte: Giorgio Lago): dai Sindaci del Nordest arriva la spinta per i provvedimenti Bassanini,  ma anche manifesti politico-culturali , “caroselli e duelli” (davvero gustosi quelli interpretati da Mario Carraro e Massimo Cacciari)  che creano mobilitazione, ma non mordono il consenso e non oscurano l’epopea leghista. Di fronte a cotanto investimento di energie intellettuali ed entusiasmo, a fine capitolo ci si chiede dubbiosi anche cosa si è sedimentato nella cultura politica, ma sovviene anche il pensiero che il vittorioso progetto ulivista ha trovato la sua genesi ed una base solida nel triangolo nordestino (comprendendovi Bologna). Ed ancora: nel mainstreaming che ha coinvolto nel tempo vari attori e soggetti politici (MNE, Partito Popolare, insieme per il Veneto, Margherita…) , ritroviamo issue e modelli organizzativi che costituiscono la matrice fondamentale del Progetto nazionale del Partito Democratico: dalla persistente pulsione federalista, alla vocazione per le primarie nella selezione dei rappresentanti; ma soprattutto la sperimentazione e la predisposizione al superamento dei confini culturali originari dei protagonisti chiamati ad inverare un inedito movimento politico. E non è poco se si pensa che il convitato-azionista del nuovo Partito in gestazione è il rappresentante (di ciò che resta in Italia) del più grande tra i Partiti  comunisti a livello europeo. Non è casuale quindi che Colasio si dedichi con particolare accanimento storiografico a ricostruire le “Metamorfosi dell’identità PCI/PDS/DS”…

Va aggiunto infine che merito dell’autore è di tuffarsi con coraggio nell’enorme bacino sotterraneo dell’antropologia culturale  del cattolicesimo democratico veneto e di estrarne gli elementi (sogni, disillusioni, ecc.) che hanno attraversato le generazioni senza perdere vitalità e conservando un loro fascino (si pensi alla ipotesi vagheggiata vent’anni fa dal veronese  Olivi della costituzione della CSU, ora ripresa –furbescamente e senza il fascino e tanto meno la credibilità  dell’ipotesi originaria – dal Sindaco leghista  Tosi…).

 

  1. Il viaggio infinito degli ex comunisti. Il capitolo dedicato alle “metamorfosi” è, sicuramente, quello che impressiona maggiormente; come al solito la documentazione è originale, approfondita, in molti casi esclusiva,  e ci da modo si seguire fotogramma per fotogramma (senza autocensure dei protagonisti della straordinaria vicenda storica del comunismo  italiano ) la profonda trasformazione  di un Partito la cui matrice ideologica ha continuato ad esercitare un peso ed un ostacolo ingombranti sia all’interno di una struttura sociale ed organizzativa costantemente in tensione, sia nell’ambito del sistema di relazioni politico-istituzionali che lo  hanno condotto  a diventare socio fondatore del PD.  Va ricordato che tale approdo è giunto dopo un sofferto percorso   la cui indagine storiografica permette di leggere  la molteplicità di sfaccettature (scissioni, fratture e conflitti) ed in particolare il “negativo della foto” ovvero l’identificazione di quelle frange (da SEL ai Comunisti Italiani, fino  ai… simpatizzanti M5S!) che non solo si sono sottratti al progetto PD, ma tuttora costituiscono una spina al suo fianco…

Lo sguardo indagatore ed in modo speciale le ricerche sul campo, tracciano i profili sociali e le identità  dei militanti, fotografa con eleganza, ma senza sconti, la realtà di un partito il cui impianto ideologico leninista (connotato di lunga durata) gli consente un insediamento molto parziale, territorialmente delimitato  e lo rende un soggetto politico con difficoltà a radicarsi  in un ambiente sociale impregnato della subcultura cattolica.  In tale contesto socio-culturale, sono messe  a nudo le incoerenze di leader e intellettuali  cimentatisi con fatica a promuovere, difendere e – in pochi casi  – contestare le ragioni del partito;  ma   la ricostruzione obiettiva dei fatti  è anche in grado di rivelarne la vitalità e la capacità di non farsi travolgere dalle trasformazioni seguite all’89, conservando importanti segmenti di rappresentatività in particolare a livello amministrativo (si pensi al caso Padova con la ripetuta affermazione di un Sindaco – Flavio Zanonato – erede legittimo ed orgoglioso alfiere della tradizione comunista). Ne è una conferma (della vitalità) la fresca nomina a Ministro – in rappresentanza “coerente” della componente bersaniano-emiliana del partito – dello stesso Zanonato, al quale si pensa anche come futuro leader regionale….

 

  1. Un gioco ripetitivo. Il capitolo dedicato al Partito Democratico,  trattandosi di una vicenda dei nostri giorni, ha le caratteristiche della cronaca giornalistica, ma l’intensità e la ripetitività delle sequenze con cui ne viene descritta la tormentata genesi ed ancor pù perigliosa navigazione fino ai fatti più recenti,  anche se non si manifesta  in una forma di tesi esplicita, ci suggeriscono però l’immagine di un edificio in costante costruzione.  Con una  struttura la cui solidità risulta  particolarmente problematica non solo per un difetto di progettazione (anzi, per la compresenza di una pluralità di progettisti con diverse impostazioni..), ma anche perché nel cantiere si possono notare diverse squadre al lavoro con strumenti ed obiettivi divergenti. Fuor di metafora: senza ripercorrere le tappe fondative, con la intensa problematicità – per es. – della “parabola” veltroniana,  basta ri-leggere la citazione del documento dei “giovani turchi” (il gruppo di giovani dirigenti che hanno accompagnato Bersani nella sua dis-avventura alla guida del Partito) che sbertucciano la concezione di un partito contaminato dalla “cultura americana”. E’ in ordine di tempo, il  penultimo segnale di contraddizioni ed aporie che hanno minato e sono tuttora all’origine del mancato decollo e della piena affermazione del PD.  L’elenco sarebbe troppo lungo ed anche ingeneroso: oltretutto bastano alla bisogna le cronache tumultuose e – per chi non avesse letto il libro di Colasio – sorprendenti. L’essenza è racchiusa in una frase dell’autore, sempre elegante, ma perentorio: ”…per il PD, in realtà, le inerzialità organizzative e le persistenze culturali avrebbero spesso fatto aggio rispetto all’auto-rappresentazione del suo gruppo dirigente. Il PD sarebbe stato costruito con i materiali  che erano a disposizione nel cantiere; ovvero risorse organizzative e patrimoni identitari e culturali  che, lungi dall’essere “sciolti” ed “amalgamati”, si erano trovati, nella fase di avvio, a costituire i mattoni con cui l’edificio avrebbe preso forma….(lasciando) irrisolto il problema dell’identità simbolica della nuova organizzazione”.

Aggiungiamo noi che uno dei pochi leader consapevoli di tale stato l delle cose ed impegnato a dare maggiore densità e coesione ad un Partito “in crisi di nervi” si è rivelato Massimo D’Alema che nel suo recentissimo libro (CONTRO CORRENTE. Intervista sulla sinistra al tempo dell’antipolitica) cerca di affrontare gli interrogativi  testè sollevati, attraverso un bilancio critico degli ultimi vent’anni di storia politica nazionale. Ma con questo si apre un capitolo che affronteremo in un’altra occasione….

Va infine osservato che l’angolo visuale scelto da Colasio, ovvero il Nordest, lo ha  portato   a dover dar conto di  un ulteriore  aggrovigliamento  ulteriormente della matassa di un Partito Democratico, desiderato e concepito con una forte impronta federalista.

La matrice di tale progettualità è esaminata con una ricognizione puntigliosa, a partire dagli esordi del Partito Popolare veneto,  e giunge fino alle pagine conclusive con la citazione di un articolo di Romano Prodi che, ai nostri occhi, risulta paradossale, laddove si immagina una struttura del PD integralmente federale.  Non risulta particolarmente malizioso ipotizzare che tale suggestione organizzativa rappresentasse una strategia  per giungere all’ esautoramento  del vertice nazionale di tutta la vecchia e tradizionale nomenclatura che l’ex Presidente del Consiglio riteneva la causa del suo insuccesso alla guida del Governo (potremo definirla la “via federalista alla rottamazione”!).

Prodi quando scriveva quell’articolo (Il Gazzettino 11 aprile 2010) non poteva immaginare che parte di quella nomenclatura gli avrebbe ripetuto lo sgambetto facendogli mancare i voti per l’elezione alla Presidenza della Repubblica…

Ma ritornando sul punto dell’Osservatorio veneto: la debolezza (aggiuntiva) che emerge dalla descrizione dell’impostazione del PD locale è quella di non aver saputo fare realmente i conti con le regole del gioco politico-istituzionale nazionale e con la radicalità della crisi in corso, ovvero con la necessità di dare un contributo di elaborazione e proposta più cogenti sia sul riassetto  ed efficientamento del  Sistema che sulle scelte praticabili di risanamento finanziario e consolidamento dei fattori reali di miglioramento della capacità competitiva.

Concordiamo quindi con le considerazioni conclusive di Colasio  che risultano stavolta severe e senza appello: “Quanto al partito federale dei veneti, questo, più che configurarsi come un’utopia, sembra assumere connotazioni “distopiche” e il suo profilo si staglia sullo sfondo, lontano, molto lontano, con i suoi contorni che paiono sempre più sfumati, indeterminati, quasi evanescenti”.

Sembra quasi un epitaffio, ma noi crediamo che debba  essere colto come un messaggio, una sollecitazione forte ad operare un reset nella memoria della storia recente e, a partire dalla suggestiva ed attendibile ricostruzione del libro, aprire una più autentica riflessione critica sulle ragioni ed i fondamenti culturali  che possano garantire una prospettiva al Centrosinistra come forza di governo locale e nazionale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Aequinet Hub: Innovazione Sociale per superare la crisi

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L’incombente (ed angosciante) crisi finanziaria che è diventata il centro dell’agenda politica ed economica non solo del nostro Paese, ma dell’intero campo occidentale, rischia di diventare una cortina fumogena che rende meno decifrabili le cause che l’hanno provocata e, soprattutto, i percorsi del suo superamento.

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LA LEZIONE DI LORENZO PER IL PAESE

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Lorenzo Dellai

Potrei, con una forzatura retorica, definirla una ventata di aria fresca, ma la “lezione” che il trentino Lorenzo Dellai ha tenuto a Padova nei giorni scorsi, rappresenta effettivamente –  nell’ambito della “calura politica” che si accompagna a quella di stagione – una proposta di riflessione strategica e programma operativo che incoraggia la ripresa di un impegno e di un’azione di buona lena sulle questioni al centro dell’agenda politica.

Già l’apertura del discorso con il riferimento alla necessità di un “cambio di passo”, ha dato il segno che l’ex Presidente della Provincia di Trento intende immettere nella  funzione-responsabilità di capo-gruppo alla Camera di Scelta Civica, l’energia e la determinazione di un leader cimentatosi  nei sentieri impegnativi  della concretezza amministrativa ed istituzionale.

D’altronde, il focus dell’intero excursus politico-culturale presentato è stato l’ancoraggio alla realtà territoriale, inteso come principio metodologico, sia per mettere in campo  il lavoro di rete che per sottrarre l’attività politica alle spire di un neo-centralismo sempre in agguato.

Tale indicazione, nel ragionamento di Dellai, serve al percorso  della “reinvenzione di una politica istituzionale” e a suggerire i contenuti di una identità indispensabile a supportare la trasformazione di un movimento in Partito.

E sulle connotazioni distintive ed innovative che debbono caratterizzare la nuova stagione di Scelta Civica, il discorso è stato disarmante per semplicità e chiarezza:

–          Necessità di costituire un riferimento credibile perché soggetto più “prossimo” al comune sentire e “discontinuo” rispetto alla verticalizzazione e personalizzazione populista del bipolarismo muscolare vissuto nell’ultimo ventennio

–          Rappresentare la “sentinella dello sviluppo” che presidia la via stretta del rigore e della stabilità politica

–          Immettere razionalità nel dibattito politico parlamentare per sottrarlo alle “pulsioni partigiane” che come nel caso delle issue sventolate dal PDL e/o delle divisioni pre-congressuali che agitano il PD, allontanano il processo decisionale dalle priorità che la realtà di una crisi socio-economica persistente impone di assumere

–          Visione strategica di medio periodo che consenta al Governo Letta di operare con un “contratto di maggioranza” ed affrontare le sfide prossime temporalmente sequenziali: a) la Legge di stabilità; b) il semestre europeo a guida italiana nel 2014.

Tutto ciò  è stato  sottolineato con la serenità e la consapevolezza di chi è pronto e preparato ad esercitare una nuova leadership responsabile, in un contesto nel quale la metafora del “salire in politica”  si è trasformata: non più e non solo efficace messaggio elettorale, bensì impegno programmatico di una forza politica che si propone di legittimare e radicare la propria presenza e funzione nel Paese nel segno della serietà e coerenza.

Si tratta di una “scelta civica” che necessita anche di essere comunicata ed irrobustita dalla implementazione di una struttura organizzativa di partito che assuma un modello innovativo (flessibilità e geometria variabile in grado di intercettare la variegata domanda di partecipazione e rappresentanza politica che i diversi territori del Paese manifestano), ma non “liquido”!

Con un linguaggio asciutto e denso, Lorenzo Dellai ha tratteggiato la fisionomia di un soggetto politico che alla “società slabbrata” imbevuta di individualismo-rete-potere suggerisce di rigenerarsi ed innervarsi con il popolarismo e la cultura liberaldemocratica di matrice europea, attraverso la rielaborazione originale e l’aggiornamento  di valori e scelte strategiche che orientino la scelta di campo sia nel quadro politico interno che nell’ambito internazionale.

Non solo Partito “garante dei conti” quindi, ma nuovo soggetto politico popolare, con un’anima profonda e calda, in grado di sintonizzarsi con la società italiana che esprime le  risorse civili ed imprenditoriali con le quali elaborare ed intraprendere la realizzazione di un nuovo disegno di rinnovamento istituzionale ed economico del Paese.

E qui ritorniamo all’incipit di questa breve cronaca di un appuntamento politico padovano: i rappresentanti territoriali di Scelta Civica nel manifestare una piena sintonia con il capo-gruppo alla Camera, hanno condiviso anche  la suggestione di  un  nordest che, dopo le frustrazioni e disillusioni vissute nell’inseguimento delle promesse populiste, diventi luogo e piattaforma di energie e risorse per far decollare un progetto nazionale  nel quale le parole aderiscano ai programmi, le azioni  evidenzino la linea di avanzamento, i nervi saldi soppiantino  la frenesia,   la fiducia nel futuro subentri alla credulità ed al qualunquismo, le radici delle comunità locali alimentino l’impegno per l’innovazione ed il cambiamento.

 

 

PADOVA CITTA’ SOSPESA

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Padova, città sospesa

  “D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda

                                                                                                              Italo Calvino – Città invisibili

 Il tema della vocazione strategica delle città sta diventando oggi cruciale. Da una parte ci sono le sollecitazioni fornite dalle tecnologie di comunicazione per rendere le città più accessibili, più innovative e creative, più smart. Dall’altra ci sono le tensioni irrisolte prodotte da decenni di urbanizzazione selvaggia che hanno messo in crisi le città storiche, ricche di saperi e di cultura sociale.

Il bisogno di un’attenta riflessione, e di un conseguente profondo cambiamento, è opportunamente messo in luce da uno studio di Antonio Calafati (Economie in cerca di Città) che illustra in modo efficace e convincente come le città europee possano nuovamente essere agenti economici determinanti nell’attuale processo di ridefinizione dei fattori e dei soggetti della competizione a livello globale. A patto che recuperino una visione strategica, che consenta loro di armonizzare l’eredità del passato con la potenzialità delle nuove risorse umane e delle tecnologie. E per fare ciò è necessario trovare un giusto equilibrio per orientare “la loro capacità strategica di auto-eco-organizzazione (che) non è determinata soltanto da meccanismi di aggiustamento materiali, ma anche da politiche pubbliche che provano ad adeguare la struttura socio-economica della città ai caratteri dell’ambiente esterno”.

Per molti versi, la città di Padova è un esempio significativo di una potenzialità storico – territoriale che ha bisogno di trovare un giusto orientamento strategico.

Collocata in posizione centrale del ricco nordest che ha giocato un ruolo determinante nello sviluppo dell’Italia di fine novecento, risente oggi degli squilibri di una industrializzazione troppo veloce e poco attenta ai valori storici e culturali del territorio. Ancora oggi non riesce a trovare un giusto equilibrio tra le molteplici anime che l’attraversano ed è alla ricerca di una leadership in grado di individuare e gestire le  soluzioni politico amministrative rispettose della sua vocazione.

 

Città e regioni nel nuovo capitalismo  (di Allen J.   Scott)Dopo la   crisi della città industriale, assistiamo ogi a una rinascita dei grandi   centri. Le città si rinnovano come luoghi dell’economia cognitiva e   dell’industria culturale: ricerca, media, design, moda, musica. L’economia   delle metropoli è diventata più “sociale poiché le nuove attività creative si   basano su fitte reti di relazioni formali e informali che si sviluppano   nell’ambiente urbano… 

Lo sviluppo guidato dalla cultura: creatività,   crescita, inclusione sociale (a cura di C. Bocci e G. Passaro)

Le   politiche urbane per la competitività territoriale. I colloqui di Ravello   2010

La competitività economica nei sistemi   produttivi guarda con sempre maggiore incisività ai sistemi territoriali,   intesi non solo in termini geografici, ambientali, amministrativi, ma anche e   soprattutto in termini di relazioni, e quindi identità: il territorio è   dunque “luogo” e, insieme, “dimensione” dello sviluppo. Intervenire sulle   leve che governano l’equilibrio di domanda e offerta culturale, ed   incentivare il processo di

valorizzazione sociale della cultura e   del bene culturale rappresentano obiettivi di una azione programmatica……

 

Con riferimento alla provocazione di Calvino, è necessario che Padova sia oggi in grado di dare una risposta alle domande che le rivolgono i cittadini, magari indifferenti ai richiami del lavoro già svolto e delle opere finora realizzate, ma sollecitati da bisogni che nascono dai problemi attuali.

Per queste ragioni è necessario pensare a una proposta politica che sia in grado di affrontare e risolvere positivamente le tensioni vitali che fanno di Padova una delle realtà urbane con maggiori potenzialità di sviluppo:

–               la dimensione amministrativo-territoriale di piccola città che si innesta in un’area urbana allargata con forti esigenze di integrazione nella gestione delle funzioni di pianificazione e dei servizi;

–               la tradizione  cattolica e la presenza operosa della Chiesa e dell’Associazionismo collaterale che si confronta con  una altrettanto radicata tradizione di pensiero laico e con forti spinte alla secolarizzazione dei costumi, frutto del benessere degli ultimi decenni;

–               l’articolata composizione del sistema produttivo, all’interno del quale, alla matrice agro-industriale dello sviluppo si è sovrapposta l’economia di un terziario nel capo dei servizi e del turismo vivace e in crescita, sostenuto ed innervato da un tessuto di Imprese ICTS;

–               la cultura del sapere scientifico e della ricerca, rappresentata  da una storica Università che fa fatica a misurarsi con le richieste del sistema Impresa (espressione della cultura del fare), alla ricerca di contenuti e innovazioni per affrontare le sfide della competizione e globalizzazione;

–               il forte radicamento nella cultura locale che non frena una vocazione a coltivare le relazioni internazionali (dalla vicina Europa dell’Est Alpe al Continente africano ed ai Paesi sudamericani di forte emigrazione)

–               la lentezza di una cultura che ama i piaceri della vita con la rapidità richiesta dalle urgenze del mercato internazionale;

–               il declino demografico indotto dall’invecchiamento che viaggia parallelo a una presenza giovanile irrequieta nella ricerca di nuovi modelli sociali e nuovi sbocchi lavorativo-professionali;

–               l’attenta cura degli interessi personali, tradizionalmente espressa dalla vocazione commerciale e dalle professioni economico-finanziarie che si confronta con straordinarie esperienza di  solidarietà attiva, sia nell’ambito locale che internazionale con opere (vedi CUAM) e persone che hanno testimoniato i legami di Padova con popoli e terre sfortunate

–               L’intensa vita culturale,  testimoniata sia dall’iniziativa pubblica (vedi in particolare RAM – Ricerche Artistiche Metropolitane) che dalle diffusione di Fondazioni, Associazioni e Centri culturali, che si confronta con la realtà sociale di quartieri e settori della città “apatici”, senza prospettiva e con i “non luoghi” (come i siti abbandonati dei vecchi cinema del centro storico)

–               Le discussioni e le querelle sulle “grandi opere” (dal Centro Congressi all’Auditorium, dalla Nuova Questura al Nuovo Ospedale) che nascondono la realtà di un assetto urbanistico ingessato e di un patrimonio edilizio vecchio ed energivoro, così come di una vergognosa situazione degli affitti in nero (calcolati 350.000 euro di tasse evase)

La metafora della città sembra essere la sua squadra di calcio, che sostenuta da una pratica sportiva diffusa, capace di produrre campioni, viaggia da molti anni in una sorta di galleggiamento in B, dove sembra che affiori ma poi ritorna immancabilmente (?) giù.[1]

Il senso della proposta

Il tema delle città smart, un modo per indicare un modello accessibile, interattivo e creativo di vita urbana, è entrato ufficialmente nell’agenda dei piani di sviluppo europei ed italiani.

Una buona descrizione delle implicazioni di questo modello di vita è dato dal blogger ed esperto di media marketing Luca Conti: “Spazi urbani, social network, architettura, Internet, relazioni, persone, partecipazione. Tutte queste parole, apparentemente poco connesse tra loro, sono invece la sintesi di un nuovo modo di concepire la costruzione di edifici, spazi pubblici, ambienti da vivere, promosso da architetti ibridi. Una figura professionale che attinge alle basi dell’architettura, ma con una visione aperta, pronta a cogliere tutte le opportunità di interazione con il pubblico offerte dal Web 2.0 e dagli strumenti di social networking. L’effetto finale è un’opera pensata non soltanto per essere funzionale o esteticamente appagante, ma per essere vissuta, utilizzata, partecipata dalle persone che ci vivono, ci lavorano o ci passano parte del proprio tempo libero. Il tutto avviene secondo un percorso articolato, in cui il committente e i potenziali utenti vengono interrogati a fondo rispetto alle proprie esigenze, con una formula che permette loro di esprimere desideri, volontà e punti di vista, senza costrizioni o vincoli, così da mettere l’architetto nelle condizioni di mettere a frutto il proprio talento e di creare qualcosa di vivo e utile, fin dal primo giorno.”

 

Il senso della citazione è dato dalla necessità di ripensare – come suggeriva il libro citato in premessa di Antonio Calafati – la tradizione storica delle città nel nuovo contesto sociale del XXI secolo: attento a non sprecare risorse, rispettoso dei valori e dell’ambiente, interconnesso e quindi capace di valorizzare al massimo le risorse dell’intelligenza collettiva (a  tal proposito Luca De Biase, Nova, 23.9.2012, parla  “città smart progettata dai cittadini” sostenendo che “Internet e il digitale aggiungono velocità alle possibilità di riprogettazione della vita cittadina. E dunque consentono di immaginare forme di architettura adattiva di fronte alle enormi sollecitazioni del presente” .

Per sostenere questo nuovo mondo, c’è bisogno di una progettualità politica innovativa, credibile, condivisibile e vincente che sia in grado di intercettare molti di questi “mondi”, facendo emergere gli  aspetti problematici e  le soggettività in gioco, assumendo esplicitamente la regia di un dibattito e di un confronto  orientati verso un progetto comune.

In una dimensione allargata e aperta, non chiusa sul localismo. Il governo della città, unitamente al territorio in cui essa è insediata, deve costituire una cerniera tra l’organizzazione della vita sociale territoriale, economica e culturale della realtà amministrativa con cui si identifica (nella quale devono trovare spazio di espressione e valorizzazione le forze più vitali della comunità locale), e il contesto nazionale e internazionale con il quale è sollecitato ad interagire, creando scambi fruttuosi per le idee, i progetti, le iniziative, le risorse.

Una delle chiavi determinanti per il successo di un progetto politico che si pone al servizio dei cittadini è la qualità del sistema relazionale, ossia il coinvolgimento di persone, gruppi sociali e gruppi d’interesse. Per qualità del sistema relazionale si intende la capacità di far sentire i soggetti coinvolti parte del progetto, protagonisti attivi.

Un ruolo sempre più centrale viene svolto in questo processo dalle tecnologie di rete. L’attuale utilizzo delle tecnologie di rete nella promozione di processi partecipativi ha messo però in evidenza alcuni aspetti a cui è necessario dedicare una certa attenzione:

  1. la produzione dei contenuti, che deve superare la precarietà della risposta immediata e deve essere in grado di raggiungere un certo livello di profondità e di coerenza rispetto agli obiettivi del progetto;
  2. la governance delle relazioni, che deve trovare un giusto equilibrio, nella chiarezza delle regole e nella trasparenza per la loro applicazione, tra possibilità di esprimere liberamente opinioni diverse, rispetto degli altri e coerenza con il progetto comune.
  3. La motivazione, le persone che sono coinvolte in un progetto lo devono sentire come proprio; è necessario che venga favorito lo sviluppo di un ambiente empatico.

 

Proposta progettuale

La proposta di azione proattiva, per coinvolgere in un progetto comune le risorse personali, sociali, economiche e intellettuali della città poggia su due obiettivi di comunicazione integrata:

 

1.       Primo obiettivo è la creazione di un laboratorio progettuale che rappresenti il punto di riferimento per la produzione di contenuti, ossia la produzione delle proposte programmatiche elaborate dai gruppi che sostengono il progetto ma che, attraverso la forma del laboratorio aperto, possano essere condivise da tutti coloro che lo sostengono. Il laboratorio sarà condotto secondo alcune precise  linee guida.

2.       Secondo obiettivo è la creazione di un sistema di rete, all’interno del quale possono crearsi aggregazioni di persone, scambi di idee e di proposte, iniziative, ecc. Anche al sistema di rete è necessario applicare le attenzioni circa la qualità del sistema relazionale indicate ai punti 1,2,3 più sopra. Pertanto il sistema di rete si muoverà in modo agile, senza l’impiego di tecnologie complesse che richiedono apprendimento e la sua organizzazione sarà affidata alle linee operative definite e concordate dal gruppo promotore dell’iniziativa.

 


 

[1] Per un’informazione, parziale ma significativa sui temi della pianificazione del territorio padovano rinviamo a:

–          Progetto PianiOnLine – Il portale della Pianificazione territoriale ed urbanistica di Padova, vedi in www.pianionline.it

–          Progetto Demotopia – Laboratorio per la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche, vedi in www.demotopia.net

–          Progetti dei Comuni di Venezia e Vicenza  progettazione urbana aumentata – E tu cosa ci vedi, vedi in www.etucosacivedi.it

–          Esperienze di Ecosistema Urbano, piattaforma web per la cittadinanza attiva, vedi in www.ecosistemaurbano.com

–          L’esperienza  SENSEable City Lab  di Carlo Ratti

–          La cittadinanza digitale – Nuove opportunità tra diritti e doveri di Gianluigi Cogo: un libro che parla ddi eDemocracy e di eGovernment,  illustrando le esperienze che ci sono state fino ad ora e indicando un nuovo modello, fino a scendere fin quasi nella pratica quotidiana, cosciente che un modello sda solo non basta, se non ci sono persone e strumenti in grado di tradurlo in realtà.

 

UMANESIMO DIGITALE

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UMANESIMO DIGITALE.
La lunga intervista di Roberto Casaleggio pubblicata nell’inserto LA LETTURA del Corriere (23 giugno)e’ meritoria e significativa perche’ ci aiuta a dipanare la matassa politica di M5S, un movimento che la leadership di Grillo tende a far apparire nella sua funzione “devastante” per il sistema politico-istituzionale. Le analisi e la progettualità esposte dal co-fondatore ce ne danno invece una fotografia piu’ accattivante con argomentazioni “scolastiche” che da un lato ci fanno apparire i grillini come una risorsa positiva per il rinnovamento del Paese, ma dall’altro ci rendono anche più evidenti i problemi ed i dilemmi che stanno affrontando (considerati prevedibili da Casaleggio). Si tratta pero’ di questioni cruciali la cui rilevanza coinvolge tutti, non solo i “cittadini” di M5S: quando si cita Negroponte e si ipotizza il superamento della democrazia rappresentativa attraverso il web, non si appalesa quel futuro visionario riprodotto nei video della Casaleggio & Associati, bensì il disegno di un presente evanescente in cui internet costituisce il driver per la despazializzazione dei processi partecipativi con la conseguenza di accentuare l’anoressia delle relazioni sociali ed il deperimento della co-responsabilità comunitaria che deve crescere nel territorio, rafforzando il confronto offline…
Condividiamo con Casaleggio “l’indignazione per lo stato del Paese e la convinzione che un cambiamento (e’) possibile grazie alla Rete”, ma lavoriamo per la Demotopia di un nuovo umanesimo digitale, non la distopia di Gaia