ARCA PARNER TECNICO DI “LEGNO&EDILIZIA” – 19-22 FEBBRAIO A VERONA FIERE

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ARCA PARNER TECNICO DI “LEGNO&EDILIZIA” – 19-22 FEBBRAIO A VERONA FIERE

Habitech ti aspetta dal 19 al 22 febbraio con uno stand all’interno dello Spazio Trentino

L’edilizia italiana in legno non conosce crisi: + 6% di volumi residenziali nel mercato abitativo del nuovo negli ultimi cinque anni, + 50% di edifici in legno dal 2010 al 2015, con l’obiettivo di arrivare a 7.500 costruzioni entro il prossimo dicembre. Ed il piano governativo per l’edilizia scolastica stanzia fino a 1 miliardo di euro per interventi di ristrutturazione e manutenzione scegliendo il legno come materiale “principe” per sicurezza, comfort e salubrità. Con questi presupposti si apre la IX edizione di “Legno&Edilizia”, la mostra internazionale sull’impiego del legno nell’edilizia in programma dal 19 al 22 febbraio presso il quartiere fieristico di Verona. ARCA, primo sistema di certificazione in Italia per le costruzioni in legno, è partner tecnico di Legno&Edilizia e sarà presente con l’”Arena ARCA”, seminari, laboratori con dimostrazioni dal vivo e tanto altro ancora. Della “squadra” trentina dell’edilizia sostenibile presente a Verona fanno parte Trentino Sviluppo, Distretto Habitech, Green Building Council Italia, CNR-Ivalsa, Università degli Studi di Trento, ESCO Primiero, Distretto del Porfido e delle Pietre Trentine, CFP ENAIP di Tione.

Il mercato dell’edilizia in legno è in continua crescita nonostante il momento non positivo dell’intero comparto. Stime del Politecnico di Milano prevedono che nel 2015 il 15% degli edifici verranno realizzati in legno. Quello del legno è il segmento più appetibile e quello con maggiori opportunità di crescita: riflettori puntati quindi sulla nona edizione di Legno&Edilizia, la biennale internazionale di riferimento per il legno da costruzione, in programma alla Fiera di Verona dal 19 al 22 febbraio prossimi.

Piemmeti, la società di Veronafiere che organizza Legno&Edilizia, ha stretto un accordo strategico che attribuisce ad ARCA la qualifica di “Partner Tecnico”, ossia l’incarico di coordinamento del programma convegnistico della manifestazione, che vedrà coinvolti anche gli ordini professionali (ingegneri, architetti, periti, geometri) di Verona e del Veneto.

Habitech sarà presente con uno stand all’interno di Spazio Trentino, dove porterà le esperienze e le proposte per la gestione sostenibile di patrimoni immobiliari come scuole e social housing.

Una quattro giorni ricca di eventi, convegni, seminari, nonché i laboratori con le dimostrazioni dal vivo, in collaborazione con il centro di formazione specialistico del CFP ENAIP di Tione di Trento, la prima scuola in Italia dedicata alla figura del carpentiere.

Situata nel Padiglione 11, l’Area Trentina a Legno&Edilizia unisce elementi architettonici in legno, legati al marchio di Qualità Trentina, alle vivaci personalizzazioni degli stand delle aziende, in uno spazio complessivo di circa 2 mila metri quadrati. Oltre 30 le imprese trentine presenti: costruttori di edifici in legno, realizzatori di software specifici per il calcolo del legno, fabbricanti di serramenti di alta qualità, produttori di legname e di macchine utensili specifiche per la lavorazione del legno.

Nell’area istituzionale ARCA saranno presenti importanti realtà della ricerca ed innovazione come CNR-IVALSA e l’Università degli Studi di Trento con il Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Meccanica.

L’Arena ARCA rappresenta un punto di riferimento per chiunque voglia approfondire i vari aspetti connessi ai vantaggi del costruire in legno. Il ricchissimo calendario, consultabile nel dettaglio all’indirizzo www.legnoeedilizia.com, si pone come obiettivo quello di approfondire importanti tematiche tecnico-scientifiche di grande attualità ma anche di permettere a tutti di farsi un’idea.

Accanto all’Arena incontri ARCA è allestita una stanza tematica di 200 metri quadrati, denominata “L’esperienza del legno”, che propone un articolato percorso multisensoriale. Tra i temi rappresentati l’antisismicità, la sostenibilità, il risparmio (grazie a modellini e video lo spettatore comprenderà in maniera semplice come la costruzione in legno lo fa risparmiare) e la durabilità (in collaborazione con CNR Ivalsa e il MUSE).

“Il legno in pillole” sono invece brevi incontri (30 minuti ciascuno) con taglio divulgativo che si svolgeranno nell’arco dell’intera giornata e comprendono sia i seminari, che si svolgono nell’Arena incontri ARCA, sia i laboratori con dimostrazioni pratiche che si svolgeranno nell’ Area dimostrativa ARCA. Suddivisi in diverse tematiche – dalle strutture all’efficienza dell’involucro e durabilità, dalla sostenibilità alla valorizzazione della filiera – prevedono sempre uno spazio dedicato alle opportunità concrete di mercato.

Non mancano poi i momenti di approfondimento previsti nell’Area Convegni con contenuti di assoluta attualità quali Building Information Modelling (BIM), la Life Cycle Assessment (LCA) e la gestione e certificazione della salubrità dell’aria interna. Saranno trattate anche le opportunità di mercato del costruire in legno ed un convegno dedicato alle risposte alle domande giunte attraverso il sito legnoeedilizia.com fornite dagli esperti ARCA.

Continua inoltre la collaborazione con la scuola professionale iniziata nelle precedenti edizioni di Legno&Edilizia. Lo stand della scuola CFP ENAIP di Tione di Trento sarà un laboratorio tecnico pratico nel quale gli studenti eseguiranno veri e propri montaggi di serramenti, parti di sistemi parete e tetti. Verrà inoltre eseguito il montaggio della riproduzione in scala 1:2 di una chiesetta in Blockbau risalente al 1914, realizzata dai Russi ed oggi situata sul Carè Alto (Trento), a 2.459 metri sul livello del mare.

 

www.legnoeedilizia.com

 

Cultura&Società – Editoria, è il Nordest l’isola felice

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Il Triveneto è ancora l’area dove si legge di più. Lo testimoniano i dati dell’ultimo rapporto Aie, nonostante la chiusura delle librerie e il passaggio al digitale. Perchè la filiera sta cambiando.

di Fabio Bozzato – CULT di VeneziePost – sabato 31 gennaio 2015

 

La fotografia di un Nordest allergico alla cultura è dura a morire. Tuttavia i segnali contrari ci sono eccome. A smentirla ci prova anche l’ultimo rapporto condotto dall’Associazione italiana editori (Aie) che rivela come le tre regioni vantino indici ben al di sopra della media almeno in fatto di letture. Infatti, se il 43% degli italiani ammette di aver letto in un anno almeno un volume, qui la percentuale sale al 50,6% tra i veneti e i friulani e al 56,4% in Trentino Alto Adige. Anche chi si destreggia fino a tre libri all’anno tiene i valori sopra la media nazionale, oscillando tra il 44% nelle province autonome e ben il 49,5% in Veneto. «Sono dati che non mi sorprendono – dice Alberto Galla, il vicentino diventato presidente dell’Associazione librai indipendenti – Primo perché dove è più alto il livello di vita e di Pil registriamo sempre più alti livelli di lettori. E poi perché conosco bene quanto sia ricco il tessuto culturale e in particolare di librerie indipendenti in tutto il contesto nordestino». La ricerca è stata presentata in questi giorni nel corso della prestigiosa Scuola per librai Umberto e Elisabetta Mauri, promossa dall’omonima fondazione e da Messaggerie Italiane. Il tradizionale appuntamento di perfezionamento per addetti al settore, giunto alla 32ma edizione, si è tenuto come sempre alla Fondazione Cini di Venezia, nell’isola di San Giorgio. Trenta librai-studenti hanno seguito una tre giorni, impegnandosi a discutere sulla situazione del mercato editoriale e sulle nuove frontiere della merce-libro. Una maratona aperta dalla scrittrice Jhumpa Lahiri e conclusa con alcuni tra i più importanti librai europei, dall’Inghilterra alla Spagna, da Bordeaux a Francoforte. Se il Nordest sembra un’isola felice, in tutto il Paese si registra una flessione di ben il 6,1% del bacino di lettori. Si calcola che dal 2010 si siano persi 2,6 milioni di italiani con un libro davanti. E questo sembra ancora un problema strutturale: «Abbiamo un’editoria ricchissima con un mercato povero – sintetizza Achille Mauri, presidente di Messaggerie Italiane e patròn della Scuola alla Cini – Abbiamo anche librerie che non hanno niente da invidiare a quelle inglesi. Il problema è aumentare i lettori». Poi c’è la crisi economica, che ha bersagliato anche il mercato-libro. In cifre, nel 2013, il solo fatturato registra un 6,8% in meno. Tutti gli indicatori sono in calo: dal numero di titoli pubblicati (-4,1%) alle copie vendute (-2,3%), fino ai prezzi di copertina sia dei libri di carta (-5,1%) che degli ebook (-20,8%). Vale anche per il Nordest, tra luci e ombre. Tra il 2007 e il 2013 le case editrici nel solo Veneto passano dalle 178 alle 149, che comunque continuano a rappresentare un 7,5% del totale. Qui più che altrove, tuttavia, sono aumentati e di molto i titoli stampati: erano 2229 nel 2007, hanno continuato a calare fino al 2012 scendendo sotto quota 2000 per poi balzare nel nel 2013 a quasi 4600. Se si guarda allo scorcio di 2014 monitorato dall’Aie, lo scenario sembra confermarsi negativo. Secondo l’agenzia di marketing Nielsen si registra un -6,6% del valore di mercato (-33,7milioni di euro rispetto allo stesso periodo del 2013) e 3,7milioni di copie vendute in meno rispetto al primo semestre dell’anno prima. Quanto la crisi abbia invece rafforzato, a dispetto delle vendite, i prestiti nelle biblioteche, il book-crossing o il book-sharing non si sa «e sarebbe interessante incrociare anche questi dati», ammette Galla. Di sicuro, a dare ossigeno al settore sembrano invece due versanti. Un buon andamento dell’export sia di libri (+7,3%) che di diritti d’autore, sia il formato ebook (che vola con un +43% nel numero di titoli nel giro di un anno) e di tutto il comparto digitale, che ormai rappresenta l’8% del mercato. «Un settore in piena grande trasformazione», la definiscono i rapporteur dell’Aie, guidati da Gianni Peresson, che spiega come sia difficile fare previsioni anche sull’anno appena cominciato: «Molto dipenderà dalle politiche d’autore delle case editrici, dalla capacità di costruire fenomeni editoriali e di gestire i social network, oltre all’andamento della crisi». Achille Mauri, dal canto suo, non teme l’aggressività del digitale, né arriva a considerarlo nemico dell’oggetto-libro: «L’editoria può mettere in campo molti strumenti per cavalcare i cambiamenti», ha dichiarato durante la Scuola, facendo riferimento anche ad una prossima eventuale «editoria per smartphone». «Non è ancora chiaro se i lettori cosiddetti “forti” ci stiano tradendo per l’on-line o se integrano carta e digitale – osserva da parte sua Galla – Ma davvero tutta la filiera sta cambiando». Anche a Nordest? «Sì, assolutamente. Anzi qui si sta sperimentando davvero molto». Cita la recente apertura di Open a Mestre, il magazzino dello storico fornitore per uffici Testolini che ora è anche libreria e caffé-ristorante. «Sono veri e propri concept-store che scommettono sulla cultura e le nuove generazioni». Oppure le aggregazioni di marchi tra librerie come è successo a San Donà, Cittadella e Castelfranco. Per non parlare della sua stessa esperienza di joint-venture con Il Libraccio, puntando al mercato dei libri usati e di occasione. C’è chi lavora sullo spazio fisico e su una nuova offerta, dunque. E c’è anche chi scommette sull’alleanza col digitale. Proprio come ha fatto Messaggerie e Deutsche Bank,  col progetto “Tolino” lanciato proprio a Venezia, una sorta di eco-sistema che punta sull’e-book attraverso le reti di librerie indipendenti. «Alla fine il mestiere del libraio continua a esercitare il suo gran fascino», sorride Galla.

 

 

La nuova ideologia e la risposta necessaria

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La nuova ideologia e la risposta necessaria

 

di Carlo Bastasin  – Il Sole 24 Ore – mercoledì 28 gennaio

 

La vittoria di Syriza e la spregiudicata formazione della coalizione di governo con un partito di destra, cioè di opposta inclinazione politica, ha mostrato come il tradizionale spartiacque ideologico – destra e sinistra – non sia sufficiente a definire le dinamiche politiche in Europa. Nuovi spartiacque, tra euroscettici ed europeisti, tra protezione degli interessi nazionali e fiducia nell’integrazione sovranazionale, si stanno sovrapponendo alle categorie politiche tradizionali. Syriza (come Podemos in Spagna e altre formazioni) si autodefinisce una coalizione della sinistra radicale. Il fatto che la Lega o il Fronte Nazionale francese ne abbiano salutato la vittoria dimostra la necessità di nuovi quadri analitici. Qual è allora il collegamento tra il tema della disuguaglianza sociale e la scelta anti-europea? Una possibile spiegazione viene dall’esempio dei movimenti regionali secessionisti che replicano la dialettica tra centralismo e localismo dentro i confini dei singoli Stati. Le richieste di autonomia dagli Stati non derivano solo da distinzioni culturali ma anche da problemi di disuguaglianza di carattere economico: quasi tutte le regioni in cui sono forti le formazioni autonomiste sono distanti dalla media del reddito nazionale pro capite. Catalogna e regioni padane sono l’esempio convenzionale, ma lo stesso avviene tra le regioni fiamminghe e quelle valloni in Belgio. Anche il reddito pro capite della Scozia, dove il referendum secessionista è fallito per pochi punti percentuali, è superiore alla media del Regno Unito se si tiene conto dell’eccezione dell’area londinese. Il comportamento elettorale dei cittadini dei Laender tedeschi orientali, relativamente poveri, dove crescono i movimenti anti-europei, è molto diverso da quello del Sud ricco della Germania, anch’esso euro-critico, ma entrambi divergono da quello mediano ed europeista del resto del Paese.La divergenza delle condizioni economiche dà luogo a una divergenza tra le preferenze politiche dei cittadini sia nelle singole regioni sia nei singoli Paesi. Si tratta di distinzioni di reddito che si sono consolidate nel corso ormai di decenni. Ci sono cioè generazioni di elettori che sembrano non dare più per scontate le ragioni storiche dell’auto-determinazione nelle associazioni statuali se esse implicano squilibri permanenti nella redistribuzione fiscale. Quello che avviene a livello regionale trova un riflesso a livello europeo. Nei Paesi nei quali l’aggiustamento fiscale, a seguito della crisi e delle regole europee, è diventato più gravoso e nei Paesi il cui reddito pro capite è molto più alto o molto più basso della media europea, si sviluppa una vocazione a distinguersi o addirittura a dissociarsi dalla comunità degli altri Stati. Considerando il ruolo della redistribuzione fiscale come fattore di riequilibrio della diseguaglianza, si capisce per quale ragione si sovrappongano o si confondano le tradizionali divisioni ideologiche destra-sinistra e le nuove divisioni tra localismo ed europeismo. La risposta convenzionale è quella di rilanciare la crescita economica che come una marea dovrebbe risollevare tutte le barche e rendere meno sensibili le differenze relative di reddito. In questa chiave va valutata la politica economica prevalsa nell’euro area dopo la crisi: la ricetta della crescita è stata subordinata alla responsabilità di ogni Stato nel riformare le proprie strutture economiche e nel ridurre le conseguenze fiscali sugli altri Paesi. In sintesi si è puntato su riforme strutturali e disciplina di bilancio. Si tratta di una risposta difensiva, coerente con le priorità politiche nazionali, ma non coerente con l’interdipendenza economica della stessa euro area. I tentativi di rilancio comune dell’euro area sono stati inesistenti dal lato della politica fiscale – quello politicamente più esposto e riconoscibile per gli elettori – e sono stati quindi scaricati sulle spalle della Banca centrale europea dopo che l’assenza di politiche di crescita ha prodotto deflazione. L’emergere di forze politiche centrifughe, come la nuova coalizione di Atene o come il Fronte nazionale, non favorisce un maggiore coordinamento delle politiche attive europee. Anche se avesse successo nel dar voce al senso di ingiustizia lamentato dai propri elettori, l’isolamento dei Paesi finirebbe per aumentare le distanze dei redditi pro capite sul medio termine. La diseguaglianza tra le regioni europee si aggraverebbe e le preferenze dei cittadini europei finirebbero per divergere, come probabilmente si vedrà con i voti danese e finlandese dei prossimi mesi, opposti a quello greco. In questo quadro che coinvolge l’intera politica economica europea, il vero tema politico non è tanto la novità greca, quanto lo sviluppo della situazione politica tedesca. L’affermarsi di un partito alla destra della Cdu della cancelliera Merkel è un fattore sconvolgente per gli equilibri europei. Già oggi si vede la difficoltà di linea politica nel partito bavarese della Csu – sintesi delle tensioni regionali e di quelle europee – che si è riflessa in un vuoto di leadership. La stessa incertezza può toccare la cancelliera che vede i politici a lei più vicini prendere le distanze da una linea tesa finora a occupare il centro e la sinistra dello spettro politico tedesco, lasciando scoperto il fianco destro. C’è il pericolo che la Cdu sia tentata di ricoprirsi le spalle con politiche ancora più nazionali. Senza una narrazione europea che giustifichi politiche comuni di sviluppo, le disuguaglianze tra i Paesi aumenteranno e finiremo per confrontarci con un quadro politico inedito e regressivo .

 

La pancia del Leone. E la testa?

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Giunto al traguardo di un decennio della sua (ricca e poliedrica) esperienza di Consigliere regionale, Diego Bottacin, ha pensato bene di rendicontare il personale percorso di attività che, scorrendo le 157 pagine del suo libro, pubblicato da Marsilio, ci appare sorretta da una vivace volontà innovatrice e consegna alla valutazione del cittadino, estraneo al Palazzo FerroFini, un’interessante documentazione della complessità e   vischiosità di una Istituzione che sicuramente risulta “spiazzata” dalla profonda trasformazione del contesto socio-economico ed istituzionale in corso.

Il “ricettario di un eretico nell’epoca del cambiamento” è pensato e scritto come una sorta di controcanto alle politiche che i Governi di centrodestra, succedutisi nell’ultimo ventennio, hanno attuato in sostanziale continuità; leggendo la densa cronaca, aiutati da una prosa piacevole ed intervallata da punture di (condivisibile) amara ironia – però – vien da pensare al simpatico claim di una nota campagna pubblicitaria. Come al protagonista del video, all’autore si potrebbe obiettare: “ti piace vincere facile!”.

Il racconto, infatti, delle contraddizioni e malefatte della “compagnia di giro” di Galan da un lato, e della mediocre gestione Zaia, caratterizzata dallo stesso impianto di governance ed alleanze, dall’altro, risulta essere un’operazione di disvelamento dall’interno del Palazzo della “malagestio” (copyright di Massimo Malvestio ).

Peccato che la “scoperta” e la denuncia delle mostruose distorsioni sedimentatesi nella Politica regionale siano state già operate, dapprima da un giornalista coraggioso (Renzo Mazzaro) e successivamente dalla Magistratura, con lo scoperchia mento dell’autentico verminaio del Mose che ha rivelato – anche al grande pubblico – la realtà di “Venezia ladrona” e di una Regione asservita a ben identificabili interessi lobbistici.

Il Consigliere regionale Bottacin ci tiene a precisare le sue scelte politiche solitarie ed a stigmatizzare il sostanziale consociativismo tra maggioranza di governo regionale ed opposizione, che ha fatto da sfondo al malaffare perpetrato da parte di gruppi imprenditoriali che si sono ingrassati all’ombra della finanza pubblica veneta, la cui gestione deviata è stata mascherata dalle fumisterie sia della retorica falso-liberale di Galan che del rivendicazionismo venetista dei suoi alleati leghisti, aggiornato nell’ultimo lustro da un Governatore – Zaia – impegnato più nelle campagne di comunicazione che nella tessitura delle policies regionali.

Rilievi e considerazioni critiche sul (mancato) ruolo degli esponenti dell’opposizione in Consiglio Regionale restano naturalmente un argomento caldo e da approfondire, proprio in riferimento all’apertura in corso della discussione su programmi ed alleanze della prossima competizione elettorale; non casualmente la querelle interna al PD veneto coinvolge la leadership veneziana, irrimediabilmente e storicamente compromessa in molte vicende: dalla tangentopoli autostradale a quella più recente che ha visto protagonista (e vittima) l’ex sindaco Orsoni

In questa sede ci interessa focalizzare e segnalare le parti più pregnanti del libro, soprattutto quelle che configurano titoli e proposte di una piattaforma per una nuova agenda politica regionale.

Innanzitutto va apprezzata l’analisi puntigliosa e documentata che demistifica la falsa opinione sulla presunta buona gestione amministrativa “alla veneta”, evidenziando come è stato usato lo schermo del disastro burocratico amministrativo prodotto dal centralismo romano, per evitare di fare i conti con la frammentazione e le inefficienze di un modello organizzativo, imperniato sull’autoreferenzialità e sul localismo campanilista, che ne costituisce l’interfaccia controproducente.

Sotto questo profilo anche la Sanità – che pur presenta indicatori di qualità incoraggianti – non sfugge ad un esame lucido e tagliente, in particolare laddove si critica il “duopolio ospedaliero” padovano-veronese, connotato da una fuorviante competizione, foriera di sovrapposizioni e sprechi.

Sarebbe stato utile che l’autore (ottimo conoscitore della materia) si fosse soffermato maggiormente sull’invereconda pressione lobbistica esercitata, sui conti e le scelte della Sanità veneta, dal clan veronese che ha letteralmente occupato per molti anni l’Assessorato regionale con un proprio esponente; c’è da augurarsi che prima o poi la carriera “sanitaria” del Sindaco di Verona Tosi venga ricostruita rivelandone le azioni e gli effetti nefasti (in termini di costi e clientelismo) sulla programmazione socio-sanitaria regionale (ben più gravi della pur significativa scelta di collocare la moglie nella tolda di comando….).

Particolarmente interessanti e convincenti risultano poi le proposte legislative con cui Diego Bottacin testimonia il suo impegno di Consigliere: le elaborazioni a sostegno dei progetti sul Trasporto Locale e sulla riorganizzazione degli Enti Locali, sono ineccepibili; esse sono molto utili anche perché fanno emergere una questione cruciale: laddove – ripetutamente – si richiamano i ritardi, le colpe e le responsabilità della “classe dirigente”, in effetti, si fa un esercizio di retorica politica, ovvero si evoca un fantasma.

Il libro infatti non affronta il problema e purtroppo non fornisce risposte sulla questione della grande assente nella governance regionale: la cultura politica, intesa come volontà, sorretta da capacità, di incardinare su un soggetto politico forte e coeso uno schieramento programmatico, in grado cioè di interpretare e veicolare una progettualità , di indicare delle soluzioni praticabili alle domande sociali, di indicare sintesi, frutto di mediazioni efficaci.

La pubblicazione offre, però, elementi preziosi ed interessanti per avviare la riflessione e la discussione su tale nodo problematico, che attraversa attualmente l’intera rappresentanza politica in Consiglio Regionale.

Ne indico esemplificativamente tre:

  1. Il progetto (che recupera ed attualizza un’iniziativa ipotizzata qualche tempo fa) di una nuova legge elettorale regionale, che diventi l’asse strategico di una rigenerazione etico-civile del regionalismo federalista, in grado di innervare una funzione di sintesi istituzionale sia in chiave (interna) di efficace policy making per la ricomposizione comunitaria delle diverse identità territoriali, sia in funzione pressing (esterno), ovvero di partecipazione alla riorganizzazione dello Stato e della PA nazionali.

 

  1. L’approccio nordista: la vocazione del Veneto – non è esagerato affermarlo – è il cambiamento del Paese, a propria immagine; altrimenti la meridionalizzazione (neoclientelismo e rivendicazionismo sterile) in versione leghista diventerà una palla al piede nell’affrontare il necessario processo di europeizzazione e competizione globale che la nostra Regione deve affrontare.

 

  1. Le risorse finanziarie e le policies vanno concentrate sulla riduzione della pressione fiscale e sulla liberalizzazione guidata da una Politica in grado di valutarne ed orientarne gli effetti ed i benefici sulla cittadinanza e di sottrarre alla mediocre gestione politico-amministrativa municipalista beni e servizi pubblici importanti.

Il libro costituisce anche l’occasione per allargare ed approfondire l’analisi e la ricerca sulle issue esaminate; a partire dal’impianto proposto sarà quindi utile integrare  e – laddove necessario – correggere l’elenco di titoli e capitoli, annotando i rilevi  critici.

Penso in particolare alla realtà della pubblica amministrazione veneta che abbisogna prioritariamente non di una “dieta” (come suggerisce l’autore) bensì di una cura ricostituente nel senso di riorganizzazione gestionale, attraverso massicce dosi di innovazione digitale ed arricchimenti professionali-manageriali, precondizioni fondamentali anche per la riforma degli assetti istituzionali proposti: detta prosaicamente, l’obiettivo delle 50 città con l’attuale dotazione in risorse umane, è velleitario.

Aggiungo, a proposito di digitale, l’improcrastinabile esigenza di aggiornarne l’Agenda regionale, con la lettura degli effetti che il disordine e lo spontaneismo con cui essa è stata finora declinata in Veneto ha prodotto, sia rallentando il soprarichiamato processo di cambiamento della PA (e con essa ci riferiamo anche alla strategia di digitalizzazione della Sanità) che depotenziando la capacità competitiva delle imprese, in particolare quelle impegnate nello sforzo di internazionalizzazione.

Ed inoltre: l’analisi e le proposte per l’evoluzione del sistema veneto Scuola-Università-Ricerca vanno affrontate sottraendosi a semplificazioni e adottando criteri e standard valutativi rigorosi, attraverso la ricognizione delle risorse investite, delle buone e delle cattive pratiche didattiche, dei risultati e dei fallimenti (Vega, Galileo, Nanotech…), dei nuovi modelli di gestione e finanziamento.

Sul terreno più specifico dello sviluppo, poi, va ripensata e rivisitata criticamente la fenomenologia dell’imprenditoria tradizionale, arroccata nell’autodifesa praticata con l’ausilio di un associazionismo impreparato ad affrontare la crisi e spiazzato dalla rapidità del mutamento ; è necessario interpretare, coadiuvare e sostenere tutti i processi nei quali si concretizza un nuovo protagonismo imprenditoriale in grado di fare rete, condividere e rinnovare i modelli organizzativo-gestionali, scoprire e praticare l’open innovation, accettare la sfida tecnologica e della disruption che significa apertura delle aziende ai giovani portatori di creatività e nuove expertise professionali.

Ancora: le politiche di rigenerazione urbana e di riqualificazione territoriale, i programmi di riorientamento green dello sviluppo manifatturiero e di efficientamento   dei consumi energetici, il ripensamento dei modelli socioassistenziali a fronte di fenomeni epocali come l’invecchiamento e l’immigrazione, la conciliazione di accoglienza ed integrazione con l’insopprimibile bisogno di sicurezza…

Sono tutti temi che nel libro vengono declinati più o meno compiutamente; ciò che non ci convince, però, è che alla sua conclusione, si afferma che “Bisogna prendere atto del fallimento di una stagione e di una grande opportunità perduta”, ma non vengono indicati luoghi, strumenti, soggetti con i quali elaborare un progetto di cambiamento, dare stimoli e contenuti ed orientamento ad una nuova generazione che si candidi a diventare ed esercitare il ruolo di classe dirigente.

Il Veneto è già ricco di filosofi, politologi, sociologi che, parafrasando le parole di Mariano Maugeri (giornalista de Il Sole 24 Ore, ottimo conoscitore delle nostre terre) “dicono sempre le cose giuste al momento giusto senza metterle in pratica”.

Dagli esponenti politici che hanno calcato i banchi e le Commissioni del Consiglio Regionale, ci attendiamo un contributo di conoscenza e ideazione   che contenga una buona dose di concretezza e di realizzabilità, che costituisca la base per alimentare un capitale cognitivo da condividere, risorsa decisiva per ridare alle Istituzioni una guida rinnovata ed ai cittadini un ’iniezione di fiducia nel futuro.

Abbiamo già avuto modo di sottolineare (vedi in www.facebook.com/ilvenetochevogliamo) che nell’avvio della campagna elettorale sono vaghi i segnali di una volontà progettuale innovativa e che “riteniamo doveroso contribuire ad una discussione e riflessività diffusa attraverso il confronto e la focalizzazione dei temi e dilemmi al centro della competizione, in grado di orientare gli schieramenti sulle scelte programmatiche più idonee e condivise, per un nuovo rinascimento veneto”.

Ebbene, ci permettiamo di considerare quello di Diego Bottacin un “libro aperto”, un’occasione non solo per scavare nella pancia del Leone e indicare delle “ricette”, ma anche per innescare una partecipazione consapevole ampia, suscitare le energie di quell’intelligenza collettiva che finora è mancata nella costruzione di un soggetto politico unitario e coeso, all’altezza delle sfide enunciate con tanta passione.

 

Contrastiamo il neonazionalismo antieuropeo

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C’è del metodo nella follia del bauscia milanese che ha trovato nella battaglia suicida contro l’euro la ragione per far rinascere un movimento leghista sfasciato dalla corrutela della leadership (leggi famiglia Bossi e dintorni) e dall’inconcludenza di una strategia visionaria quanto dissipatrice di un autentico programma federalista. Tra un abbraccio alla nazionalfascista Le Pen e l’ammirata rincorsa all’autocrate Putin, continuando con il megafono a blaterare sui temi sociali della sofferenza e della sicurezza (che meriterebbero ben altra attenzione e consapevolezza), Matteo Salvini sta assumendo prepotentemente la funzione di utile idiota al servizio delle forze che puntano a destrutturare gli equilibri geopolitici del Continente europeo, esponendolo al rischio dell’irrilevanza proprio in una fase cruciale in cui è richiesta una funzione decisiva dell’Unione Europea, sia sul terreno della competizione economica globale che nel contrasto alla minaccia terroristica. Sulla figura e sul velleitarismo del giovane boss leghista ritorneremo, ma per inquadrarne il ruolo e gli obiettivi, suggerisco la lettura dell’articolo odierrno di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera.Le Pen Putin

La matita rossa di Junker

ANGELO PANEBIANCO – Corriere Della Sera – Lunedì 15 Dicembre 2014

È accaduto sovente che alla vigilia di grandi svolte storiche, e anche di tragedie, la scena fosse occupata da figure incolori, inadeguate, molto al di sotto dell’altezza e dello spessore, politico, morale, culturale, che sarebbero stati necessari per affrontare la tempesta in arrivo. Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker sembra una di quelle figure: oggi è un grigio burocrate (già politico di lungo corso la cui attività è risultata assai eccepibile) che bacchetta e ammonisce questo o quel Paese. Apparentemente, sta solo facendo il suo mestiere di presidente della Commissione. Agisce come se vivessimo in tempi normali. Solo che i nostri tempi non sono normali, è come se l’Europa stesse oggi danzando sull’orlo di un burrone. Dietro a Juncker, naturalmente, non c’è il vuoto, c’è la dirigenza politica tedesca, uomini e donne per lo più solidi (a casa loro) ma anch’essi, apparentemente, incapaci di affrontare la crisi europea. Tra i principali protagonisti del dramma solo il presidente della Bce Mario Draghi appare consapevole della sua gravità.

Ricordiamo agli immemori quale sia la reale situazione. La Gran Bretagna ha già un piede fuori dalla casa europea e l’insorgenza dell’Ukip, il partito antieuropeista, minaccia di modificare radicalmente fra pochi mesi, nelle elezioni parlamentari, la fisionomia del sistema partitico britannico, un sistema tradizionalmente ultrastabile che affronta forti cambiamenti solo una o due volte per secolo.


Se poi la Gran Bretagna, nel giro di un paio d’anni, sotto la pressione dell’Ukip, uscirà dall’Unione, l’impatto sarà fortissimo, il «rompete le righe» risuonerà in tutti i territori europei.

Ma ciò non basta. Quanto accade in Francia è ancor più grave. Con i socialisti ai minimi storici e la destra gollista incapace di intercettare l’insoddisfazione dei francesi, il pieno dei consensi, secondo tutti i sondaggi, lo farà, a meno di imprevisti, il partito ultranazionalista, il Fronte Nazionale di Marine Le Pen. E se fosse proprio lei, nel 2017, il prossimo presidente francese? Sarebbe la fine dell’Unione Europea come la conosciamo.

I segnali indicano un maremoto in arrivo. All’Unione servirebbe oggi una leadership carismatica. Altro che Juncker. Occorrerebbero, nelle posizioni di vertice, menti creative capaci di proporre innovazioni, allo scopo di cambiare il tanto che non va e che è all’origine dell’ostilità di settori crescenti dell’opinione pubblica europea.

Se l’Unione andrà in rovina — si dice abitualmente — sarà un guaio per tutti gli europei. Nel lungo periodo, probabilmente, è vero. La consapevolezza di ciò, in teoria, dovrebbe bastare a spingere anche i vincitori del momento, i tedeschi, a rifare qualche conto. Basterebbe da parte loro un po’ di «egoismo illuminato», un egoismo che sappia guardare al di là del breve periodo, per convincerli della necessità di non assistere passivamente alla possibile rovina della casa comune. Ma sappiamo anche che l’egoismo tout court , di breve periodo, la vince di solito sull’egoismo illuminato. Né, naturalmente, si può gettare la croce solo sui tedeschi.

Nel lungo periodo, effettivamente, la crisi dell’Unione sarebbe probabilmente pagata da tutti gli europei. Nel breve termine, però, le cose andrebbero diversamente. Non ne risentirebbe più di tanto la Gran Bretagna. La Francia, forse, pagherebbe un conto economico salato, ma la Francia è anche un vero Stato-nazione, con istituzioni solide, in grado di resistere alla bufera. Anche la Germania pagherebbe un prezzo elevato, ma nemmeno le sue istituzioni correrebbero rischi immediati.

La situazione sarebbe assai diversa in altri Paesi, Italia in testa. È proprio perché l’Italia non è un vero Stato-nazione che, per decenni, ha investito simbolicamente, molto più degli altri Stati, nell’integrazione europea. Se l’integrazione verrà meno, l’Italia si troverà immediatamente ad affrontare i propri fantasmi, a fare i conti con la propria fragilità istituzionale.

Come tenere insieme i pezzi? Il problema non tocca naturalmente gli sfasciacarrozze, i vari movimenti antieuro, né in Italia né altrove. Riguarda o dovrebbe riguardare tutti gli altri.

Ha creato scandalo la notizia secondo cui la Russia finanzia massicciamente il Fronte Nazionale della Le Pen, ha rapporti con i leghisti italiani (che simpatizzano con Putin) e forse anche con altri movimenti antieuro. Ma non c’è da scandalizzarsi: sono le normali regole della competizione geopolitica.

C’è un rapporto inversamente proporzionale fra l’arroganza militare della Russia e la sua fragilità socio-economica. Gigante dai piedi d’argilla, la Russia ha bisogno che i suoi interlocutori in Europa siano ancor più deboli di lei. Per questo soffia sul fuoco, dà una mano ai movimenti antieuropei. In fondo, avrebbe solo da guadagnare da una irreversibile crisi dell’Unione. Un’Europa ulteriormente indebolita e divisa sarebbe, per i russi, un interlocutore malleabile.

Del resto, già oggi circolano, nei vari Paesi europei, forti correnti di simpatia per Putin. In un’Europa a pezzi diventerebbero ancora più forti le voci di coloro che chiedono rapporti sempre più stretti con la Russia.

Basta guardare una carta geografica e constatare la sproporzione territoriale fra la Russia e il resto degli Stati europei (a favore della prima) per comprendere quale, fra le rispettive tradizioni, finirebbe per prevalere sul Continente. Difficilmente, nel lungo periodo, la tradizione liberale dell’Europa occidentale potrebbe cavarsela di fronte alla concorrenza dell’autoritarismo russo.

La lezione europeista di Antonella (per gli asini alla Salvini)

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Quella pubblicata sul giornale online Venetovox  (www.vvox.it) di sabato 6 u.s. al Direttore dell’ALDA  _ Association of Local Democracy Agencies – Antonella Valmorbida, è un’intervista magnifica, da non perdere; per questa ragione segnalo in calce il link all’intero testo di cui suggerisco la lettura. Ammetto che sono avvantaggiato nel commentarla e partigiano nel sostenerne la divulgazione: conosco l’instancabile e preziosa opera di Antonella e dell’ALDA, una sorta di frenetico apostolato per divulgare e consolidare la pratica della cittadinanza attiva nelle terre d’Europa, in particolare nella parte orientale del Continente di più recente accesso all’UE ed avvio del processo di democratizzazione e sviluppo, con l’accompagnamento delle comunità locali all’emancipazione sociale ed economica attraverso le buone pratiche amministrative. Nel  colloquio ottimamente condotto da Stefano Allione,  emerge (e riscontro ammirato) la lucidità di un’analisi e di una visione aggiornata di un europeismo i cui fondamenti valoriali vanno ben oltre il vincolo monetario  e costituiscono la leva  che  hanno consentito (in particolare ad un Paese fragile come il nostro) di non farci travolgere dalla  globalizzazione. La qualità delle domande e l’acutezza delle risposte ci  restituiscono la consapevolezza e la profondità delle sfide con le quali l’Italia e l’Europa intera debbono fare i conti,  e rappresentano una lezione che andrebbe (obbligatoriamente) somministrata agli asini populisti come Salvini. Quanto vorremmo sentir riecheggiare  i contenuti dell’intervista in qualche talk show dove ci si attarda in bolse discussioni sull’euro e non si avverte la gravità dei pericoli che incombono sul futuro, a cominciare dai rischi dello scenario internazionale, laddove il Direttore dell’ALDA ammonisce che “’Unione Europea dovrebbe essere più protagonista ed essere più rapida nella risposta. Quella (per es., ndr) in Ucraina è un’emergenza grave e l’Europa non lo ha percepito abbastanza”. Fortuna, vien da dire – insieme con Antonella – che alla Politica Estera UE c’è la Mogherini “non tanto perché sia italiana, perché sia giovane o perché sia donna, che non ha molta rilevanza ma perché è un’europeista e una federalista convinta. In più ha molta energia e lavora molto, a livello di ore effettive. Estrapolo quest’ultima affermazione perché mi consente di sottolineare che, al di là del giudizio dissimulatorio, vi si legge una sintonizzazione sul sentimento di un autentico europeismo nel quale ci identifichiamo pienamente.

http://vvox.it/2014/12/06/lalda-europa-ideale-mente-vicentina/?utm_source=Newsletter+Vvox&utm_campaign=33a798bec2-newsletter_sabato&utm_medium=email&utm_term=0_e1016a8d37-33a798bec2-208926521Antonella

Rinascimento Veneto: rigenerazione etico-sociale (ed urbana-ambientale)

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Si tratta di una coincidenza del tutto fortuita, ma anche fortunata e densa di implicazioni operative: a 48 dal workshop realizzato da RIATTIWA all’ANCE di Padova, che titolava “Ricostruire sul costruito”, ecco l’annuncio della costituzione di un coordinamento regionale di diciotto associazioni che dichiarano la ferma volontà di sostenere una strategia per le rigenerazione urbana. Si tratta di un evento storico con molte implicazioni che esamineremo dettagliatamente. Per le prime considerazioni rinvio alla presentazione del progetto RIATTIWA in PP, al seguente link:

 http://www.slideshare.net/dinobertocco1/riattiware

Veneto, nasce il patto per la rigenerazione urbana

 VeneziePost – Attualità – venerdì 28 novembre 2014

 Limitare la corsa al consumo di suolo, aumentare inclusione sociale e sostenibilità, generare processi economici virtuosi legati alla rigenerazione della città. Con queste finalità si è costituito il “Patto per un programma regionale di strategie e politiche di Rigenerazione urbana sostenibile”, un tavolo di lavoro e di discussione costituito spontaneamente da 18 soggetti istituzionali: categorie economiche, ordini professionali, costruttori, ambientalisti e sindacati. Il “Patto” si propone di diventare interlocutore della Regione Veneto e dei Comuni su un programma organico di riforma delle politiche di governo del territorio, tenendo in maggiore considerazione gli aspetti ambientali, di coesione sociale, di competitività del territorio veneto. I promotori sono: Ance Veneto, Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, Federazione Ordini Architetti del Veneto, Federazione Ordine degli Ingegneri del Veneto, Federazione Ordini Dottori Agronomi del Veneto, Feneal Uil, Fillea Cigl, Filca Cisl, Istituto Nazionale di Bioarchitettura, Istituto Nazionale di Urbanistica, Legambiente, Ordine Geologi del Veneto, Ordine Psicologi Consiglio Regionale Veneto, Unioncamere Veneto, Università degli Studi di Padova, Università Iuav di Venezia, Consorzio di Bonifica Bacchiglione, Gruppi di AzioneLocale(GAL)delVeneto. «La città – sostengono unitariamente gli aderenti – è il luogo privilegiato per vivere, lavorare, divertirsi e conseguentemente investire. A differenza di ferrovie e autostrade, ogni euro di denaro pubblico investito nella città ne attrae quattro dal mercato privato». La presentazione pubblica del nuovo coordinamento avverrà mercoledì 3 dicembre nel corso di un convegno che si svolgerà a partire dalle 9,30 nell’aula magna Galileo Galilei dell’UniversitàdiPadova. AppelloallaRegioneVeneto

Il “Patto” chiederà alla Regione Veneto di svolgere, di concerto con le altre regioni, un ruolo attivo nella Conferenza Stato-Regioni affinché il governo provveda quanto prima all’approvazione di una organica legge di programmazione finalizzata a superare l’attuale impianto frammentario e settoriale delle politiche urbane. La Regione, dal canto suo, è chiamata a supportare i propositi di riforma anche con una legge regionale di indirizzo. Leproposte

Tra le soluzioni individuate dal coordinamento anche la costituzione di un Comitato Interministeriale per le politiche urbane, cabina di regia in grado di tradurre in provvedimenti operativi i programmi pluriennali e le linee di indirizzo di volta in volta definite. Il comitato potrà essere affiancato da un’Agenzia Nazionale per la Rigenerazione Urbana Sostenibile per la selezione a livello nazionale e regionale dei siti in cui intervenire. Essenziale sarà poi la definizione di nuovi strumenti finanziari in grado di attirare gli investimenti privati (fondo di rotazione, raccolte obbligazionarie di scopo, fondo di solidarietà per la realizzazione di alloggi sociali, forme di micro-credito) e un chiaro indirizzo nell’impiego dei fondi strutturali europei verso politiche di riqualificazione urbana. La programmazione dei fondi europei e nazionali per il periodo 2014-2020 rappresenta, infatti, una straordinaria occasione per rilanciare le politiche urbane. Per usare bene i fondi è però indispensabile definire una strategia nazionale sulle città, in grado di sostenere un salto di qualità verso le più innovative esperienze europee in materia.

Rosy Bindi: dall’Ulivo al Salice piangente

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SalicebNon solo frustrati, ma anche rancorosi: alcuni esponenti del PD che non si rassegnano al nuovo corso renziano e, di fronte alle inevitabili resistenze che il processo riformatore incontra, piuttosto che contribuire ad arricchirlo e rafforzarlo, si dedicano a congetturare trabocchetti sul percorso parlamentare e tramare rivincite nella gestione interna del partito. Si dedicano cioè a coltivare, come scrive oggi sul Corriere della Sera E. Gali Della Loggia, la “vocazione minoritaria e nullista” della vecchia sinistra. L’aspetto più urticante delle loro iniziative è che, partendo dalla presunzione di essere ispirati eticamente e di tutelare i superiori interessi del Paese, si candidano in realtà a diventare il comodo paravento di persistenti e diffuse istanze corporative da un lato ed a giustificare la loro inconsistenza programmatica con un richiamo strumentale alle manifestazioni di disagio sociale. Il loro obiettivo è stato “rivelato” ieri da Rosy Bindi: ripristinare il coacervo ulivista per rifondare una “nuova sinistra riformista e plurale, ma sinistra”, aggiungendo che “allora, servirà oltre alle idee, la classe dirigente” (ma, perché allora e non subito?). Nel caso della vestale della purezza ideologico-morale, così come in quella del suo sodale in ricerca di rivincite, Massimo D’Alema, si potrebbe ricorrere – pensosamente e rispettosamente – ad argomentazioni robuste, per contestarne le reiterate op-posizioni alla strategia renziana, ma mi ostino a sottolinearne la matrice anagrafica. Ci troviamo in presenza di sessantenni di lungo corso che invece di meditare sui limiti e sulle contraddizioni della loro, peraltro ricca ed intensa, carriera politica e collaborare, seppur criticamente, ad irrobustire il processo di rinnovamento, si intestardiscono a progettare una rivincita sui quarantenni che hanno legittimamente deciso di accelerarne la corsa. Più che un possibile ritorno all’Ulivo, tutto ciò fa pensare alla triste immagine del Salice piangente.

 

Diseducazione sindacale

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L’ultima sparata –  sull’onestà –  dell’esagitato Landini,  non suona solo come una gratuita offesa nei confronti degli elettori e cittadini (non pochi per la verità) che ripongono nel Presidente del Consiglio la comprensibile speranza  che prosegua in una (più) efficace azione di governo  e rinnovamento politico-istituzionale, bensì come la conferma di un inarrestabile declino nella qualità della rappresentanza sindacale. Non mi soffermo sull’ evidente superficialità di analisi e idee,  mascherata dal volume dei decibel o  sulla strumentalità di mobilitazioni  che hanno una prevalente connotazione politico-partitica. Mi  sconcerta è  l’uso dello sciopero non finalizzato al sostegno di rivendicazioni e proposte programmatiche ragionevoli e praticabili: ciò è conseguenza della diseducazione del leader della FIOM, che appare impreparato a maneggiare correttamente  principi  e metodo della  contrattazione.  Egli risulta piuttosto (spero di sbagliarmi) ingolosito dalla visibilità ottenuta con le affermazioni  gridate  e più avvezzo alla chiacchiera inconcludente  dei talk show,  piuttosto che orientato – come sarebbe richiesto ad un dirigente di scuola cgiellina –  alla riflessività ed all’approfondimento,  alla determinazione certo, ma accompagnata dal  confronto e dalla disponibilità alla mediazione con i partner sindacali, innanzitutto, e  con gli interlocutori negoziali. Sprecare scioperi e bruciare le retribuzioni dei lavoratori  per rivendicazioni non meditate è un segnale di impreparazione ed avventurismo che danneggiano innanzitutto la credibilità di un movimento sindacale confederale che – in un contesto di crisi sociale ed economica –  è chiamato ad essere agente di cambiamento e non agitatore populista, a discernere tra la difesa dei più deboli (leggi giovani, poveri e disoccupati) e non confondersi con la propaganda di  demagoghi  e disfattisti (leggi Grillo e  Salvini) impegnati ad inseguire un consenso elettorale a tutti i costi.

#venetochevogliamo

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venetochevogliamo

Non affidiamoci ai giocolieri della comunicazione

L’appuntamento delle elezioni  regionali 2015 costituisce l’occasione per  una nuova narrazione della Regione che amiamo, ma non fino al punto da non riconoscere che la subcultura dell’autosufficienza venetista ne  ha provocato il declino morale,  la degenerazione affaristica e l’impoverimento dell’attività legislativa. Si tratta di veri e propri “bachi” della struttura democratica che – ora – debbono costituire il focus del confronto elettorale tra tutti i protagonisti della  competizione. E’ auspicabile che in essa si manifesti  la  consapevolezza che al Veneto è richiesta una rigenerazione etico-civile ed una discontinuità nella gestione politico-istituzionale. Presupposto culturale decisivo è l’adozione di un linguaggio rispettoso dei valori storico-culturali. I  veneti infatti,  coltivano una  memoria profonda nella quale trovano posto  sia l’identità unitaria del  Paese  che l’autentica vocazione regionalista.  L’indomita energia che nell’ultimo mezzo secolo  ha consentito loro una piena emancipazione sociale ed economica,  deve essere investita e finalizzata anche per ristrutturare, efficientare e moralizzare gli apparati che ingombrano le funzioni dello stato e ne accentuano le devianze centralistiche e  burocratico-amministrative. Un tale approccio non è certo garantito dalle fragili organizzazioni partitiche e/o da un ceto politico veneto che in grande parte ha manifestato un atteggiamento da  “servitù volontaria”,  nell’ambito della corte dell’ex “doge” ignominiosamente decaduto. Anche nell’avvio della campagna elettorale sonno vaghi i segnali di una  volontà progettuale innovativa. Riteniamo pertanto doveroso contribuire ad una discussione e riflessività diffusa attraverso il confronto e la focalizzazione dei temi  e dilemmi al centro della competizione, in grado di orientare gli schieramenti sulle scelte programmatiche più idonee e condivise,  per un nuovo rinascimento veneto. Ed a tal fine sottoponiamo al confronto un contributo nella forma di un “decalogo”  di questioni  dirimenti per le policies regionali.

  1. La cittadinanza attiva e la partecipazione informata sono la leva decisiva per il rinnovamento e l’efficacia della governance e dei processi decisionali  a tutti i livelli
  2. L’innovazione digitale costituisce il fattore che va messo al centro dell’agenda politico-amministrativa e delle scelte per la competitività dell’intero sistema economico regionale
  3. Il riordino istituzionale, a partire dal superamento dell’attuale Senato, comporta per il Veneto la reingegnerizzazione dell’apparato pubblico attraverso l’integrazione dei servizi e della pletora delle utilities; un passaggio cruciale è il riordino della tecnostruttura regionale per superarne l’autoreferenzialità e renderla più accessibile ai cittadini e collaborativa con gli altri livelli politico-amministrativi
  4. L’orizzonte strategico dello sviluppo e della competitività è green, attraverso il superamento del vecchio modello manifatturiero e delle tecnologie energivore
  5. Il tessuto urbano delle città ed il territorio industrializzato debbono essere sottoposti ad un’opera di rigenerazione e rivitalizzazione nel segno della tutela, sostenibilità e riorientamento delle funzioni
  6. Il sistema socio-sanitario e le reti di protezione sociale vanno ripensati, riorganizzati, rifinanziati avendo presenti: il mutamento demografico e della scala dei bisogni, la struttura dei redditi e della necessaria compartecipazione equa ai costi di gestione, l’aggiornamento dei modelli culturali ed organizzativi della sussidiarietà
  7. La cultura dell’accoglienza e dell’integrazione si debbono tradurre in strutture e strategie solide, in grado di affrontare le emergenze e trasformarle in opportunità
  8. Nel contesto di disordine internazionale ed irrequietezza sociale conseguenti, vanno adottate specifiche misure di sicurezza caratterizzate da fermezza e severità nel prevenire e colpire duramente ogni forma di aggressione alla pacifica convivenza: ciò a partire dall’avvio di una vera integrazione operativa delle molteplici forze di polizia (compresa quella locale)
  9. L’identità veneta costituisce una risorsa di generosità, operosità, imprenditorialità, solidarietà ed innovazione sociale che va difesa ed alimentata attraverso investimenti strategico-prioritari (con il concorso dei privati) su innovazione didattica, ricerca e processi di internazionalizzazione
  10. L’autonomia del Veneto va declinata attraverso la pratica di un Regionalismo efficiente e  combattivo in grado di  imporre nell’agenda politica nazionale,  da un lato  le scelte del risanamento morale e finanziario, e dall’altro   il rinnovamento culturale  necessario  per promuovere e difendere le ragioni del nostro Paese nell’ambito europeo e della competizione globale.

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