Gli scrittori italiani hanno un problema con la politica?

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Carrère su Macron, Wallace su McCain, perché il ritratto politico è un genere che in Italia non ha nessuna fortuna.

Di Cristiano de MajoStudio – Attualità Cultura Stili di vita

Alla fine della settimana scorsa, il Guardian ha pubblicato un lungo reportage di Emmanuel Carrère, che forse alcuni di voi avranno letto. Il giornale inglese ha commissionato allo scrittore francese – più conosciuto e apprezzato in Italia che nel Regno Unito, dove solo dopo l’uscita del Regno ha iniziato a essere rilevante – un ritratto dell’attuale presidente della Repubblica, Emmanuel Macron. Per farlo, Carrère ha passato una settimana con l’enfant prodige parigino, dalla visita a una Saint Martin devastata dall’uragano Lila a un viaggio di Stato in Grecia. Ne viene fuori un ritratto soprattutto umano, e quindi letterario, del personaggio, scritto dal punto di vista di un suo elettore dichiarato. Macron viene descritto come uno che non suda – «The man does not perspire», è l’incipit del pezzo – che persuade con le sue lunghissime strette di mano e che ammicca alle telecamere come Jude Law in The Young Pope. Si colgono, fuori e dentro le righe, la sua spietata determinazione, ma anche le ragioni per cui è arrivato a scalare l’Eliseo a meno di 40 anni. Si parla di poesia francese, di filosofia, di banche d’affari. Se dovessi spiegare perché è uno dei migliori pezzi di giornalismo narrativo che ho letto nel 2017, direi semplicemente che è un pezzo che sfonda la costruzione giornalistica che trasforma i politici in statue; cose inanimate che possiamo ammirare o disprezzare, ma che di fatto restano sagome senza profondità. È un pezzo, soprattutto, in cui le opinioni politiche dell’autore sono totalmente irrilevanti: se uno scrittore viene chiamato a ritrarre un personaggio politico, che sia di destra o di sinistra e abbia la sua idea su come salvare il mondo, dovrebbe contare meno di zero.
Mi sono chiesto, mentre lo leggevo, se un pezzo del genere sarebbe potuto uscire su un giornale italiano, scritto da un italiano su un politico italiano. E mi sono risposto di no. Abbiamo una tradizione molto consolidata in questo senso. Non è nel nostro Dna ritenere che lo scrittore debba farsi attraversare dalle storie che raccoglie o addirittura cambiare idea. Chiediamo allo scrittore, e all’intellettuale in genere, di avere un’idea molto precisa di cosa non vada nella realtà e di cosa debba cambiare. Ci piace l’idea di pendere dalle labbra di qualcuno che ci dica in che direzione andare. Un ritratto anche ambiguamente favorevole come quello di Carrère verrebbe visto con un gesto di servilismo.
Anni fa, proposi a Internazionale l’idea di pubblicare sul settimanale quattro ritratti di strani candidati alle politiche del 2008. Tra gli altri proposi di raccontare Gianluca Iannone, capo di CasaPound, oggetto all’epoca ancora relativamente misterioso. Ne venne fuori un ritratto abbastanza scevro di pregiudizi ideologici perché basato interamente sulla mia curiosità di approfondire la personalità di Iannone. Ebbene, il direttore De Mauro, che aveva pubblicato il pezzo senza trovare nulla da ridire, mi chiamò la settimana dell’uscita per dirmi che al giornale erano arrivate parecchie lettere di protesta. Qualcuno aveva anche disdetto l’abbonamento per un articolo che a giudizio di chi protestava era troppo morbido con un fascista. Contemporaneamente il mio nome finì su alcuni forum di estrema destra, identificato come una specie di giornalista amico. Ovviamente il mio obiettivo non era né accontentare gli uni né scontentare gli altri. Mi ero semplicemente appassionato a una storia.

Dopo aver letto il pezzo di Carrère, ho riaperto Considera l’aragosta e sono andato a rivedermi qualche pagina di “Forza Simba”, il reportage che David Foster Wallace scrisse per le primarie repubblicane del 2000 sulla campagna di John McCain. Al contrario di altre cose scritte dall’autore di Infinite Jest, che hanno resistito meno bene al tempo, ho avuto di nuovo la sensazione di essere davanti a un caposaldo del giornalismo narrativo. In questo caso con l’ulteriore grado di difficoltà che Wallace non era un elettore repubblicano e si dichiara sin dalle prime pagine sostanzialmente estraneo al fascino di McCain, riuscendo però a far venire alla luce un gigante della politica, davanti a cui non si può restare indifferenti, qualcuno che avremmo voglia di conoscere al di là delle sue opinioni.
Ci sono molti altri esempi stranieri possibili (Reza su Sarkozy, Hunter Thompson su McGovern), ma faccio fatica a trovarne uno italiano. Possibile che non esistano ritratti letterari di Craxi o Andreotti, D’Alema o Fini? Possibile che a nessun giornale, settimanale, mensile, sia venuto in mente di commissionarne uno? Abbiamo abbondanza di materiale d’inchiesta (persino un pittore di quadri come Sorrentino ha finito nel Divo per seguire la traccia di un’ipotesi giudiziaria), così come di opinioni e sentenze elargite dal guru di turno sul disastro di questo o quel politico, a fronte di una scarsezza assoluta di primi piani giornalistico-letterari.
Abbiamo provato a immaginare in redazione come reagirebbero i lettori se decidessimo di seguire per qualche giorno Renzi nel corso della sua campagna. Quali sarebbero le reazioni? Sicuramente qualcuno ci accuserebbe di essere dei fiancheggiatori, dei servi del potere. Abbiamo immaginato, magari sbagliando, che pochissimi sarebbero interessati a conoscere come si svolge una campagna, gli aspetti umani e psicologici meno visibili, per esempio. Abbiamo in grandissima parte in Italia un rapporto con i politici che è quello dei servi con i loro padroni. Usurpatori a cui va riservata una forma di disprezzo più o meno velato, o un’ammirazione senza condizioni che possa farci da tornaconto. Questo forse è il motivo per cui il genere giornalistico-letterario – ma di giornalismo che sconfina nella letteratura e non di letteratura al servizio del giornalismo – di cui possiamo dirci i massimi esponenti non è il ritratto e nemmeno il reportage, ma il retroscena.

“Altro che idillio la montagna è dark”

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Mentre esce il suo romanzo “Lissy”, Luca D’Andrea, campione europeo di vendite, racconta una natura spietata, lontana dalle mode letterarie

BOLZANO – CLAUDIA MORGOGLIONE – la Repubblica – 24 0ttobre 2017
Aprima vista, un’oasi di pace: piazza Walther tirata a lucido, la locandina colorata del museo che ospita il nostro antenato Oetzi, le Passeggiate del Talvera dove incontri signore col passeggino, coppie di anziani, bambini che giocano sui prati. Ma se a guidarti alla scoperta di Bolzano
è Luca D’Andrea – scrittore nato e vissuto qui, campione internazionale di vendite col romanzo d’esordio La sostanza del male – capisci che le apparenze ingannano. E che anche la panchina di un viale panoramico, quella «con la vista migliore della città», ti racconta un’altra storia. Basta sedersi, alzare gli occhi verso le vette che la circondano: «A destra c’è il massiccio del Rosengarten, dove secondo la mitologia locale morì Re Laurino. A sinistra l’altopiano del Renon, terra di streghe. Vedi? Già solo guardandola, la montagna ti racconta com’è. Dura. Severa. Chiusa in un silenzio minerale. Altro che luogo idilliaco… prova a viverci davvero, lassù, e poi ne riparliamo».
Una visione per nulla buonista della natura che il trentottenne D’Andrea riversa con forza ancora maggiore in Lissy, in uscita per Einaudi Stile Libero. Un thriller esistenziale e cupissimo ambientato su queste Alpi, centrato su quattro personaggi borderline: una giovane donna in fuga, un boss della mala locale, un sicario, il contadino di un maso sperduto nella neve dove si svolge gran parte della storia. Caratteri a tutto tondo, e un intreccio che coinvolge il lettore, senza pause né sbavature, fino all’epilogo: non sorprende che un autore così solido sia finito, già al debutto, nelle top ten di paesi come la Germania, la Spagna, la Danimarca. Perfino l’ Uruguay.
Allora, Luca: come si vive, da italiani, in una città dall’impronta decisamente tedesca?
«Sono uno “sciangaiolo”, come la gente perbene chiamava gli abitanti del quartiere popolare “Sciangai”, pieno di italiani. Sono cresciuto facendo a botte con i ragazzi tedeschi. Qui in passato ho vissuto la stagione degli attentati dell’organizzazione terroristica Ein Tirol, le camionette dei carabinieri ovunque. Ma anche cose belle come le partite a hockey, che da queste parti è più amato del calcio».
Cosa resta oggi della sua infanzia?
«Adesso è l’Alto Adige il mio parco giochi personale, dove posso far muovere i personaggi dei miei libri: come fa Jo Nesbø in Norvegia o Stephen King, il mio mito, nel Maine. Ma con Lissy ho voluto scrivere una storia completamente diversa dalla precedente, e anche per questo l’ho ambientata in un’altra epoca, nel 1974: il periodo in cui l’economia del maso tramonta».
Il romanzo è costruito con precisione chirurgica…
«Sono molto abitudinario, lavoro otto ore al giorno (festivi non esclusi). Per Lissy mi sono preparato per sei mesi, documentandomi su ogni aspetto che avrei riversato nel libro: da quanto dura la gravidanza di una scrofa a quali materiali rivestivano i masi negli anni ’70. Ho parlato anche con gente che ci viveva. Questo perché quando scrivo la prima parola del romanzo devo già sapere tutto: ogni svolta narrativa; le biografie complete dei personaggi, cosa fanno e pensano. Il tutto mescolando un 70% di realtà e un 30% di finzione».
In quel 70% c’è una naturaostica e aspra come non mai.
«Lo è davvero. In quota, ma anche là sotto (indica il fondovalle,
ndr) non è meno impervia. La sua vera caratteristica? L’indifferenza. Il problema è che ce lo siamo scordati, così come abbiamo dimenticato il passato da cui veniamo, quello che ancora i nostri genitori hanno vissuto: le privazioni, la fame».
Eppure la montagna, anche in letteratura, è diventata trendy. Fonte di saggezza. Mentre in “Lissy” è isolamento, freddo, follia.
«La tendenza a vederla come una moda c’è. Ma la verità è che la montagna o la rispetti, o finisce che il soccorso alpino ti viene a ripescare da qualche parte, da morto. Non c’è pace: guardandola meglio, scopriamo che è tutta una lotta per la vita. E dunque richiede dura disciplina. Come il pensiero, come la scrittura».
Ma è la montagna meno dark, ad esempio quella raccontata da Paolo Cognetti, a vincere premi come lo Strega.

«A me i premi non interessano. Sul serio».

Ok, niente giurie letterarie. Ma allora quali sono i suoi lettori ideali?
«Ho un’idea precisa. Quando scrivo, penso che a leggermi sarà una signora con le sportine che torna dal supermercato e che vuole rilassarsi un’ora, con una storia appassionante».
In effetti il noir è considerato letteratura pop.
«Non so se i miei siano veri e propri noir: in vari paesi europei
La sostanza del male è uscito come romanzo e basta, al di fuori delle collane di genere. In ogni caso, il thriller è la parte della narrativa popolare che riesce a mostrare meglio il momento in cui i codici morali vengono messi sotto pressione: è il meccanismo che mi interessa di più. Succedeva anche nelle fiabe tradizionali, infatti uno dei fili conduttori di Lissy è l’ossessione della protagonista femminile per le favole dei fratelli Grimm».
E la paura?
«È come il sale nelle ricette: deve essercene “quanto basta”. Nei thriller, si incarna quasi sempre in una situazione senza via di uscita. In generale, credo che la paura sia un dettaglio sbagliato in un ambiente normale, perfino familiare».
Quindi nel noir c’è anche un sottotesto, diciamo così, filosofico?
«Sembra che rimesti nella morte; in realtà, paradossalmente, celebra la vita. Facendoci provare emozioni forti, e un sentimento umano fondamentale: l’empatia. In Lissy, la mia sfida è fare provare al lettore empatia per un assassino».
Nelle serie crime italiane di maggiore successo, però, l’empatia è tutta verso il poliziotto che gli assassini li cattura.
«Questo tipo di letteratura seriale affonda le radici nel genere nostrano per eccellenza, il melodramma: più che per le indagini, leggiamo quei libri per sapere cosa succede al protagonista sul piano personale. Lo apprezzo, ma non fa parte del mio mondo: da scrittore mi annoierei».
Insegnare invece le piaceva: lo ha fatto da precario per anni, ora ha mollato. Cosa ne pensano i suoi studenti?
«I miei libri non sono adatti a loro, troppo duri. Ma io rappresento un esempio del fatto che se si crede in se stessi, tutto è possibile. Anche che un professore precario di Bolzano diventi un caso letterario internazionale».

Lettera al Segretario del Partito Democratico veneto

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PERCHE’ LUCA E’ UN NOSTRO FRATELLO, INAFFIDABILE E PICCHIATELLO

Si tratterà di fare la battaglia per quale tipo di federalismo, per quale livello di federalismo. Personalmente vorrei fare del Nordest la Catalogna, sono per l’autonomia più alta.”
Giorgio Lago – Nordest chiama Italia, p. 97 – 1996

Il 22 ottobre il governatore Luca Zaia chiama i veneti al referendum.
«È la risposta comica ad un’esigenza terribilmente seria, quella dell’autonomia, che in Veneto è avvertita come in nessun’altra regione italiana, lo capisco meglio ora, vivendo a Milano. Zaia fa bene a coltivare questa spinta, tanto più alla luce della controriforma centralista di Roma, ma il suo approccio non sta in piedi. Negli anni Novanta, insieme a Giorgio Lago e al suo progetto Nordest, abbiamo posto in agenda la riforma federalista ma la politica nazionale ha imboccato la strada opposta e la “questione veneta” è lungi dall’essere risolta».
http://mattinopadova.gelocal.it/regione/2017/09/09/news/massimo-cacciari-italia-in-declino-veneto-devastato-dal-malaffare-1.15829800

Caro Alessandro,
ascoltandoti l’altra sera invocare “un’operazione verità” nell’ambito del sistema informativo della nostra Regione, il pensiero è andato alle parole usate da Alessandro Manzoni nel descrivere il clima di confusione, violenza ed imbecillità che si respirava a Milano nei giorni dell’assalto ai forni: “il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune”…
Comprendo come ti sia difficile accettare la demagogia, la superficialità e la disarticolazione delle posizioni che caratterizzano il dibattito politico ed il confronto all’interno dello stesso PD veneto, sull’evento referendario.
Ho avuto modo di riconoscere ed apprezzare l’approccio pragmatico, che ti deriva dall’esperienza di Amministratore, nell’affrontare le tensioni e contraddizioni, i sentimenti di speranza e di ribellione, che caratterizzano la temperie socio-culturale di questo tempo in un Veneto che sta vivendo una metamorfosi sfidante per tutti coloro che ricoprono ruoli istituzionali.
Ti risulta difficile accettare che tale situazione, piuttosto che diventare un’occasione propizia per co-progettare il cambiamento verso la maggiore autonomia, adottando criteri e strumenti supportati dalle competenze organizzative-istituzionali-amministrative e rispettando il pluralismo delle opinioni, faccia prevalere su molti temi dell’agenda politica regionale la propaganda, la strumentalizzazione del disagio, i toni della “sfida” pregiudiziale con il Governo nazionale, il cappello in aria e la testa pure…(insomma l’armamentario presente nella sceneggiatura interpretata da Zaia).
Tutto ciò potrebbe essere tollerabile se, almeno, un tale spettacolino da provincia politica degradata dovesse essere sottoposto ad un severo watch dog, pagando il pedaggio ad una stampa attenta a denunciarne la superficialità e l’inconcludenza, con giornalisti impegnati ad evidenziare i costi di una governance regionale nella quale ai proclami ed agli annunci seguono la penuria di realizzazioni, lo svuotamento della capacità programmatoria, decisioni ed iniziative che diventano sussulti temporanei di consapevolezza smentiti e sopravanzati da altri annunci enfatici, in una catena che porta all’irrilevanza dell’istituzione regionale diventata un’echo chamber del populismo venetista.
E’ a tal proposito che ho parlato di “Cielo plumbeo sopra Venezia”.
Ma non sono sorpreso e nemmeno “scandalizzato”: siamo di fronte infatti alla coda velenosa di un ventennio di leghismo e laghismo, un combinato disposto che ha introdotto nel Veneto la vulgata di un nordest evocato e masticato come un chewingum, attraverso la difffusione di un badecker con cui interpretare agevolmente (e superficialmente) fenomenologie complesse con il ricorso a pennellate sociologiche e linguaggi giornalistici allusivi, che hanno generato un mainstream dominante quanto insignificante.
La matrice di tale deriva va ricercata nel tornante storico-politico degli anni ’90 che, dopo un primo slancio movimentista positivo caratterizzato dal progetto riformista-federalista, ha visto subentrare una stagione di bonacccia sottogovernativa e
clientelare, nella quale hanno trovato (quasi) tutti buone ragioni per non impegnarsi nell’approfondimento delle attività di ricerca, innovazione ed implementazione sul piano storico-culturale ed economico, da un lato, e di dialettica democratica autentica dall’altro (vedi il cono d’ombra che ha inghiottito il comma terzo dell’art. 116 della Costituzione).
Sul piano propriamente politico, con le rappresentanze regionali del PCV (Partito Consociativo Veneto) e del PSV (Partito Dormiente Veneto) si è attenuata fino ad esaurirsi del tutto la capacità dello schieramento del centro-sinistra di indagare e rappresentare le sofferenze insorgenti, i bisogni autentici e le contradizioni effettive del neocentralismo, ma anche le enormi potenzialità della società veneta in cammino verso un’ulteriore tappa del proprio sviluppo.
E’ insomma venuto a mancare un protagonista fondamentale per una vivida narrazione di quella componente propulsiva e decisiva di umanità veneta impegnata a riorganizzare il tessuto economico-produttivo orientandolo alla smart specialization, ad esportare valori (missionari) e tecnologie (imprese) in tutto il mondo, a misurarsi con le trasformazioni presidiando il territorio e sperimentando l’innovazione sociale; ed inoltre interrogandosi criticamente sulle risposte amministrative da dare ai nuovi fattori aggressivi ed alle patologie introdotti dal cambiamento provocato dall’accelerazione della globalizzazione.
Sicchè, caro Alessandro, appena eletto ti sei trovato ad affrontare enormi sfide, aggravate dall’eredità di una struttura organizativa fatiscente e indotte anche dalla lunga attesa di una discontinuità gestionale del Partito.
Penso che, guardandoti intorno, hai colto le potenzialità espresssive di un partito rigenerato, ma hai osservato con preoccupazione la vischiosità di una nomenclatura cresciuta ed adattatasi all’ambiente creatosi con le pratiche sopraricordate del PCV e del PDV, oltretutto sorpreso se non addirittura “scosso” dal vento renziano della rottamazione, interpretato da molti pavidi ed opportunisti della periferia veneta come pericoloso e rischioso.
(Ufficialmente le riserve manifestate sono state per la inattesa svolta programmatica; in realtà malumori, dissensi ed uscite sono stati determinati dal timore di non poter continuare – nelle acque mosse dal riformismo del Governo Renzi – la pigra navigazione dei battelli e delle barchette personali, acquisiti con molti anni di onorata carrriera e consolidate appartenenze.
Puoi ben capire che di fronte a tutto ciò il sistema dei media veneti:
a) da un lato per ragioni di bottega (ovvero di vendite) ha scelto di alimentare lo storytelling di una Regione perennemente ansiogena e protestataria e quindi si è dimostrato ben disposto a dare credito e spazi inusitati ai registi e testimonial di tale canovaccio;
b) dall’altro essendo depositario di una memoria abbastanza obiettiva della prolungata assenza – nel mercato politico regionale – di una proposta politica alternativa credibile (che avrebbe dovuto essere offerta dal Partito Democratico regionale) allo schieramento lega-forzista, non si è particolarmente affezionato e fatto attrarre dal messaggio del SI critico e non ne ha colto la valenza e la ragionevole ipotesi prospettata dalla maggioranza della Direzione regionale.
In fin dei conti, aggiornando la metafora di D’Alema, Luca Zaia non è solo una “costola sinistra”, bensì è anche l’interprete più fedele del “sogno catalano” letteralmente inventato da Lago (geniale giornalista, ma politologo bislacco) e Cacciari (analista ed affabulatore suggestivo, ma inaffidabile policy maker).
Oltretutto la sua versione venetista del populismo protestatario verso “il nemico che è a Roma” diventa imbattibile se trova alleati e collaborazionisti nel campo democratico: pensa solo alla vicenda del referendum sulle Trivelle, allo stesso referendum costituzionale, al NO dei fedeli soldatini del centralismo o al SI fiancheggiatore di Marca (trevigiana) divulgato come spallata tafazziana al proprio Governo (per non dire della dichiarazione improvvida di Renzi, sul “referendum inutile”: quando non è ben informato su un dossier scottante – come l’autonomismo veneto – il Segretario nazionale dovrebbe adottare il metodo Gentiloni! ).
Che l’iniziativa referendaria rappresenti il rantolo di un Governatore fallimentare ed inaffidabile (con i documenti divulgati dal “Comitato per la riscossa civica contro il referendum farlocco” abbiamo illustrato e reso comprensibile tale verità politica anche agli analfabeti funzionali), i media veneti non lo possono-vogliono né intuire né tantomeno rivelare se non riscontrano nell’ambito del mercato politico locale analisti convincenti, prese di posizione coraggiose, progettualità riformiste-federaliste che vanno oltre la denuncia delle fake news.
Insomma restano tiepidi e disattenti se non intravvedono protagonisti e leader che si prendono il rischio di esporre una visione alternativa e la responsabilità di assumere non tanto un atteggiamento oppositivo alla zaiazione bensì di dare corso alla elaborazione dei contenuti ed alla promozione (in tutte le sedi sociali ed a tutti i livelli istituzionali) della procedura costituzionale per dare tempestivamente al Veneto la maggiore autonomia necessaria e praticabile e smascherare la perniciosa e sterile propaganda leghista.
Personalmente ho cominciato ad appassionarmi ed a misurarmi concretamente e proficuamente con il processo federalista sin da quando Zaia praticava (professionalmente) le discoteche della sua provincia.
Ho conseguentemente maturato la piena consapevolezza (oltre che esperienza sul campo) che nel nostro Veneto, al netto dei sognatori e degli avventuristi, esistono una diffusa consapevolezza ed expertises scientifiche e professionali desiderose e disponbili a riprendere il cammino di un regionalismo forte, innovativo e solidale, inteso come risorsa scatenante nuove energie per il rinascimento etico civile non solo a livello regionale, ma anche nazionale.
Se accetti un suggerimento, ritengo che il Segretario regionale del PD, oltre alla necessaria attenzione ai precari equilibri interni del suo Partito, debba rivolgere l’attenzione a tale realtà che non è espressione di ambienti salottieri, ma è fortemente radicata nella storia dell’autentico riformismo veneto e sintonizzata con quel vasto elettorato che si attende un’offerta politica chiara e distintiva, ovvero la declinazione per il tempo presente dei valori fondanti e riconoscibili di quel federalismo antropologico-culturale caratterizzante la storia veneta, che ho più volte citato (e la cui focalizzazione si deve ad uno studioso padovano che ha indagato le evidenze storiche ed il contributo dei “santi minori” – oggi ignorati dai più – che hanno consentito al Veneto di emanciparsi e, letteralmente, decollare sul piano civile ed economico).
Penso quindi che in quest’ultimo mese che ci separa dall’evento referendario sia possibile realizzare quell’operazione verità che tu auspichi, mettendo in campo una proposta che indichi un cambio di rotta e di strategia per la governance regionale e convinca la nostra comunità veneta a non consentire ad un Presidente protempore avventato ed inaffidabile di pregiudicarne il futuro.
Resto a tua disposizione per ogni ulteriore chiarimento che tu ritenga necessario e per intraprendere le azioni più opportune per rilanciare il processo federalista nel segno della partecipazione popolare, della concertazione con le rappresentanze sociali e professionali, della corresponsabilizzazione degli Enti locali.
Ti ringrazio dell’attenzione
Con rinnovata amicizia, Dino Bertocco

Sulla strada della maggiore autonomia per il Veneto

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Ritornare nell’alveo del pragmatismo veneto e del buon senso negoziale con il Governo evitando le amnesie storico-politiche e le illusioni venetiste

Villa Rina, Cittadella – 11 ottobre 2017 – Convegno organizzato dai Comuni di Cittadella, Galliera, San Giorgio in Bosco

Buonasera a tutti ed un grazie di cuore agli organizzatori dell’incontro.
Parlando con uno di voi, ho capito lo spirito e l’interesse vero che gravita attorno all’evento referendario ed essendo di queste parti, oltre che avendo esercitato – se così si può dire – una funzione sociale importante per 12 anni nell’Alta Padovana, in un periodo (‘81/’93) nel quale ci sentivamo come territorio un cuore pulsante del Veneto, progettavamo il welfare più avanzato, realizzavamo con gli imprenditori più dinamici iniziative finalizzate a sostenere i processi di innovazione, so che debbo e posso parlarvi con il linguaggio della verità.
Se siamo qui è perché siamo tutti alla ricerca della strada più agevole per arrivare alla meta condivisa di un Veneto più autonomo ed autorevole nell’ambito della politica nazionale ed europea (e viviamo con maggiore tensione le contraddizioni e gli interrrogativi che gravano sul 22, complici anche l’incertezza che ci segnalano i sondaggi).
Innanzitutto una premessa d’obbligo: qualcuno (presente in sala?) quando ha visto il mio nome sui giornali ed i miei interventi sui social definire farlocco il referendum (nome improprio perché trattasi di un semplice “sondaggio formalizzato” – così definito nel carteggio tra Regione Veneto e Corte Costituzionale -), mi ha invitato amichevolmente ad andare ai giardinetti (o meglio al lago di Cimon, che è un modo amichevole credo di “mandarmi in mona”).
Ebbene, ho preso sul serio quel messaggio, ci ho riflettuto da persona anziana e mi sono detto: perché reagisci in modo così istintivo ed anche virulento nei confronti dell’iniziativa promossa dal Presidente Zaia, oltretutto non ascoltando l’opinione diffusa che lo ritiene simpatico e volenteroso?

LA RISPOSTA DEI RISERVISTI DELLA REPUBBLICA (VENETA)

Sono un semplice cittadino con una memoria storica ed un’esperienza diretta sulla materia in discussione che vede materializzarsi il richio di un colossale fraintendimento dalle conseguenze altrettando deleterie e dolorose della vicenda Banche Popolari.
Ho sempre presenti le oceaniche assemblee dei soci in cui era difficile alzare la mano per fare domande scabrose, replicare alle relazioni dei Collegi sindacali, sconfessare i prospetti patrimoniali e finanziari che supervalutavano le azioni poi dimostratesi farlocche.
Ebbene, il ricorso al TAR e la costituzionne del Comitato per la riscossa civica contro il referendum farlocco sono stati finalizzati a salvaguardare il patrimonio politico-culturale dell’autonomia veneta da azioni che la mettessero seriamente a repentaglio come è avvenuto per i due Istituti di Credito che rappresentavano il simbolo storico ed economico di quello che un mio amico docente padovano, raffinato ricercatore, ha definito con un appropriato neologismo il federalismo antropologico veneto.
Senza falsa modestia, con gli amici del Comitato ci cosideriamo una sorta dei riservisti della Repubblica veneta: nel nostro curriculum ci sono mediamente 40 anni di esperienze acquisite e competenze esercitate a servizio della nostra comunità : chi nella veste di Dirigente regionale che si è misurato con la durezza e complessità dei rapporti con Roma, chi come sindaco, come storico locale, come insegnante, come professionista.

NEL MIO CASO: PER RESTARE ALLA DIMENSIONE REGIONALE, MI SONO OCCUPATO DI
– Federalismo amministrativo & Innovazione digitale

– Democrazia, processi partecipativi e cittadinanza responsabile

– Pianificazione della comunicazione e socialnetworking
Ed ho avuto il privilegio di realizzare parecchi progetti, ovviamente non da solo, che hanno contribuito a rafforzare ed innovare la governance regionale (ne potete trovare tracce sul mio sito)

CITTADELLA EPICENTRO DI QUELLO CHE FU IMMAGINATO COME IL TERZO VENETO DA COSTRUIRE
Nel mio percorso politico-culturale e professionale Cittadella e l’Alta Padovana sono stati un laboratorio in cui abbiamo concepito un disegno di modernizzazione del Veneto tradotto in azioni e programmi concreti portati avanti con la CISL regionale.
– Erano anni in cui esistevano due ULSS (Cittadella e Camposanpiero) e la conquista politica di è stata di riuscire a mettere attorno allo stesso tavolo i due Presidenti i quali, appartenendo a correnti politiche diverse non si parlavano neppure

– Ma erano anche anni in cui, per restare alla Sanità, la Provincia di Verona viveva orgogliosamente la sua condizione “meridionale” contando su una trentina di Ospedali per cui quando si concertavano le politiche sociosanitarie regionali bisognava fare pressing nei confronti di tutti per promuovere quella razionalizzazione che è ancora difficile realizzare nelle Regioni del Sud: l’obiettivo era di ridurre lo spreco di centinaia di milioni all’anno nel bruciati nel solo territorio veronese nella difesa di piccoli ospedali

– E’ stato allora che ho avuto modo di comprendere bene due fatti politici tuttora determinanti del quadro politico regionale: la competizione fratricida tra Tosi e Zaia, da un lato e il non casuale e costante affidamento dell’Assessorato regionale alla Sanità ad un veronese: lo sottolineo perché il prezzo più pesante di tali scelte lo stiamo pagando noi padovani con il ritardo nella ristrutturazione del Polo Ospedaliero; a Galan interessava il project financing non la programmazionne sanitaria!

MA NONOSTANTE QUEST’ULTIMA CONSIDERAZIONE SU GALAN DEBBO SPEZZARE DUE LANCE A FAVORE
1. Giusto 20 anni fa con lui e con il Ministro Treu operammo un accordo per la prima inizativa di rafforzamento dell’Autonomia regionale: il decentramento delle funzioni del Ministero del Lavoro; ero profondamente contrariato da un lato dei tempi lunghi delle procedure ministeriali, dal’altro dello spreco assistenzialistico di risorse per DS e CIGS in un contesto territoriale regionale di quasi piena occupazione con efffetti distorcenti e tanto lavoro nero

2. Vivevo l’imbarazzo di veder sprecare miliardi di lire in Cassa integrazione speciale in un Veneto con quasi piena occupazione che portava all’assistenzialismo ed al lavoro nero (perché non penserete mica che in quegli anni un buon lavoratore metalmeccanico avesse problemi di trovare un lavoro): è iniziato proprio allora – con i prepensionamenti – la devastazione dell’INPS per cui oggi, questa che faccio ora è una prima puntualizzazione sulla maggiore autonomia: alla domanda n. 80 delle 100 rivolte al Presidente Zaia si parla di pensioni, ma non si dice che se dal 2018 l’INPS dovesse essere decentrato sulle nostre spalle comincerebbe a gravare un deficit annuo di oltre 5 miliardi, destinato a salire per le note dinamiche demografice e migratorie (invecchiamento, giovani che se ne vanno, immigrati non graditi).

UNA PUNTUALIZZAZIONE DI TIPO STORICO-CULTURALE
Per mia natura e vocazione – oltre che professione – sono abituato a stare dalla parte dei più deboli sempre e giudicare sospettosamente soloni, saccenti, predicatori ed illusionisti del cambiamento.
Ebbene, la mia posizione di autonomista convinto mi ha portato alla contestazione dell’impostazione propagandistica del Presidente Zaia, perché vi ho visto la riedizione aggiornata e la stessa mobilitazione ideologica di cui era stato protagonista Massimo Cacciari nel 2000, con l’aggravamento del carico ideologico e di velleitarismo: Regione a Statuto speciale e Referendun consultivo erano le armi della battaglia lanciate con il Movimento Nordest, ispirato da quell’autentico tifoso catalano che è stato in quegli anni Giorgio Lago, brillantissimo giornalista, ma politologo bislaccco.
Nel maggio del 2000, in quella temperie di eccitazione politica e tensione sociale, vi fu anche l’assalto dei Serenissimi al campanile di San Marco

CONTINUO A PORTARE RISPETTO E MI INTENERISCO AL PENSIERO DEI MIEI CONCITTADINI VENETI PROTAGONISTI DI QUELL’EPISODIO DRAMMATICO E SIMBOLICO ALLO STESSO TEMPO
http://www.ilgazzettino.it/nordest/venezia/serenissimi_20anni_fa_assalto_san_marco_tanko_foto_video-2429062.html
Il loro è stato un atto di cui hanno pagato un prezzo personale, senza chiamare nessun aiuto popolare a loro difesa, bensì esprimendo una sofferenza ed un’idealità con ingenuità e generosità, con mezzi rozzi, ma sicuramente in modo efficace!
Ne parlo perché conosco bene la Bassa Padovana in cui sono maturati quei sentimenti che sono associabili al ribellismo e ad un’idea di indipendenza elaborata con scarse cognizioni storiche di cosa significasse veramente e che conseguenze pratiche avesse la loro azione.
Lo dico perché in quella terra che si espande in tutto il rodigino la miseria è stata ed è tuttora un fattore endemico, diversamente da un territorio come l’Alta padovana in cui la piccola proprietà contadina (e la cultura cattolica) sono stati la leva per la crescita di uno sviluppo portentoso e del diffuso benessere che ci circonda.

INSOMMA, UN PICCOLO SPAZIO NELLA STORIA E NEL MIO CUORE SE LO SONO CONQUISTATI
Non troviamo invece tracce e memoria positiva della moltitudine che dal 2001 (anno della riforma della costituzione da cui prende le mosse l’iniziativa del 22 ottobre) fino ad oggi si sono riempiti di incarichi, prebende, chiaccchiere e distintivi sventolando diverse bandiere (comprese quelle indipendentiste) senza far avanzare di un centimetro il processo autonomistico per la nostra Regione.

LO POSSO BEN SOTTOLINEARE PERCHE’ SONO INFORMATO ED HO BEN PRESENTE I FATTI (DI CUI CONSERVO UNA RICCA DOCUMENTAZIONE) ACCADUTI NELL’ULTIMO VENTENNIO
Vedete, l’amnesia volontaria è diventata una componente essenziale nella strategia di comunicazione politica.
Da imprenditore del settore comunicazione, resto affascinato dalla campagna in cui il Presidente Zaia ed il suo staff (una trentina di persone tra giornalisti, blogger, avvocati, giuristi, pseudoeconomisti) ha messo in moto per promuovere quello che costituisce uno strumento miserello di partecipazione popolare, ovvero un “sondaggio formalizzato” (così definito nel carteggio tra Difesa della Regione e Corte Costituzionale).
Ma sotto il profilo professionale non solo non mi convince, ma mi sconcerta pure, per una ragione sostanziale: gli esperti parlebbero di content curation superficiale, approssimativa, mentre la gente che capisce meglio direbbe : molto fumo poco arrosto!
Ho molti amici che in questo periodo mi perseguitano (anche un po’ insultandomi) sostenendo che quella del 22 ottobre è un’occasione da cogliere, in fin dei conti vale solo il prezzo di un cappuccino ed una brioche!
Li capisco perché viviamo la dimensione politica con disincanto, alla giornata, e ci aggrappiamo all’ultimo evento considerandolo decisivo, ma i processi politici osservano una legge inesorabile, una consecutio temporis che li rende carsici e li fa riemergere con sembianze e protagonisti diversi.
1. Sembra ieri il tempo in cui nel Veneto si discuteva e si scommetteva per la DC bavarese: un’ipotesi politica ben più rilevante che rifarsi al modello di autonomia di due piccole Province come Trento e Bolzano; il leader di tale progetto doveva essere il trevigiano Bernini il quale, però, con una scelta molto personale, diciamo così, (che gli fruttò il posto di Ministro) optò per l’alleanza con la Corrente del Golfo (un po’ più a sud della regione tedesca!)

2. Ora qualcuno mi deve spiegare se la scelta di Zaia di mettersi all’ombra di un Salvini che ha dato una sterzata traumatica collocandosi sulla scia del centralismo nazionalista lepeniano che più antifederalista non si può non vi suggerisce alcuna riflessione critica sulla contradditorietà di una strategia che mette insieme “le pere con le mele”?

3. Avete un’idea di cosa significa la procedura per l’atttuazione dell’art. 116 c. 3. Non voglio scendere nei tecnicismi perché non c’è il tempo, ma farmi prendere in giro no! Zaia parla di un anno di tempo nelle cento risposte, ma è un’altra delle pie illusioni che diffonde…

DICO QUESTE COSE PERCHE’ NEL PROCESSO DI RAFFORZAMENTO DELL’AUTONOMIA CI TROVIAMO DI FRONTE AD UN GIOCO DELL’OCA INACCETABILE!
In questi mesi, con gli amici del Comitato abbiamo fatto un lavoro di scavo, analitico sia sul piano giuridico, ma soprattuto storico politico:
a) Per quanto riguarda il primo aspetto è abbastanza chiaro che la scelta di puntare alla battaglia in Corte Costituzionale ha portato al massacro. Non lo trovate scritto da nessuna parte, ma è bene sapere che a 20 anni dalla marcia di Venezia per la secessione, tutti gli obiettivi ed il progetto politico (indipendenza, statuto speciale, 80 % di risorse e tributi….) che ne sono scaturiti per il Veneto, sono stati sepolti con una pietra tombale dalla Corte Costituzionale con la sentenza 118/2015. Ma su questo terreno non voglio addentrarmi, anche se la tentazione sarebbe forte anche è argomento intrigante soprattutto sul piano accademico. In ogni caso mi contraddirei se polemizzassi con il prof. Mario Bertolissi che ha combattuto una battaglia campale, anche contrastando il mio ricorso al TAR e che seguo da 30 anni nel suo impegno professionale e scientifico.

Ho vissuto troppo empaticamente certe sue battaglie culturali per sconfessarmi oggi: nella rivista online STORIA & CULTURA che prosegue quella cartacea avviata qui a Cittadella giusto 25 anni fa, cito una sua frase:

Perché un continuo richiamo al Nordest? Perché chi vive in queste terre ha un’idea di sé da esprimere e non la vede riflessa nel discorrere quotidiano, più anonimo che incentrato sulle individualità, più fotocopia che originale. Serve una educazione e serve cultura perché interpretare non è semplice, come è semplice invece essere generici e sconfinati”
Mario Bertolissi – Gazzettino addio

b) Ma è sul piano storico politico che voglio sottoporvi io un quesito: giova al Veneto il gioco dell’oca? Perché è stata sconvolta e contraddetta la strategia messa in campo nel 2008 da Galan, seppure senza trovare sponde nel Governo di Centro destra dove sedevano gli esponenti più rappresetativi della Lega seppur – guarda caso – tutti lombardi escluso Zaia?

c) Oggi stiamo riassistendo ad un fatto clamoroso, anche se non inedito, ovvero che la Regione Emilia Romagna imbocca la strada del negoziato con il Governo, letteralmente copiandoci ed irridendoci – giustamente -.

Mi sembra di ritornare al tempo in cui denunciavamo come veneti la spesa storica che ci penalizzava e sulla quale l’Emilia Romagna invece lucrava ottimizzando il gioco dell’opposizione in Parlamento del Partito più rappresentativo (PCI) che ne era alla guida.

MA IN OGNI CASO UNA TALE DISCUSSIONE APPARTIENE ALL’AMBITO DELLA POLEMICA POLITICA….

Stasera vorrei esprimermi prevalentemente su un piano tecnico, osservando più da vicino la vicenda referendaria sotto il profilo della comunicazionne e dei processi partecipativi.
Ho già espresso un giudizio positivo sul come il Presidente Zaia è riuscito a trasformare un semplice e banale sondaggio formalizzato in un evento che stando alle sue parole dovrebbe cambiare la storia del Veneto e del Paese.
Anche se adesso non so se ripeterebbe le affermazioni fatte nell’intervista al Corriere della Sera in cui si dichiarava disponibile a rischiare il carcere….
Premesso che con 10.000 euro un tale strumento avrebbe potuto essere usato per un processo di coinvolgimento ed informazione dei cittadini molto più efficace ed incisivo.
Premsesso altresì che come recita la sentenza, il TAR ha detto in sostanza: Bertocco stia tranquillo perché il sondaggio fromalizzato non ha alcun rilievo vincolante.
Segli fossi vicino gli suggerirei maggiore prudenza per evitare che si alzi un nuovo Fantozzi ad esprimere un irridente giudizio su un progetto che di storico ha ben poco ed utilizzo la parte conclusiva del mio intervento per dimostrarvelo.

LE VERITA’ CHE NON TROVERETE NELLE CENTO RISPOSTE DI LUCA ZAIA
Parafrasanso il prof. Luca Antonini che nel suo libro Federalismo all’italiana usa un’espressione efficace “vedo, pago, voto”, se il federalismo e la maggiore autonomia che propone il Presidente Zaia è quanto contenuto nel Documento delle Cento risposte, la realtà che osserviamo non solo è modesta, ma è molto deformata!
In esso, peraltro ben fatto e ben scritto con tante cose ed una narrazione del Veneto positivo che condivido, si presenta un’immagine della nostra Regione che non corrisponde ai fatti e numeri.
L’informazione diffusa in questi mesi ha creato una bolla mediatica che ripropone per i cittadini veneti la stessa situazione nella quale si sono trovati gli azionisti di BPVI e Veneto Banca nelle Asseblee dei soci in cui cercavano di discutere e mettere in dubbio le promesse illusorie che Zonin e Consoli spacciavano come futuro roseo e sicuro.
Vi ho già fatto l’esempio che so vi può aver sconcertato perché contradddice una convinzione diffusa sul sistema pensionistico ed assistenziale: se il progetto e le promesse veicolati dal Documento illustrato dal Comitato del SI dovesse essere realizzato, e quindi si passasse – per semplificare – all’INPS veneto, io e tutti quelli che di voi condividono la condizione di pensionato ci troveremmo immediatamente e senza sconti una passività annua di 5 miliardi di euro: erano 4,46 nella contabilità del 2015!
Questo per dirvi che l’autonomia non è il campo di rose senza spine che il Presidente Zaia esalta irresponsabilmente, con conseguenze nefaste perché penso al risveglio dal Truman show, quando i miei concittadini scopriranno numeri, carte e prospetive non da Mulino Banco, ma di una situazione piena di buchi, contraddizioni e soprattutto senza rete.
Pensate all’aitanza di Terence Hill senza lo Stato brontolone (Bud Spencer) ma rassicurante alle spalle: vogliamo solo ricordare la vicenda del salvataggio delle Banche Popolari?
Nella foga oratoria ed affabulatoria che lo rende molto popolare e simpatico (sicuramente per quasi tutte le mamme) Luca sta commettendo un errore fatale:

FIDARSI TROPPO DELLA CORTE CHE TI STA ATTORNO IN POLITICA NON E’ UNA SCELTA PRUDENTE

L’abilità nella comunicazione e divulgazione nella politca contemporanea è un fattore decisivo, ma i tuoi consiglieri economici e giuridici non ti debbono confezionare pacchi: lui si trova nella condizione di quelli di voi che hanno affrontato trattative impegnative dovendo presentare valutazioni, resoconti e tabelle predisposte dal commercialista, in particolare con un prospetto del valore patrimoniale della vostra azienda sovrastimato e smentito dalla vostra controparte al tavolo della trattativa, con elementi fattuali corretti!
Il più clamoroso riguarda il tanto declamato residuo fiscale: mi è capitato di implorare il Direttore di un importante quotidiano locale di documentarsi prima di diffondere un dato assolutamente improbabile. Tutte le analisi che hanno una credibilità scientifica per gli autori che le hanno prodotte, hanno certificato che siamo in presenza di una cifra che oscilla dai 3 ai 4 miliardi. Da 15 anni ho modo di confrontarmi – per ragioni professionali – con il maggiore studioso italiano di Finanza Pubblica nella fattispecie del federalismo fiscale e dell’economia territoriale. Mi fido di lui non tanto per i titoli accademici (quelli sono un buon indicatore, ma come diceva un nostro “padre” di Castelfranco Veneto – Domenico Sartor – quando organizzava dei seminari con i maggiori esperti – e dopo che questi se ne erano andati – : “avete ascoltato persone che hanno letto tanti libri, ma ora concentriamoci sulla realtà”. Ebbene la persona a cui mi riferisco da molti anni accompagna nella veste di Consulente il processo di implementazione dell’autonomia delle Province di Trento e Bolzano, conoscendone i numeri reali, le complessità e le difficoltà che si giocano nel rapporto Territorio- Stato.
Per esempio è proprio lui che, da me interpellato in questi giorni, mi ha aggiornato sul fatto che la percentuale di risorse tributarie attualmente a disposizione delle Autonomie speciali sono attualmente sette decimi e non i tanto decantati nove decimi.
Cio non deve stupire in quanto anche i Presidenti Ugo Rossi e Arno Kompatscher hanno dovuto negoziare e subire una retrocessione di un miliardo provocata dalla crisi finanziaria di questi anni.

Ma l’equivoco del residuo fiscale nasce da una colossale mistificazione operata da alcuni apprendisti stregoni che hanno la responsabilità di aver portato il nostro Presidente (consapevole o meno, questo non lo so dire) in un cul de sac pericolosissimo

LE TABELLE FARLOCCHE DI ZAIA E L’IMBROGLIO ALLA CATALANA

Secondo le mirabolanti tabelle diffuse con le “100 risposte”, staremmo assistendo ad un autentico miracolo che, il buon Dio ci perdoni per il paragone blasfemo, farebbe impallidire quello di “Lazzaro resuscitato dalla tomba”.
I volenterosi “commercialisti” che hanno redatto le tabelle pubblicate nel Documento del Comitato per il si il Bilancio pubblico italiano non sarebbe gravato dallo spaventoso Debito che abbiamo conosciuto negli ultimi lustri.
Sottostimando le spese effettive sostentute dallo Stato (di cui verosimilmente non conoscono la metodologia per stimarle) ed omettendone altre; inoltre, evitando di fare i totali, ci troviamo con uno straordinario avanzo che cancella l’incubo che ci ha finora assillati.
Naturalmente con tale operazione farlocca funzionale a rafforzare il significato e le finalità del referendum, non solo si è crea il mito del residuo fiscale (che è ben inferiore a quello stimato), ma soprattutto si alimentano speranze ed illusioni infondate sullo stato della Finanza Pubblica nazionale e regionale.
Con tale rappresentazione da Truman show il 23 ottobre ci sarà un risveglio traumatico che non potrà che generare frustrazione e rabbia.

MA IL RISCHIO PIU’ GRANDE E’ RAPPRESENTATO DALL’ILLUSIONE DELL’AUTOSUFFICIENZA

In questo periodo di discussione sui social, come ho già ricordato, ho paragonato Luca Zaia a Terence Hill per la sua capacità e rapidità nell’ affrontare i giornalisti, ma ho sottolineato il fatto che non deve sottovalutare il ruolo di un partner fondamentale, ovvero Bud Spencer nella sua funzione di Stato guardiaspalle.
Immaginiamo per un solo momento una situazione in cui il Veneto avesse dovuto affrontare con le proprie esclusive forze la tragica vicenda delle Popolari:
“L’esborso per lo Stato ammonta a circa 5,5 miliardi di euro” e “complessivamente sono mobilizzate risorse a favore dell’operazione fino ad un massimo di 17 miliardi di euro”
http://www.adnkronos.com/soldi/economia/2017/06/25/crac-banche-venete-quanto-costa-allo-stato_pgeKe58EyDad5qMtTW7GYJ.html
Ma anche dover pensare a trovare una soluzione finanziaria efficace per realizzare il completamento della Pedemontana
Oppure ancora a dover fronteggiare un sindacato degli insegnanti inviperito da un Contratto regionale…

MA E’ PROPRIO LA VICENDA BANCHE VENETE CHE DOVREBBE FAR RIFLETTERCI, ALLORA COME RISPARMIATORI, ORA COME ELETORI

1. Sul piano del rapporto con il credito siamo stati ingannati e fottuti dai nostri conterranei con la dopatura delle azioni

2. Sul terreno del tapporto con le Istituzioni regionali stiamo per essere fuorviati dal significato simbolico di un’azione politica, ovvero del peso e dell’incidenza di un voto che non solo non cambierà niente, ma complicherà, rallenterà ed affosserà le nostre legittime attese di maggiore autonomia

2008 UN ANNO CHIAVE
Nel rapporto Regione Stato, per restare agli ultimi 10 anni è successo qualcosa nel 2008 , un anno che doveva e poteva essere fondamentale ed invece è diventato la tomba del percorso autonomistico.

Vi ricordo che, come ho già segnalato, la Regione Veneto aveva presentato (con l’acccordo di tutti i partiti e consiglieri regionali) la richiesta di avvviare il negoziato per il trasferimento di nuove competenze e nel governo siedevano oltre a Berlusconi i decisivi per le competenze che presidiavano Bossi, Calderoli, Maroni e lo stesso Zaia.
La verità sugli avvenimenti di quei giorni è tutta sui dati economico-finanziari che dettarono misure di austerità e che diventaro l’alibi per il Governo di Centrodestra per non procedere con alcun negoziato (e concessione) con la Giunta regionale del Veneto.
Si può dire che oggi il quadro ed il contesto economico-finanziario del Paese siano meno vincolanti?!
Quindi oggi non si può invocare il sostegno popolare facendo lo gnorrri sulla vicenda del 2008 con la tesi che la partecipazione ad un sondaggio formalizzato a cui parteciperà (solo) una parte avrebbe una forza politica superiore a quella che era espressa da un intero ceto politico concorde a livello regionale che poteva contare su una granitica maggioranza di centrodestra a livello nazionale.

UNA DOMANDA RIVOLTA AI PROFESSORI PRESENTI
Secondo voi i consiglieri regionali ed i governanti di quel tempo esprimevano la rappresentanza del popolo o no?
Condivido da sempre le perplessità del prof. Sabino Cassese sui rischi e pericolo che derivano dal deviare dal corso della democrazia rappresentativa:
“Vi sono forme di democrazia diretta attraverso referendum. Ma questi possono svolgersi solo su un numero limitato di materie. E si prestano a simulazioni, perché quasi mai sono quell’esempio che dovrebbero essere di single issue politics : a una domanda bisogna dare una risposta. Vengono spesso utilizzati per ottenere plebisciti sulle persone o sui governi. Molti studiosi ritengono i referendum confusi e pericolosi per la democrazia, perché i votanti sono solitamente poco informati, non scelgono sulla base del merito della questione loro posta ma si orientano sulla scorta di altre questioni” (La Democrazia ed i suoi limiti)
Vogliamo per esempio vedere come la cosidetta Comunicazione istituzionale della Giunta regionale ha letteralmente occultato i contenuti e gli obiettivi reali dei quesiti referendari (cinque su sei) respinti dalla Corte Costituzionale, ma sostanzialmente usati nel marketing elettorale del Presidente Zaia per galvanizzare gli elettori incerti e dubbiosi di fronte alla banalità dell’unico quesito “salvato” dalla sentenza 118/2015.
Vogliamo analizzare come il sito della Regione Veneto ha pubblicato le informazioni sulla campagna elettorale?
Vogliamo esprimerci sugli equilibri delle risorse investite e degli spazi riservati per sottoporre agli elettori le diverse posizioni in campo per il 22 ottobre prossimo?

MA VENIAMO AL TEMPO PRESENTE
Premesso che il referendum del 22 ottobre non ha alcuna valenza politica (così come disposto dalla sentenza della Corte Costituzionale e dalla sentenza del TAR veneto che l’ha giudicato non vincolante), ci rendiamo conto che non riconoscere la rappresentatività degli eletti è pericoloso e dannoso?
Vogliamo ricordarci tutti che abbiamo eletto giusto due anni fa Zaia, con un alto grado di legittimazione, seppur il maggior partito è stato quello degli astensionisti con il 43 % -) per fare le cose che adesso ci chiede di essere autorizzato a prendere in considerazione con degli effetti che sono dei boomerang clamorosi.
Si è arrivati a sostenere che se non viene raggiunto il quorum la pratica per la maggiore autonomia può essere archiviata!

ARCHIVIARE LA QUESTIONE AUTONOMIA?

Vent’anni di rivendicazioni (chiamiamolo patrimonio ideologico-culturale) della Lega Veneta sono state portate al massacro in Corte costituzionale.
Ed ora, se l’umore, di fronte ad un quesito risibile per il quale c’e’ gia’ la risposta nel testo costituzionale, dovesse volgere all’indifferenza, i rappresentanti istituzionali della Regione avrebbero l’alibi per continuare a disimpegnarsi come hanno sostanzialmente fatto dal 2001?
Ma c’è un altro effetto negativo dell’iniziativa referendaria, per come è stata propagandata, a prescindere dal risultato elettorale, anche se esso dovesse esprimere un largo consenso.
Non so voi, ma io frequento e discuto sui socialnetwork: i più numerosi ed entusiasti sostenitori del SI, lo interpretanto come stratagemma giuridico per proseguire il sogno dell’indipendenza sul modello catalano ed i più moderati come un chiavistello per aprire le porte di Arcadia.
Mi piacerebbe chiedere a voi come lo interpretate, perche vi debbo avvertire da fervente federalista che piu’ alto e’ il vostro livello di attesa, piu forte sara’ la delusione che vi aspetta.
L’altro giorno un’inviata della RAI e venuta ad intervistarmi e mi sono reso conto che nella sua registrazione c’era la mia testimonianza solitaria per l’astensione motivata e quella di tutti gli altri per i sogni più vari (legittimi per gran carità): da un posto di lavoro all’espulsione degli immigrati molesti, dal tenerci i soldi ad essere paroni a casa nostra, fino alla maggioritaria opzione per l’indipendenza.
Ora le persone ragionevoli che fanno politica od esercitano una responsabilità sanno fare i conti con le mediazioni, ma i cittadini semplici che investono emotivamente sulla speranza politica e la vedono strumentalizzata diventeranno ancor più insofferenti e frustrati nei confronti delle istituzioni: quelli moderati per natura continueranno ad imprecare, quelli predisposti a comportamenti ribellistici usciranno allo scoperto e non ci dovremo stupire delle loro reazioni violente.

IL 23 OTTOBRE FINISCE IL TRUMAN SHOW
La situazione che dovremo affrontare tutti il 23 ottobre, indipendentemente da come avremo votato o non votato, sarà l’uscita dal Truman show nel quale siamo stati cacciati, dimenticare l’Arcadia che ci è stata illustrata nel documento che ho citato che tra le tante adulterazioni della realtà, ne annovera una che meriterebbe una denuncia per falso ideologico (ma sarà più umiliante la vergogna che proverà l’estensore della risposta n. 25 preparata per il malcapitato Presidente) laddove si preconizza un anno per arrivare all’intesa tra Regione e Stato.
Qui siamo di fronte ad un caso di allucinazione; se fosse vero, vorrebbe dire che la trattativa con il Governo che il Ministro Costa aveva dichiarato praticabile nella primavera del 2016, potenzialmente sarebbe già conclusa e ciò non sarebbe acccaduto per l’aver scelto procedura fondamentalmente populista ed antidemocratica perché orientata a sottrarre i Rappresentanti alla responsabilità decisionale che loro compete.
Ma voi avete idea nella prossima legislatura che Governo e Parlamento avremo? Con la difficoltà che ci saranno per dare vita ad una maggioranza e con il clima antisettentrionale che sarà montato nell’elettorato del Sud di fronte alla prospettiva (del tutto virtuale, ma propagandata da Maroni e Zaia) , che al Bilancio nazionale vengano sottratti i presunti 60 miliardi di residuo fiscale per darli alle Regioni ricche) che percorso di guerrra si presenterà per le nostre istanze?
Il referendum quindi si presenta come una procedura estranea ed esterna e che deroga dai passi previsti dall’art. 116; non è inutile, come da diversi pulpiti (persino l’incauto Renzi) si è sentito: è dannoso perché accentua un clima conflittuale, svia tutta l’energia che doveva essere incanalata nel processo negoziale con il Governo.

IL MIO INVITO ALL’ASTENSIONE QUINDI E’ CONTESTUALE A QUELLO PER UNA MOBILITAZIONE DEMOCRATICA
Non costituisce quindi la diserzione da una battaglia in cui sono stato impegnato da tutta una vita, ma un messaggio di responsabilita’ per uscire dalle bolle mediatiche e cominciare ad incidere sui processi reali.
Di una cosa potete stare certi: io il 23 saro ancor piu’ convinto e determinato a procedere nella strada che ho iniziato vent’anni fa lavorando al Protocollo sottoscritto da Galan, il Ministro Treu ed il Segretario della CISL Veneto Giorgio Santini.

1997 – 20017: dalla secessione bossiana alla farsa zaiana

Tempo di lettura: 6 minuti

Vent’anni perduti per l’autonomia del Veneto, tra incanti catalani ed affari nostrani

Assistendo da spettatore interessato alla commedia degli equivoci che il nostro Presidente Luca Zaia sta mettendo in scena e che potrebbe avere il titolo, rubandolo a William Shakespeare, Molto rumore per nulla, ad un certo punto sono stato preso da un dubbio assillante: questa sceneggiatura e questi testi mi ricordano qualcosa…

Poi mi è capitato in mano Il Gazzettino di mercoledì 27 u.s. nella sua veste elegante e sobria, ed ho posato lo sguardo sull’articolo di spalla che sotto il bandierone di San Marco sventolante, recitava: “Referendum utile per due veneti su tre”, con il sottotitolo L’Osservatorio: per il 66 % rafforzerà la Regione. Il 20 % è per l’indipendenza.
A quel punto sono corso a rovistare nei faldoni del mio archivio, che resiste all’usura del tempo e della memoria, ed ho estrapolato la documentazione, corposa ed inossidabile, che dà conto della tumultuosa vicenda nordestina degli anni ’90: un periodo storico burrascoso per i rivolgimenti traumatici sul piano politico che hanno attraversato la nostra Regione.
Tra le molte cartelle impolverate che vi cercato e trovato (e che a gentile richiesta posso fornire a tutti coloro che sono appassionati di remake) c’era naturalmente il sondaggio che – giusto vent’anni fa – dava conto di circa il 70 % della popolazione molto favorevole all’autonomia e il 17 %, udite udite, alla secessione (allora si usava così, Bossi imperante, mentre oggi fa trendy usare le suggestioni scozzese e/o catalana e quindi suona meglio indipendenza).
L’interrrogativo che immediatamente mi sono posto è stato: sono i veneti duri di cervice che, nonostante i cataclismi intervenuti e la globalizzazione imperante, sono fermi lì a difendere le posizioni terragne o, più verosimilmente, sono i ricercatori che continuano ad andare a finire sul sicuro e sparare quelle quattro tabelline che corrispondono ad un diffuso senso comune che fa tanto comodo alle redazioni dei giornali ed ad un’opinione pubblica infastidita di dover interrogarsi sugli stessi quesiti retorici quanto capziosi da un quarto di secolo, tanto da indurre i genitori a rimpallarli ai figli: “rispondi tu che quelli di…… hanno richiamato per sapere quanto ci teniamo alle sorti del nostro Veneto!”
Ma non è finita qui, naturalmente, perché all’interno delle pagine dedicate a box ed interviste sui risultati mirabolanti del sondaggio, chi poteva esprimere un commento ponderato e, per così dire, neutrale? Ma un costituzionalista di grido ciò! Ecco quindi il prof. Mario Bertolissi che of course si pone subito dalla parte dei “cittadini che hanno capito, tanti politici no”; che cosa? “che gli interessi del Veneto possano essere sostenuti principalmente attraverso l’elezione di parlamentari capaci, così come di partiti in grado di difendere le questioni che toccano maggiormente il territorio”.
Scoperta davvero sorprendente, ma soprattutto intrigante; affermazione che un esperto di linguaggio potrebbe asserire contenga una metacomunicazione che recita così: “la compagnia di deputati e senatori espressi dalla maggioranza politica che negli ultimi lustri (da Galan a Zaia) ha governato il Veneto – e che io conosco molto bene perché sono stato e sono il loro consulente giuridico– non sono stati all’altezza di esprimere le istanze dei veneti” (oddio, ci vuole un forte coraggio civile ad esprimersi così nei confronti di chi ha riposto la sua fiducia in te!).
Non pago, però, dell’intemerata ed approfittando della domanda furbetta del giornalista (Qualcuno pensa che il referendum sia un modo per accrescere i consensi della Lega e di Zaia), ecco arrivare la bordata, o meglio la pillolina blu che rafforza lo spirito democratico: “Una minoranza. Il referendum è innanzitutto l’espressione di una grande forma di libertà per i cittadini. E servirà a svegliare Roma” (Perbacco!).
Ora, lo so, quelli che di voi sono informati del fatto che il professore patavino è un costruttore materiale dell’impianto giuridico dei quesiti presentati dalla Regione Veneto e cassati quasi in toto dalla Corte Costituzionale, ed inoltre è stato il difensore della Regione Veneto stessa quando eè stata chiamata in causa presso il TAR ed il Tribunale civile di Venezia con un Ricorso contro l’effetuazione del (da me detestato) referendum farlocco, penseranno che io stia esprimendo delle considerazioni un po’ sarcastiche.
Niente di più sbagliato; posso portare la prova del rispetto, anzi della considerazione che nutro per la “carica agonistica” che il docente patavino esprime da tanti anni sui temi del federalismo (fiscale innanzitutto) e vi segnalo quindi il link del socialnetwork che ho dedicato ai temi della storia veneta: www.storiaecultura.ning.com
Ciò che mi interessa evidenziare è che il le analisi e la concezione sottese alle considerazioni di Mario Bertolissi riecheggiano un plot narrativo condiviso da una ristretta elite culturale veneta che dagli anni ’90 si è messa ad inseguire il movimentismo leghista pensando di recuperarne la carica eversiva all’interno di un progetto federalista tanto generoso, quanto velleitario e subalterno all’agenda politica dettata dal verbo bossiano che nel tempo presente è stato metabolizzato ed aggiornato nella versione tardorotea della secessione venetista rappresentata da Zaia.
L’anno cruciale su cui concentrare l’attenzione (compito facilitato se si può contare su un buon archivio) è il 1997: è passato sotto silenzio che giusto 20 anni fa il leader leghista organizzò la “spallata” concentrando a Venezia il 16 di settembre la manifestazione per la secessione, contrastata da due contromanifestazioni che si svolsero una a Venezia e l’altra a Milano il successivo 20 settembre, organizzate da CGIL CISL UIL nazionali.
Quegli eventi consentirono agli analisti più raffinati di comprendere il concretizzarsi di una fenomenologia sovversiva tanto più chiaramente quanto più robusta sul piano disciplinare era la loro conoscenza del pensiero e del sistema politico italiano.
Innanzitutto sottolineando che in Italia la cultura federalista e la domanda di autonomia erano strutturalmente deboli e che in ogni caso la Lega non ci azzeccava alcunchè con esse, inseguendo obiettivi di destrutturazione istituzionale traumatica, essendo “condannata ad essere eversiva” (come ebbe modo di illustrare con lucidità impressionante Umberto Curi in un saggio pubblicato nella rivista Micromega n. 4, 1997).
Un secondo punto nodale che i politologi più attenti e rigorosi (cito un nome per tutti, Michele Salvati) rilevarono era che l’evocazione della nazione padana ed il cosiddetto “male del nord” più che rappresentare un progetto compiuto ed una questione territoriale, andavano letti come reazioni ad un sistema Paese abbruttito ed appesantito da un carico fiscale insopportabile, dalla corruzione diffusa e dall’inefficienza di una PA e di uno Stato centralistico, dai trasferimenti asimmetrici agli Enti locali ed alle Regioni, seguiti dagli sprechi e dissipazioni in particolare al Sud…
Ma nel Veneto provinciale e politicamente azzoppato da Tangentopoli, un pezzo emergente di nuova classe aspirante a diventare dirigente adottò un paradigma interpretativo, della crisi politico-istituzionale in corso e del movimentismo leghista, che prefigurava una inedita centralità territoriale nordestina, commettendo un errore di valutazione colossale (a) e facendo una scelta profondamente opportunistica (b):
a) distorsione e sottovalutazione dell’impatto della subcultura del Carroccio sul quadro politico locale
b) uso comune di uno storyelling sul Veneto, come strumento per acquisire visibilità e credito nel mercato politico, editoriale, universitario e sindacale nazionale.
I primi ad accorgersi dei limiti e dell’inconcludenza di una visione che, al di là delle carriere e dei progetti personali, non era supportata da un radicamento sociale e da un programma convincenti, sono stati i leader del Movimento Nordest i quali – nella loro improvvisazione organizzativa – hanno lasciato – inconsapevolmente – in eredità ad un giovane militante leghista trevigiano un patrimonio di elaborazioni ed obiettivi (dalla rivendicazione del Veneto Regione a Statuto speciale alla proposta di Referendum consultivo).
Oltre tre lustri dopo la loro divulgazione (novembre 1997) tali documenti sono entrati pari pari nella strategia di Zaia e dei suoi consulenti giuridici per ridare slancio all’assalto al “nemico che sta a Roma” trasformando un onesto e generoso, quanto ingenuo tentativo di diffondere il messaggio federalista, in una torbida manovra propagandistica destinata ad esasperare piuttosto che incidere positivamente (sul)le tensioni del rapporto periferia-centro, ovvero Regione-Stato.
Mi sono soffermato con alcune rapide annotazioni sugli eventi di quegli anni perché già allora emerse con virulenza la contraddizione irresolubile, cioè il contrasto tra l’impostazione ideologica lega-venetista e l’ispirazione democratico-riformista sui percorsi dell’autonomia.
Sono rimasto quindi sconcertato nell’ultimo mese nel constatare – in riferimento alla vicenda del referendum farlocco – il riemergere di ingenuità, subalternità, superficialità, opportunismi, disonestà intelletttuali, di tutta una serie di “chierici” che, forse ingolositi dalla prospetiva di poter partecipare al banchetto di una Regione potenziata ed arricchita dalle risorse di una mitologica Autonomia, non si sono ancora accorti di essere passati dalla stagione eroica dell’impegno e delle disillusioni degli anni ’90, a quella attuale in cui Zaia ha riservato loro un ruolo temporaneo di comparsa, anzi di utili idioti in un canovaccio che non prevede un lieto fine.
Se è comprensibile per un irriducibile e romantico avvocato-giurista come Mario Bertolissi tentare (e fallire clamorosamente) il pressing nei confronti della Corte Costituzionale per veder legittimata una visione opinabile dell’autonomia, per tutti gli altri che hanno un ruolo pubblico od esercitano una professione, nel “cortile veneto”, con strumenti conoscitivi, saperi, competenze specialistiche che consentono loro di comprendere la realtà dei fatti, ovvero che l’aspirante Doge è letteralmente nudo di fronte a responsabilità istituzionali che non ha saputo (nel 2008) e voluto (dal 2014) assumere, si pone l’interrogativo: “cosa posso fare per la mia Regione onde evitarle l’avventura in cui la sta portando un Presidente-coniglio, pavido ed incapace di affrontare la dura e complessa trattativa con il Governo ed aiutare lui, la Giunta ed il Consiglio Regionali ad intraprendere il percorso istituzionalmente più congruo ed efficace?”
Il ventennio passato ci ha fatto vivere esperienze e dato lezioni sufficienti per assumere scelte con un tasso di rigore etico ed onestà intellettuale tali da orientare e promuovere una netta discontinuità politico-culturale nella governance del nostro Veneto.

Il referendum farlocco

Tempo di lettura: 31 minuti

Perché disertare l’urna il 22 ottobre 2017 e nel contempo non farsi defraudare della propria fiducia verso le istituzioni repubblicane.

“COMITATO RISCOSSA CIVICA VENETA CONTRO IL REFERENDUM FARLOCCO”

Autore Enzo De Biasi – Documento approvato dal Comitato il 1° settembre 2017

Premessa

L’autore di questo documento è Enzo De Biasi residente in Mogliano, cittadino e contribuente che ha integrato e condiviso i concetti qui espressi con altri cittadini e contribuenti: Alfonso Beninatto residente in Breda di Piave, Dino Bertocco residente in Padova, Lucio De Bortoli residente in Montebelluna, Giovanna Mazzer residente in Treviso, Ivano Sartor residente in Roncade, soci fondatori del comitato “Riscossa civica veneta contro il Referendum Farlocco”
Lo scopo è quello di fornire un quadro sufficientemente esaustivo sul significato effettivo e sulle probabili ricadute che potrà avere la prossima consultazione referendaria regionale, tenendo ben presenti: l’inconsistenza del quesito, gli equivoci e gli inganni volutamente creati dalla leadership leghista sull’argomento, la scarsità di informazione disponibile e la poca conoscenza e dimestichezza di gran parte dell’elettorato in materia istituzionale.
Il contesto di riferimento del quesito referendario, il livello nazionale.
Il 22 ottobre avrà luogo in Veneto il referendum indetto dal Presidente della Regione del seguente tenore: “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”
Ad una prima lettura è una domanda che desta subito simpatia. Difficile non voler rafforzare l’ente regione affidandogli maggiori capacità d’intervento nel proprio territorio. Rispetto ad altre entità che sono percepite più distanti – Stato Nazionale ed Unione Europea – in genere il cittadino veneto sente più vicina la Regione perché conosce di più i suoi rappresentanti ed anche perché è alla sua “portata”.
Ora, per capirne di più ed uscire dalla semplicità ingannevole ma intenzionale dell’interrogativo referendario, va detto che la frase è tratta dall’art. 116 comma 3 della Costituzione, che rimarca tre elementi fondativi volutamente omessi:
a) il rafforzamento delle competenze auspicate non può espandersi fino a mettere in discussione l’“Unità Nazionale”,
b) L’interpello al popolo non aggiunge né toglie alcunché. Le nuove competenze sono già tutte elencate nell’articolo citato e l’opzione regionale è tassativamente limitata a quell’elenco e, per altro verso, la scelta di cosa chiedere è già stata fatta dalla Regione nel marzo 2016, (11)
c) la richiesta della Regione Veneto di avere maggiori poteri, comporterà necessariamente un aumento del fabbisogno economico che essa potrà ottenere trattando obbligatoriamente con lo Stato, in via successiva. Tale

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fase negoziale, appena avviata il 16 maggio 2016 è stata inopinatamente ininterrotta per scelta unilaterale da parte della Regione Veneto. (22) Va ampiamente pubblicizzato che il referendum non serve a far diventare la Regione del Veneto né una Repubblica indipendente e sovrana, né tantomeno una Regione Speciale, così come lo sono: il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste. Alle Regioni speciali è riservato un trattamento di favore nei trasferimenti statali per l’esercizio delle funzioni attribuite, congiuntamente al fatto che esse trattengono presso di sé una percentuale variabile dei tributi e delle tasse pagate dai cittadini e dalle imprese residenti nei loro territori a partire da 6/10 decimi e fino a 9/10 decimi dell’incassato. (33)
Inoltre, l’inquadramento costituzionale dell’interrogativo sottoposto in autunno ai cittadini non è il risultato di qualche elaborazione proveniente da parte avversa a chi ha indetto il referendum, è invece quanto ha stabilito la Corte confermando i principi della Carta Costituzionale nella sentenza di luglio 2015, dopo che era stata interpellata da ben due leggi votate nel 2014 dal Consiglio Regionale del Veneto a guida leghista. (44) L’intervento del giudice delle leggi, previsto dalla Carta Costituzionale a tutela dell’equilibrio dei poteri stabiliti dalle norme codificate, è stato richiesto dal Governo in carica avvertendo minacciata l’unitarietà della Repubblica e l’invasione in materie di propria competenza, nelle fondamenta istituzionali e nel delicato settore del fisco e delle tasse. A fronte di 6 (sei) quesiti per il quale il Veneto ha chiesto di poter procedere con referendum, ben 5 (cinque) sono stati cassati; rimane in piedi quello citato che, se non arricchito di informazioni appropriate, appare più uno slogan che una domanda seria. (55) Nella prima e travolgente richiesta di referendum riguardante il “Veneto Repubblica Indipendente e Sovrana” , palesemente contraria ai principi fondanti e fondativi insiti nei primi 5 articoli della Costituzione, la sentenza nr.118/2015 nel motivare il diniego, richiama espressamente la tesi elaborata dal team di giuristi “a servizio” del Presidente della Regione e fatta propria dallo stesso, che per difendere l’indifendibile sostengono che “la consultazione prevista dalla legge in questione non sarebbe altro che “un sondaggio formalizzato” . Essendo questa la natura, di fatto, anche dell’unico quesito ammesso è appena il caso di osservare che trattasi di un’indagine svolta presso l’intero corpo elettorale il cui conto va addebitato al cittadino-contribuente -a sua insaputa- in quanto caricato nel bilancio regionale, ma distolto da ben più ragionevoli destinazioni a maggiore valenza economica e sociale.
Già a questo punto, numerose sono le motivazioni per chiedersi se ha senso recarsi il 22 ottobre alle urne. Ma proseguiamo nella narrazione, approfondendo ulteriormente la problematica sottesa al quesito in esame.
La diversità delle Regioni e delle Province Autonome a Statuto Speciale è una situazione oggettivamente intollerabile a settant’anni dall’approvazione della Carta Repubblicana, che la classe politica nazionale avrebbe dovuto e potuto affrontare da tempo e almeno dal 1992 allorquando in Maastricht venne deciso l’euro.Considerata l’inadeguatezza delle nostre classi dirigenti – peraltro sempre confermate dal suffragio popolare – del tutto incapaci nell’affrontare la rimozione delle palesi disparità territoriali, anche attraverso un referendum volto ad abrogare l’art. 116 comma 1 , non ha stupito, né stupisce il consenso raccolto dal movimento leghista che sollecita l’immaginario collettivo dei Veneti promettendo di diventare nei fatti, anche se non di diritto,” speciali” come le regioni finitime. Che l’obiettivo sia destituito da ogni plausibile fondamento, la dirigenza leghista lo sa ma non lo dice. D’altronde è ben difficile che il cittadino legga la Gazzetta Ufficiale oppure il Bollettino Ufficiale della Regione Veneto, sentenze della Corte e leggi regionali incluse.Infatti, nello specifico, l’attuale reggenza politica del Veneto non può che porre sullo stesso piano e con la stessa intensità la “guerra al Tiramisù friulano” e l’appello al voto per un quesito privo di contenuti, rivolgendosi in questo caso a tutta la popolazione regionale. L’operazione, in entrambi i casi, è perfino facilitata dato che la controparte è sempre “Roma ladrona”.Invece che risolvere in radice il problema delle disparità territoriali legittimamente certificate dalla Costituzione, il ceto politico maggioritario al governo nazionale nel 2001, per arginare in qualche modo il malumore crescente
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delle Regioni del Nord – capitanate al tempo da un giovane Leader Massimo, Umberto Bossi, ha provveduto aa modificare proprio gli articoli ora in discussione concedendo alle Regioni ordinarie la possibilità, previa richiesta allo Stato centrale, di avere maggiori poteri e risorse subordinando il tutto ad una trattativa di metodo, di merito e di soldi con il Governo nazionale. Giusto per ricordare i fatti, la riforma costituzionale del Titolo V della Costituzione fu sottoposta a referendum e la stessa venne confermata con il 64% (64.20%) dei votanti Si ed un 36% (35.80%) votanti No. Il Centro Sinistra a favore ed il Centro Destra, Lega inclusa, contrari.
………, il livello regionale.
Volendo ora esaminare qualche dettaglio, un po’ significativo per qualche altra riflessione sul tema, è il caso di iniziare proprio dalla formulazione stessa del quesito. E qui soccorre un paragone con quello omologo che si troverà di fronte il cittadino lombardo. È noto infatti che entrambe le regioni, Lombardia e Veneto, a trazione leghista vogliono battere il pugno sul tavolo nazionale per far valere le loro ragioni. Il testo veneto è il seguente: “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”
il testo lombardo recita invece: “Volete voi che la Regione Lombardia, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma della Costituzione? ”Il quesito lombardo rispetta, pur se in dose minima, il cittadino/elettore: prefigura infatti la complessità dell’iter successivo che non potrà prescindere dal “quadro dell’unità nazionale” e dalle “risorse” da reperirsi con le modalità stabilite dall’art. 116 comma terzo. La domanda in Veneto, a contrario, ha l’unico scopo di catturare da subito il SI del cittadino/elettore, chiedendo una pronta adesione. Dato che fa sparire la difficoltà del problema, non induce l’elettore ad alcun esame critico del testo e men che mai, sospinge verso una qualche forma di approfondimento sull’argomento.
Insomma il Presidente Lombardo salva almeno le apparenze ed offre un barlume di riflessione, il Presidente del Veneto il nulla! Conoscendo molto bene i Veneti, la comunicazione sarà focalizzata su di una unica tonalità “Cittadini, andate a votare il 22 ottobre” il resto verrà da sé. Chapeau, davvero un genio della comunicazione e delle tecniche di marketing!
Proseguendo nelle argomentazioni: la Corte, che ha ammesso la domanda che vedremo stampata sulla scheda, ha tenuto a precisare che “Il referendum è una fase anteriore ed esterna rispetto al procedimento prestabilito dall’art. 116” che consiste nell’ “approvazione di una legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, con voto favorevole delle Camere a maggioranza assoluta dei propri componenti e sulla base di un’intesa fra lo Stato e la Regione stessa”. Inoltre, la Consulta constatato che manca “nel quesito qualsiasi precisazione in merito agli ambiti di ampliamento dell’autonomia regionale su cui si intende interrogare gli elettori” ha fornito, in sede di accoglimento del referendum farlocco, alla Regione la propria interpretazione autentica di cosa deve essere sottoposto al corpo elettorale. La domanda referendaria deve (avrebbe dovuto) esplicitare che le «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» su cui gli elettori sono chiamati ad esprimersi possono riguardare solo le «materie di cui al terzo comma dell’art. 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s)», come stabilito nelle disposizioni costituzionali. Di tale prescrizione che sta nell’ordinanza di approvazione dell’unico quesito rimasto, non appare traccia nella scheda elettorale. L’omissione è stata voluta, infatti al Presidente interessa nascondere e non far conoscere al cittadino-elettore per quali finalità è interpellato, meglio una domanda evocativa e di fantasia del tipo “Vuoi tu bene alla mamma?” cosicché votando, ognuno esprime i propri sogni verso la genitrice ossia l’amata terra. Essendo l’ambito del referendum regionale “esterno” al percorso del comma 3 art. 116 e considerato che la consultazione è indubbiamente dispendiosa in termini di tempo perso e di denaro , dicasi 13.510.000,00 € a carico del bilancio regionale, ci si domanda cosa ha spinto il Presidente del Veneto ad abbandonare le trattative da poco avviate dal Governo il 16 maggio 2016 ed indire il referendum del 22 ottobre se non ragioni “altre”, ma di nessun concreto interesse né per i cittadini né per il territorio regionale. Chi sostiene la bontà della scelta referendaria non considera l’evenienza che, in caso di ulteriori inceppi, non si potrà ricorrere ad altra “arma di pressione popolare” nei confronti della governance politica nazionale e, conseguentemente, sulla questione calerà per sempre il sipario. È un rischio da tener ben presente.3

In verità, l’operazione risponde a tutt’altre esigenze, in primis quelle di riuscire a mantenere il consenso elettorale del centro destra, specificatamente quello leghista, dopo che la Corte ha bocciato definitivamente ogni e qualsivoglia velleità “padana” in materia di: indipendenza, sovranità, specialità, autonomia legislativa ed economica. Insomma il “borsellino ideologico” liquidato per via giudiziale, anziché dalla “buona politica”: un po’ triste ed amaro!
La scelta leghista di usare in termini avventati la “chiamata al popolo”, effettuata in via principale dal Presidente, ha fatto e sta facendo nel brevissimo termine gli interessi della sua parte politica. Egli è già un vincitore, a meno che alle urne non si presentino meno della metà più uno degli elettori.
Chi rappresenta allora l’interesse dell’Ente Regione ovvero della rappresentanza territoriale nel suo complesso?
Allo stato qualche voce sparuta, da qui la necessità di disertare l’urna il giorno 22 ottobre.

Atti, Dati e Fatti , ovvero informarsi e comprendere perché non andare a votare il 22 ottobre 2017
L’ inutilità ed inopportunità del referendum consultivo del Veneto è ora ulteriormente sviluppata e ragionata con una selezione di atti, dati e fatti afferenti l’opzione in esame. In questa direzione vanno i seguenti paragrafi:
a) gli articoli della Costituzione nr. 116, 117, 119 alla luce della decisione regionale referendaria,
b) la sintesi del cammino finora realizzato dalla Regione Veneto in applicazione art. 116 comma 3,
c) tempistica atti e comparazione quote di compartecipazione tra Regione Veneto e Regioni a Statuto Speciale.
a) gli articoli della Costituzione nr. 116, 117, 119 commentati,
Articolo 116, testo costituzionale.
Il Friuli Venezia Giulia [cfr. X], la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale.
La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano.
Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo
117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata.
Commento:
Lart.116 comma 3, si compone di tre fasi concatenate l’una all’altra in una sequenza logico-temporale, di cui la fase referendaria è una fase distinta ed antecedente che per nulla incide sull’esito delle medesime, usando il linguaggio della Corte non permette “di derogare ad alcuno degli adempimenti costituzionalmente necessari” “.
Alcune questioni complesse da affrontare (rectius che dovranno essere affrontate) nelle tre differenti fasi.

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a) La necessità di sentire “gli enti locali” è stato ribadito dalla Corte, il loro parere è di natura obbligatoria ma non vincolante, e comporta la necessità di individuare forme di loro consultazione, attesa la perdurante mancata istituzione del Consiglio delle autonomie locali, (C.A.L.) previsto dall’articolo 123 della Costituzione a 16 anni data dall’entrata in vigore della modifica costituzionale. Sul tema languono in Consiglio Regionale, due disegni di legge abbinati e licenziati dalla competente commissione in un unico testo già a decorrere dal 28 ottobre 2015. Ma si sa il destino è cinico e baro, infatti la maggioranza leghista non ha finora trovato né il tempo né il modo, di calendarizzare e quindi votare in Assemblea ciò che ha già votato in Commissione; forse sta sabotando sé stessa. Comunque sia ora è nella consapevolezza dei Consiglieri Regionali il comma 3 art. 116, che impone l’obbligo di dover consultare gli enti locali, presumibilmente il dettato costituzionale potrà accelerare l’iter di approvazione di una legge regionale attuativa anche dell’art. 11 dello Statuto. Oltre le regole di composizione del CAL e delle funzioni da svolgere, si segnalano -in anteprima- delle criticità si segnalano sulle seguenti aree:
a1) in quale fase del procedimento riguardante l’intesa Stato-Regione, questa debba essere oggetto di parere, affinché vi sia tempo e spazio per entrare nel merito della stessa e fornire un parere motivato e ragionato,
a2) valutando sia il contenuto dell’articolato che le schede per ciascuna materia per la quale la Regione chiede il trasferimento è indubbio che gli Enti Locali osserveranno attentamente quale potrà essere la loro parte nello specifico e, nel complesso, insistendo con la Regione per avere assicurazioni anche nei loro confronti. Il decentramento e l’esercizio delle funzioni, in particolare amministrative e regolamentari, dovrà diventare metodo normale di esercizio delle stesse: per lo Stato verso la Regione, da questa verso i Comuni.
b) L’intesa deve avere un contenuto, ma di che ampiezza e profondità? L’intesa Stato-Regione non dovrebbe essere limitata alle modalità di esercizio delle potestà normative (legislativa e regolamentare) nelle materie considerate ma dovrebbe, invece, riguardare anche la distribuzione delle funzioni amministrative e delle risorse finanziarie per il corretto funzionamento delle prime. Allo stato dell’arte, il testo costituzionale consente la massima libertà e dunque sono possibili numerose varianti. L’intesa, quindi, dovrebbe avere cura di:
b1) delimitare, nel modo il più puntuale possibile, i confini interni della materia e gli ambiti settoriali inclusi nel conferimento;
b2) individuare quale tipologia di potestà normativa consentire alla Regione nella materia così delimitata, potendosi spaziare in una gamma compresa tra la potestà esclusiva e la semplice potestà regolamentare; b3) specificare il riparto delle funzioni amministrative negli ambiti settoriali indicati anche con riferimento alle funzioni assegnate da altra legislazione statale (tra cui il dl n. 95 del 2012 convertito nella legge n. 135 del 2012 e la legge Delrio, n. 56 del 2014) agli enti locali territoriali (Città metropolitane, Province, Comuni);
b4) definire il quadro finanziario legato ai trasferimenti di funzioni, rimodulazione tributi esistenti, diversa partecipazione al gettito, nuovi tributi;
b5) prevedere una o più sedi di raccordo permanente sul modello delle commissioni paritetiche esistenti nelle Regioni speciali. Per quanto riguarda la proposta avanzata dal Veneto con dgr nr. 315 del 15 marzo 2016, Allegato A) non tutti i punti soprarichiamati sono stati definiti, anche a causa dell’interruzione improvvida voluta dal Presidente del Veneto. Celebrato l’inutile referendum, il percorso spezzato riprenderà di necessità da questo punto.
c) Quali potranno essere i tempi di approvazione successivi all’intesa Stato-Regione? In base alle disposizioni vigenti, art. 1, comma 571, della legge di stabilità per il 20145 (l. n. 147 del 2013), è previsto un

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termine di 60 giorni dal ricevimento dell’iniziativa regionale entro il quale il Governo ha l’obbligo di attivarsi sulle proposte di attuazione dell’art. 116 comma terzo Cost., anche se finora tale possibilità non ha prodotto esiti significativi. Inoltre, una volta che si è concluso il negoziato e l’accordo è stato recepito da entrambe le parti, dovrebbe essere il Governo a presentarlo al Parlamento. Qualora l’Esecutivo non ottemperi, è immaginabile che l’iniziativa possa essere presa dai parlamentari eletti nella regione che ha sottoscritto l’intesa, nel presupposto che questi ne condividano il punto di equilibrio raggiunto. Difficile fare previsioni sull’argomento. In effetti, un conto è “rappresentare” le istanze del territorio di appartenenza, un conto è privilegiare il gruppo parlamentare di appartenenza, non sentendosi influenzati dalla collocazione del proprio partito rispetto alla maggioranza governativa in essere al momento. La norma stabilisce che il patto siglato, dovrà essere approvato nel medesimo testo in ciascuna delle due Camere a maggioranza assoluta dei componenti: 316 deputati e 158 Senatori, l’effetto “navetta” non è affatto escluso e tutti sanno che può durare anni! Il testo dell’accordo è emendabile oppure non è emendabile? Va da sé, che in questa seconda opzione le leggi di approvazione delle intese ex art. 116 comma terzo, saranno costituite da un articolato chiamato a riprodurre fedelmente il testo dell’intesa. Sullo sfondo resta il quadro politico già oggi molto “strappato”, tendente al peggioramento più ci si avvicina alla primavera del prossimo anno, ben consci che il post elezioni può significare un ritorno al passato, ovvero a Governi di coalizione, larghe e folte, ma che faticano a reggere decisioni che puntano a premiare un’unica parte del territorio italiano. Ecco perché vanno ascritte alle responsabilità specifiche in modo maggiore del Centro Destra ed in modo minore, ma compartecipe, del Centro Sinistra, gli ultimi 16 anni persi in Regione Veneto senza avere applicato l’art.116 comma terzo!
In conclusione, la fase a) potrebbe avere tempi gestibili, trattandosi di una fase in house a Venezia, ed ancheperché tutti gli attori in scena hanno l’interesse a fare presto e bene, ma solo nel presupposto che tutte le previsioni costituzionali e statutarie avessero già trovato attuazione. Nei fatti così non è, dato che il C.A.L. regionale ancora non esiste. La fase b) diventa più complicata perché entra in campo l’altro soggetto contraente: il Governo Nazionale. Qui dipenderà molto dalla distanza tra le richieste regionali e l’offerta governativa, dalla composizione e dalla qualità dei rapporti politici e personali intercorrenti tra le componenti regionali versus esecutivo e viceversa, dall’imponderabilità degli eventi successivi alle elezioni del prossimo anno. Tempi per concludere, visti i precedenti (leggasi più avanti quanto accaduto nel quinquennio 2005-2010), non prevedibili. Ancora più incerti ed indecifrabili sono i tempi della fase c) ossia l’approvazione dell’accordo Stato-Regione del Veneto, una volta che lo stesso è approdato in Parlamento.
Se tutto va bene, il Veneto potrà iniziare a discutere ed ottenere (forse) ciò che ha già inviato a Roma quindici mesi or sono nel corso della legislatura 2018-2023, altrimenti dopo, oppure ciò non avverrà mai; con buona pace di chi andrà a votare il 22 ottobre 2017.
Articolo 117, testo costituzionale.
La potestà legislativa è esercitata dallo Stato [70 e segg.] e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;

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e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie;
f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustiziaamministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
n) norme generali sull’istruzione;
o) previdenza sociale;
p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;
q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; operedell’ingegno;
s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Commento
Questo articolo elenca le materie oggetto del “desiderio” regionale di potenziamento e rappresenta il cuore della contesa in atto. Nello specifico trattasi di 3 materie di competenza esclusiva statale e di ben 20 di competenza legislativa concorrente fra Stato e Regione. La querelle o la farsa che dura da più di tre lustri fra le Regioni da un lato e lo Stato dall’altro con relativo contenzioso in essere per le materie di cui al comma 3, è uno dei tanti capitoli tragicomici della commedia all’italiana che va in onda da anni. A dire il vero, recentemente, aveva tentato di porvi rimedio la proposta di riforma costituzionale Boschi-Renzi integrata dall’accordo Finocchiaro-Calderoli proprio su questi articoli, ma come è noto il “popolo sovrano” bocciò l’intero pacchetto.

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Ripescando il quesito sottoposto ai cittadini “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?” Una prima risposta certa è che tali “ulteriori forme” non possono riguardare ciò che è stato bocciato con la nota sentenza.
In pratica il Veneto non potrà più richiedere a Roma di trattenere per sé: né l’80% dei tributi pagati annualmente dai cittadini veneti, né l’80% dei tributi riscossi nel territorio regionale, né destinare a ciò che ritiene più utile ed opportuno derivante dalle fonti di finanziamento proprie della Regione, né diventare una regione a statuto speciale, né, infine, diventare una Repubblica sovrana ed indipendente, stile “La Serenissima”.
A dire il vero, il Veneto ha già presentato una propria piattaforma di richieste indicate nella Dgr nr. 315/del 15 marzo 2016 -Allegato A) che, elenca le materie per le quali si richiede la competenza legislativa ed amministrativa, ossia 2 su 3 per quelle riservate allo stato e 9 su 20 per quelle a legislazione concorrente. Le maggiori attribuzioni ricalcano quanto già chiesto nel dicembre del 2007, non si capisce la ratio dell’assenza della materia “organizzazione della giustizia di pace” scomparsa dall’elenco nell’istanza del 2016.
Considerato che la sentenza della Corte è stata resa pubblica nel luglio 2015, ha dell’inverosimile l’art. 56 dell’articolato di legge che accompagna la proposta di intesa avanzata dalla Regione che cambiando forma ma non sostanza, richiede quanto già cassato dalla pronuncia più volte citata. In particolare l’articolo appena citato, prevede di sostenere i maggiori oneri derivanti dall’insieme di funzioni trasferibili dal centro alla periferia con i: 9/10 di IRPEF, IRES, IVA riscossi in Veneto. Quale atteggiamento potrà assumere il Governo al tempo in carica rispetto a chi non rispetta le sentenze della Corte e non formula proposte in esecuzione di una sentenza del giudice delle leggi e, men che meno, inspirate al principio di leale collaborazione? A ben vedere l’80% è diverso dai 9/10, in termini di provvedimenti incoerenti ed incongruenti sul piano degli atti amministrativi, senz’altro un atteggiamento di arroganza eccessiva verso l’altro necessitato contraente. Ma su questo punto, chissà se il popolo una volta compiutamente informato, applaudirà il comportamento del Presidente del Veneto il 22 ottobre.
Per chiarire ulteriormente, dalla lettura del decreto presidenziale nr. 50 del 24 aprile 2017(sic!), risulta che il Governo ha dato la propria disponibilità solamente in data 16 maggio 2016 per l’avvio della procedura negoziale limitatamente alle materie già richieste dal Veneto che a loro volta sono quelle già ricomprese nel novero richiamato dall’art. 116 comma 3. Presumibilmente, il fatto che la risposta sia arrivata cosi tardivamente, ma entro comunque il termine utile per negoziare, ha infastidito non poco chi aveva già deciso di rompere le relazioni Venezia-Roma; da qui la precisazione nel decreto presidenziale che s’indice il referendum “preso atto, pertanto, della posizione in tal modo assunta dal Governo di diniego(!?) della possibilità di concordare il contenuto del referendum” A dir il vero, il Presidente avendo a disposizione una maggioranza ossequiente e silente -come sovente lo è l’opposizione-, in Consiglio Regionale si era “fatto” approvare lr. nr. 15/2014, che prevedeva e prevede leggasi articoli 1 e 2, “un primo negoziato “sulla materia referendaria costruendosi ad hoc, un obbligato ricorso al popolo nel caso di diniego da parte governativa. Vale la pena di ricordare che l’art. 2 della citata legge regionale recava 5 quesiti referendari, di questi i 4 più significativi e densi di contenuto -rispetto al quinto- erano stati bocciati, rimaneva in piedi solamente il quesito di cui al numero 1 comma 1 art. 2 ovvero il “vuoto pneumatico”. Ma proprio ed esclusivamente su questo si è concentrata e dispiegata tutta la potenza regionale rappresentata da un uomo solo al comando! A Roma, a loro volta, si sono fermati all’iter scandito dall’art. 116 comma 3 e di scendere a patti in “anteprima” con la Regione del Veneto non hanno voluto sentir ragioni. Chissà se al Governo nel 2016 ci fossero stati i vari Berlusconi, Bossi, Maroni e lo stesso Zaia -versione romana non in salsa veneta- come sarebbe andata a finire. In realtà lo svolgimento del film lo abbiamo già visto -ma pochi se lo ricordano, rectius se lo “vogliono” ricordare e trarre un’onesta valutazione basata sui fatti accaduti- perché da maggio 2008 la richiesta avanzata dalla Regione del Veneto di maggiori attribuzioni applicando il comma 3 art. 116 risulta smarrita nei meandri capitolini.
Agli atti, comunque, risulta che l’apertura formale della trattativa nazionale era stata comunicata e cosi, più
importante e del tutto “politica-politicante”, diventa la consultazione dei cittadini veneti. Il “popolo” non lustri or

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sono, ma due anni fa, ha eletto i propri rappresentanti regionali per affrontare e risolvere i problemi non per abbandonare il campo appena fischiato l’inizio partita! Il sospetto che più che amministrare nel rispetto non della forma ma della sostanza di norme e di sentenze, si voglia solamente fare propaganda usando le istituzioni come sezioni di partito, è una certezza. La ricerca, a tuti i costi, della spinta che viene dal basso per fare ciò che si deve fare in ragione del proprio ruolo di Presidente lungimirante vale, alla data di oggi, 13 milioni e 510.000 mila €. Qualsiasi amministratore di ente pubblico o manager di azienda privata sa che rientra nei suoi compiti d’ufficio: trattare con la controparte e negoziare un contratto (intesa) al meglio delle condizioni possibili per chi rappresenta, senza andarsene al primo stormir di foglie!
Articolo 119, testo costituzionale
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione [53 c.2] e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.
Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.
Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato.
Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio.
E’ esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti.
Commento
L’art. 119 è un punto cardine, in quanto tutti i principi ivi richiamati dovranno essere tenuti ben in considerazione nella fase di trattativa Stato-Regione al fine di conseguire un corretto trasferimento di ulteriori competenze e non a caso la migliore dottrina, ha – da tempo – fatto notare che quello dell’art. 119 Cost. rappresenta la maggiore ipoteca per l’effettiva implementazione del “regionalismo differenziato”.
Invero, la disposizioni vigente, la legge 42/2009 (“Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione”), contiene una disposizione dedicata al tema in oggetto (l’art. 14) che precisa: “Con la legge con cui si attribuiscono, ai sensi dell’articolo 116 comma terzo della Costituzione, forme e

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condizioni particolari di autonomia a una o più regioni si provvede altresì all’assegnazione delle necessarie risorse
finanziarie, in conformità all’articolo 119 della Costituzione e ai princìpi della presente legge”.
Seppure nella sua laconicità, da questa disposizione si trae un’interessante conseguenza: al conferimento di nuove competenze deve corrispondere un adeguato trasferimento di risorse aggiuntive e non è invece pensabile che la Regione debba gestire le nuove funzioni a condizioni finanziarie invariate.
Tali risorse aggiuntive potranno essere individuate sia attraverso un autorizzato incremento della fiscalità regionale, con corrispondente riduzione della fiscalità statale nella Regione, in ossequio al principio di equilibrio complessivo del sistema, sia in termini di maggiori trasferimenti erariali dallo Stato.
In questo contesto la richiesta di nove decimi di: Irpef, Ires ed Iva da parte del Veneto (art. 56 allegato A dgr nr. 315/2016), verso lo Stato centrale rappresenta l’ennesima provocazione, ben sapendo che ciò non potrà essere ottenuto. La mossa è del tutto strumentale per occupare i mass media regionali e nazionali nel reclamare “ciò che spetta al Veneto” e fare cosi mera propaganda affinché il “popolo” si rechi alle urne.
D’altro canto i mezzi di comunicazione hanno sempre dato ascolto e riportato in grande evidenza ciò che il
Presidente veneto, pontifica sia nei quotidiani più diffusi in sede regionale sia nelle emittenti televisive locali.
Non v’è dubbio che la strada da percorrere è accidentata, anche perché chi governa (di qualsiasi colore politico egli sia) deve tener conto oltre che dello stato attuale della finanza pubblica anche del fatto che, bocciate in via giudiziale la secessione, l’indipendenza, la sovranità e la specialità regionale, il Veneto era, è e rimarrà un’entità istituzionale nel quadro dell’unità nazionale retto sotto forma di “Repubblica Italiana”.
È facile presumere che conclusisi i referendum in Veneto e Lombardia, altre Regioni che nel recente passato hanno tentato di arrivare all’intesa senza riuscirci, ad esempio Toscana e Piemonte cosi come l’Emilia Romagna che si è appena attivata, avranno tutto l’interesse a non essere “differenziate” a partire proprio dalle singole devoluzioni derivanti dalle quote di compartecipazione nel gettito erariale. Sul punto focale delle risorse da trasferire una volta conclusa l’intesa, trattandosi di Regioni a Statuto ordinario, non potranno esserci discriminazioni di sorta nelle percentuali delle quote di compartecipazione ai tributi.
Tutte le altre regioni del Centro Sud, si faranno valere presso i loro rappresentanti che siedono e nel governo e nel parlamento finchè dura questa legislatura e già da settembre e mano a mano che ci si avvicina alla data delle prossime elezioni di primavera chiederanno di non essere “penalizzate” dalle possibili trattative in corso con i territori del Nord Italia.
Viceversa Veneto e Lombardia a trazione leghista, faranno l’opposto con toni sempre più accesi e roboanti, come d’uso e consuetudine. I partiti nazionali, garantiranno ad ognuna delle dependance regionali che “l’intesa sarà la più proficua “purché il voto di primavera vada nella direzione auspicata.
Come spesso capita nel palcoscenico della politica, in questo caso nazionale, non sapendo poi come uscirne dall’ennesima impasse istituzionale alla quale si aggiunge la questione, non di poco conto e rilevo, dell’assenza a tutt’oggi di una legge che attui – a 16 anni data – l’art. 116 della Costituzione, qualcuno proporrà la necessità di una legge statale che disciplini tutti gli aspetti di ordine generale afferenti: criteri, modalità, tempi, procedure, natura degli atti riguardanti l’intesa tra Governo e singola Regione richiedente.
L’iniziativa legislativa prima di essere discussa in entrambe le Camere, sarà preceduta da un aperto confronto con le Regioni in ordine al suo contenuto nella sede istituzionale prevista “Conferenza Stato-Regioni”, ça va sans dire. Quanto tempo sarà necessario per approvarla? Chissà forse un’intera legislatura, guardando il calendario la prossima prevista è quella che inizia con l’anno di grazia 2018.

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Per gli appassionati dell’argomento, si segnala che il problema era già noto. Infatti, venne approvato nel Consiglio dei Ministri del 21 dicembre 2007, un primo ddl con il quale si cercava di definire l’iter procedurale per l’approvazione dell’intesa e le modalità di verifica, dopo 10 anni, della stessa.
Un dettaglio, di poca importanza, riguarda le attività propedeutiche prima di arrivare al tavolo della trattativa. Agli uffici ministeriali deve essere dato il tempo per: leggere, esaminare, farsi un’idea, richiedere -se del caso- pareri interni ed esterni al proprio ufficio nonché interloquire via telefono o, meglio, via e mail con i corrispondenti uffici regionali, assumere una posizione tecnica chiara sull’argomento trattato, raccordarsi con l’esponente governativo referente sul “pacchetto “ricevuto dalla regione richiedente.
L’operazione, va ripetuta da parte dei singoli dicasteri/direzioni centrali chiamati in causa, ratione materiae, in riferimento a ciascuna delle funzioni: legislative, amministrative, regolamentari, di gestione rilevabili da un’attenta lettura di tutti gli articoli che precedono il 56 sopracitato dell’allegato A) dgr nr. 315/2016. Dopodiché, quando le “carte sono pronte” come amano dire i politici, altro tempo trascorrerà per: trovare una data ed un’ora da concordarsi in relazione alla titolarità e rappresentatività di chi partecipa, a cui seguiranno inevitabili ri-esami, ri-approfondimenti, coordinamenti inter-settoriali e pluriministeriali, eccetera, eccetera.
Così come i tempi dei burocrati non sono contingentati, tantomeno lo sono quelli degli esponenti istituzionali, sia per quelli di Roma sia che per quelli di Venezia. Ecco il disegno di legge si occupava anche di questo, com’è finito? Deceduto sul campo causa interruzione anticipata della legislatura. Si sa, eventi che succedono.
I Lombardi ed i Veneti alla crociata del “regionalismo differenziato” rischiano di essere come i pifferi di montagna “partirono per suonare e furono suonati”, in più pagarono anche il conto per chi, più sapientemente, passò all’incasso senza gravare sulle tasche dei cittadini-contribuenti: Toscani, Emiliano-Romagnoli e Piemontesi in primis!
Chissà se i Presidenti della Lombardia e del Veneto, nonché i loro fiancheggiatori, si sono posti la domanda della ricaduta della loro scelta nelle decisioni delle restanti regioni “ordinarie” e nello scacchiere nazionale, ovvero Governo e Parlamento soggetti indispensabili.
b) La sintesi del cammino finora realizzato dalla Regione Veneto in applicazione art. 116 comma 3.
L’approfondimento è ripartito in periodi a cadenza quinquennale, ovvero la durata di un mandato regionale.
-quinquennio 2000-2005-
La legge che ha introdotto la riforma dell’art. 116 è entrata in vigore l’8 novembre 2001, governava Silvio Berlusconi che nel suo secondo esecutivo composto da: Forza Italia, AN, Lega Nord, Biancofiore (Ccd – Cdu), Indipendenti, durò in carica dall’ 11 giugno 2001 al 23 aprile 2005. (Governo nr. 59 della Repubblica).
In Regione del Veneto la Giunta era presieduta da G. Galan per il quinquennio 16 aprile 2000 -5 aprile 2005 in sostanziale omogeneità con il quadro nazionale, senza però la Lega Nord nella compagine dell’esecutivo locale.
In questo periodo la Giunta Regionale, non adotta atti significativi ai sensi dell’art. 116 comma 3.
-quinquennio 2005-2010-
A livello nazionale si susseguono i Governi nr. 60, 61, 62:

Governo Berlusconi, stessa coalizione partitica, dal 23-4-2005 al 16-5-2006;

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Governo Prodi, composto da: Margherita – DS – Udeur – It.d.V. – Verdi – Prc – Rosa n. P. – Quota Prodi, durata dal 16-5-2006 all’8-5-2008,
Governo Berlusconi, composto da: Popolo della Libertà, Lega, Movim. Sud, durata dall’8-5-2008 al 16-11-2011.
Nella compagine governativa, per attuare il decentramento delle funzioni pomposamente definito “federalismo”,
sono assegnati i seguenti dicasteri:
• Ministro Umberto Bossi (Lega Nord), “Riforme per il Federalismo”,
• Ministro Roberto Calderoli (Lega Nord) “Semplificazionenormativa”,
• Ministro Roberto Maroni (Lega Nord) “Interno”
• Ministro Luca Zaia (Lega Nord) “ Agricoltura”
A livello regionale, la Giunta è capitanata da G. Galan dal 5 aprile 2005 al 21 aprile 2010, la composizione vede il Centrodestra omogeneo al quadro nazionale, includendovi anche la Lega Nord.
Atti regionali
Con la Dgr. n. 3255 del 24 ottobre 2006, intitolata “Avvio del percorso per il riconoscimento di ulteriori forme e condizioni di autonomia alla Regione del Veneto, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione” si approva l’attivazione dell’iter con una prima proposta che prevede di avviare il negoziato per i settori: rapporti internazionali della Regione, tutela della salute, istruzione, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi, polizia regionale e locale, tutela e valorizzazione dei beni culturali e ambientali, organizzazione della giustizia di pace. (oggi non più richiesta dalla giunta a guida Zaia)
Interessante in questo atto è l’annuncio del Presidente pro-tempore, anche nella sua qualità di Senatore impegnatosi a presentare: “tre proposte di legge (una proposta di legge delega al Governo per l’attuazione del federalismo fiscale ai sensi dell’articolo 119; una proposta di legge costituzionale, ai sensi dell’articolo 138 della Costituzione, per il riconoscimento di una autonomia differenziata al Veneto in analogia a quella di recente riconosciuta alla regione della Catalogna; una proposta di legge costituzionale di modifica dell’articolo 116, primo comma della Costituzione, per ricomprendere il Veneto tra le Regioni ad Autonomia Speciale”. Si registra che, al di là dei notevoli sforzi fatti dal rappresentante di Forza Italia sopracitato, la Gazzetta Ufficiale non riporta traccia di leggi in materia avanzate, per la prima volta, in sede regionale.
Due mesi dopo, con Dgr n. 4167 del 28 dicembre 2006, sullo stesso argomento e su proposta dell’allora Vice – Presidente (oggi Presidente) è affidato un incarico di consulenza per mesi sei a decorrere dal 29 dicembre 2006 al prof. Lucio Pegoraro, docente di Diritto pubblico comparato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bologna, studioso delle riforme costituzionali, in particolare dell’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni, dietro corrispettivo di € 12.000,00 al netto di I.V.A. e C.P.A.. Si segnala che la Regione, stante la sua funzione e conseguente apparato dirigenziale, non difetta di giuristi esperti in diritto pubblico anche comparato.
Con deliberazione del Consiglio Regionale n. 98 del 18 dicembre 2007, si perfeziona la proposta per il riconoscimento alla Regione del Veneto di un’autonomia differenziata, decidendo di ampliare la gamma delle materie, rispetto alla proposta di Giunta, cosicché la richiesta di avviare trattative con il Governo ai sensi dell’articolo 116, terzo comma della Costituzione riguardano:
istruzione; tutela della salute; tutela e valorizzazione dei beni culturali; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; potere estero della Regione; organizzazione della giustizia di pace; tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; ordinamento della comunicazione; previdenza complementare ed integrativa; protezione civile; infrastrutture; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di

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credito fondiario e agrario a carattere regionale; governo del territorio; lavori pubblici. Nello stesso atto, votato all’unanimità, è affidato al Presidente della Giunta regionale il mandato di negoziare e concertare con il Governo della Repubblica, in armonia al principio di leale collaborazione, la definizione di un’intesa; tenendo -ovviamente
– informato tempestivamente il Consiglio sugli sviluppi della fase negoziale.
La proposta è notificata a Roma ad inizio 2008, ad inizio maggio entra in carica il Governo Berlusconi con una folta delegazione leghista appositamente dedicata al “federalismo”, da allora del provvedimento nr. 98 del Consiglio Regionale del Veneto non si hanno più notizie. Il provvedimento decade con lo scadere della legislatura regionale ad aprile 2010. Si sa , eventi che succedono.
Qualche dato per riflettere:
a) Il provvedimento vede il pieno appoggio, trattandosi di rafforzare l’istituzione regionale a sei anni data dalla possibilità offerta dal rinnovellato art. 116 comma 3, del Centro Sinistra.
b) A maggio 2008 vince le elezioni nazionali il Centro Destra il cui Governo durerà fin oltre il termine del mandato regionale. Sarebbe stato logico aspettarsi un’accelerazione del negoziato intrapreso tra Regione e Governo per una solerte conclusione dell’intesa, essendo entrambi i contraenti dello stesso colore politico. Ciò non accade la “pratica” dorme sonni tranquilli, chissà forse erano quasi tutti impegnati in tutt’altre faccende, Mose ad esempio, come più tardi sarà scoperto dalla magistratura.
c) L’opposizione in sede consiliare, pure d’accordo nel merito, sulla questione non esercita la propria funzione di controllo e di stimolo verso l’esecutivo regionale né nell’istituzione né nella decantata “società civile”.
d) I media locali, invece, tengono costantemente informati ed aggiornati con apposite rubriche e talk show dedicati con la presenza in video dei politici regionali i loro lettori ed ascoltatori sul procedere dell’intesa, ovvero un monitoraggio continuo presso il Governo ed il Parlamento della richiesta di maggiori competenze volute fortissimamente dal Veneto per i Veneti. A seguito di questa massiva campagna mediatica, si ricordano numerosissime lettere al direttore pubblicate nelle maggiori testate giornalistiche e radio-televisive di: cittadini, associazioni di categoria, organizzazioni sindacali, chiesa cattolica, tutti appassionati nel seguire questo importante “work in progress comunitario” capace di spostare poteri dallo Stato centralista ed inefficiente alla Regione del Veneto che, a contrario, appena può devolve proprie funzioni, risorse e beni ai soggetti intermedi ed alle istituzioni territoriali. Essenziale in questo spaccato di civismo veneto, è stato l’apporto di esperti: politologi, giuristi, economisti e sociologi provenienti dalle eccellenti Università regionali, che con ponderate analisi, riflessioni e grafici esplicativi, ampiamente pubblicizzati, hanno tenuto alta la tensione verso il risultato da raggiungere. (la lettera d è di pura fantasia).
In termini generali l’ostacolo maggiore, all’interno della procedura formalizzata nell’art. 116 Cost., è senza dubbio rappresentato dal raggiungimento dell’intesa con il Governo statale, accordo che non è stato possibile raggiungere nemmeno – caso Veneto lo certifica – quando le maggioranze di governo negli enti coinvolti erano omogenee, situazione che, all’opposto, avrebbe dovuto facilitare un esito positivo.
Gli errori, come si sa, debbono essere ripetuti. Il Vice-Presidente di allora (oggi Presidente) non aveva buoni rapporti né relazioni con il Governo Berlusconi né con gli sconosciuti Bossi-Maroni-Calderoli-Zaia (trattasi della stessa persona oggi Presidente), quindi oggi ha -si presume- irrilevanti rapporti con gli attuali componenti dell’esecutivo nazionale, di conseguenza si prende e fa prendere al Veneto un’ulteriore pausa di sospensione. Si

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segnala per chi si appresta a votare il 22 ottobre che, con questa ulteriore meditazione, il percorso previsto
dall’art. 116 comma 3 è sempre in fase di mancato decollo, ovvero dal 2008.
L’aereo dell’autonomia rafforzata sta rullando nella pista da 9 anni. Il co-pilota regionale all’epoca, diventato Ministro della Repubblica Italiana assieme al vertice leghista e sedicente “federalista”, oggi “il comandante supremo” è sempre lo stesso attore con più parti in commedia nella scena nazionale e locale. Gli accadimenti trascorsi portano ad un’unica conclusione, alla Lega di affrontare e risolvere la questione di avere maggiori attribuzioni per la Regione, non interessa affatto!
Il giovane Vice-Presidente della Giunta nel 2005 ed il più maturo Presidente del Veneto dal 2010, assomiglia aquell’atleta che si allena sempre, ma così tanto e così intensamente, ma il giorno della via si parte, che fa? Non si presenta!
-quinquennio 2010-2015-
A livello nazionale, si susseguono 4 Governi (62-63-64-65) a partire da quello Berlusconi che copre il primo anno di mandato regionale, terminando appunto il 16 novembre 2011. Quindi:
Governo Monti – governo tecnico 16 novembre 2011 – 25 Aprile 2013,
Governo Letta Coalizione politica: Partito Democratico – Popolo della Libertà – Lista Civica dal 25 Aprile 2013 al 22 febbraio 2014
Governo Renzi – Coalizione politica: PD, NCD, SC, UdC dal 22 febbraio 2014 – al 7 dicembre 2016
In regione la Giunta Regionale è presieduta da Zaia, 21 aprile 2010-01 giugno 2015 e la coalizione vede assieme FI e LN.
Atti regionali
Il quinquennio vede la Giunta impegnata nella presentazione ed approvazione delle leggi nr. 15 e 16 del 2014 recanti 6 quesiti referendari, frutto del “patrimonio ideale ed ideologico” della Lega Nord, che incarnano un’altra visione di Regione in un altro Stato. Di questi ben 5 sono cassati dalla Corte Costituzionale.
Essendo stato l’evento, dato il consenso e la leadership che la Lega ha in Veneto, di valore emblematico ed epocale riceve uno spazio ed un approfondimento analitico nei media regionali (e nazionali) di intensità pari a quello descritto nela precedente lettera d) per il provvedimento consiliare del 2007. Silenzio assordante anche da parte di chi, specificatamente le variegate forze del Centro Sinistra eppure del Centro Destra più responsabile, perseguono uno sviluppo ragionevole delle Autonomie Regionali.
In riferimento all’applicazione dell’art. 116 comma 3 sono da registrare tre disegni di legge della giunta inviati al Consiglio: DGR/DDL n. 25 del 2012, DGR/DDL n. 26 del 2012 e DGR/DDL n. 27 del 2012, spiaggiati durante la fase di negoziazione con il Governo. Visti i precedenti, ciò era facilmente prevedibile. D’altra parte le qualità/capacità di negoziatore e di interlocutore affidabile, non si improvvisano solamente perché si ascende di ruolo e di funzione da Vice-Presidente a Presidente.
A supporto dell’esecutivo e delle strutture regionali, sempre più carenti, si rafforza la composizione dei consulenti esterni che passano da uno per sei mesi della precedente legislatura a sette per un anno (dgr.nr. 2097 del 03 agosto 2010) per un costo complessivo di € 160.000,00. Tale Gruppo di lavoro è costituito per la realizzazione del “federalismo a geometria variabile” (forse era meglio chiamarlo a “ragioneria variabile”) e per il “federalismo fiscale” ed ha il compito, in particolare, di formulare proposte, pareri e indicare i percorsi giuridici (legislativi e amministrativi) da seguire da parte della Regione. Inoltre, accompagna e supporta l’azione della Regione nelle diverse fasi della negoziazione con il Governo. I compensi per ciascun consulente sono cosi previsti: Prof. Luca Antonini: euro 30.000,00 Prof. Ludovico A. Mazzarolli: euro 30.000,00 Avv. Massimo Malvestio: euro
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30.000,00 Avv. Sandro De Nardi: euro 20.000,00 Dott.ssa Monica Bergo: euro 20.000,00 Dott.ssa Giorgia Gosetti: euro 17.500,00 Dott.ssa Chiara Ferretto: euro 12.500,00. I predetti compensi devono intendersi omnicomprensivi di imposte, tasse, contributi previdenziali.
-quinquennio 2015-2020-
A livello nazionale, prosegue il Governo Renzi fino a dicembre 2016, quindi subentra l’attuale esecutivo presieduto da Gentiloni (in carica), trattasi del Governo nr. 66 sorretto da: Partito Democratico; Alternativa Popolare; Centristi per l’Europa; Articolo 1 – Movimento Democratico Progressista; Democrazia Solidale -Centro Democratico; Partito Socialista Italiano; Civici e Innovatori;
A livello regionale, Zaia è riconfermato a partire dal 01 giugno 2015 (in carica) e la coalizione di giunta è composta da: Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia-An
Atti regionali
Importante è la dgr. Nr. 315 del 15 marzo 2016 iniziativa, ai sensi della legge regionale n. 15/2014, per attivare il negoziato con il Governo al fine del referendum regionale per il riconoscimento di ulteriori forme di autonomia della Regione del Veneto. Importante è l’Allegato A) che illustra e specifica puntualmente tutte le richieste che la Regione intende avanzare allo Stato, redatte sotto forma di articolato suddiviso in tre Capi.
Nel primo Capo vengono richieste forme e condizioni particolari di autonomia legislativa e amministrativa, nel secondo vengono richieste forme e condizioni particolari di autonomia amministrativa in determinati e specifici settori, mentre il terzo Capo contiene le disposizioni finanziarie con le indicazioni delle fonti di finanziamento delle nuove competenze richieste. Quest’ultimo capitolo è in netto contrasto con la sentenza della Corte.
Significativo è il Decreto Presidenziale nr. 50 del 24 aprile 2017 con il quale viene indetto il referendum del 22 ottobre prossimo venturo, già precedentemente annotato.
E’ istituito un Comitato Strategico (Advisory board), composto da esperti costituzionalisti, al fine di assicurare supporto alla Regione del Veneto ed al suo Presidente nell’avviato percorso per l’autonomia del Veneto. Il team è composto in ragione della specifica qualificazione professionale e dell’alto prestigio di cui godono in ambito nazionale, il Prof. Mario Bertolissi ordinario di Diritto Costituzionale, il Prof. Luca Antonini ordinario di diritto Costituzionale e il Prof. Carlo Buratti ordinario di Scienze delle Finanze, tutti presso l’Università degli Studi di Padova, ai quali non è corrisposto alcun compenso se non il rimborso delle spese di trasferta.
C) tempistica atti e comparazione quote di compartecipazione tra Regione Veneto e Regioni a Statuto Speciale.
In questo breve, ma significativo paragrafo, si pongono in evidenza dati normativi e di finanza pubblica che
testimoniano, in termini incontrovertibili, la prepotenza e la forzatura a danno dell’ istituzioni regionale.
Una prima fonte è il dato legislativo; in questo ambito la legge regionale del 19 giugno 2014, n. 15 “Referendum consultivo sull’autonomia del Veneto.”, approva i seguenti quesiti:
“Vuoi che una percentuale non inferiore all’ottanta per cento dei tributi pagati annualmente dai cittadini veneti all’amministrazione centrale venga utilizzata nel territorio regionale in termini di beni e servizi?”;
“Vuoi che la Regione mantenga almeno l’ottanta per cento dei tributi riscossi nel territorio regionale?”;
“Vuoi che il gettito derivante dalle fonti di finanziamento della Regione non sia soggetto a vincoli di destinazione?”;

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“Vuoi che la Regione del Veneto diventi una regione a statuto speciale?”,
che va letta assieme alla legge nr. 16, stesso giorno ed anno che completa il quadro con la domanda fondativa:
“Vuoi che il Veneto diventi una Repubblica indipendente e sovrana? Si o No?”.
Ebbene, tutti e cinque bocciati dalla Corte Costituzionale con sentenza nr. 118/2015, rimane – con tutti i limiti sopra rilevati – unicamente quello stampato sulla scheda predisposta per il 22 ottobre. La sentenza della Corte Costituzionale è pubblicata in Gazzetta Ufficiale il primo giorno di luglio 2015 e da allora è valida ed efficace erga omnes, Presidente del Veneto incluso.
A questo punto, anche gli inesperti in scienze giuridiche afferrano il concetto che, negata qualsiasi forma di
“specialità” sia istituzionale che economica, alla Regione del Veneto è ripetuto fino alla noia che:
1) era e rimane una delle 15 Regioni a Statuto Ordinario in cui si articola la Repubblica Italiana,
2) maggiori competenze e risorse possono, a richiesta regionale, essere negoziate e concordate con lo Stato
cosi come sancito, scandito e prefigurato dall’art. 116 comma 3 Costituzione.
A dispetto di tale chiarezza e precisione, che fa il Presidente del Veneto? Predispone ed approva un atto deliberativo in marzo 2016, (dgr. nr. 315) con il quale enumera le competenze ulteriori da richiedere, ma sul tema “risorse” eleva la percentuale a: “nove decimi del gettito: dell’Irpef, dell’Ires e dell’imposta sul valore aggiunto” cosi come testualmente prevede l’art. 56 Allegato A) dgr precitata. In verità tutti sanno -da decenni- che, tale possibilità è prevista unicamente ed esclusivamente per alcune delle Autonomie Speciali”, cosi come riporta l’apposita scheda disponibile – da anni- in internet e predisposta dall’ufficio studi della Camera dei Deputati.
Per tabulas gli atti regionali stanno a dimostrare, ancora una volta, la slealtà e l’ambiguità di chi rappresenta il Veneto al tavolo negoziale nazionale, il tutto con l’aggravante dell’uscita temporanea dal campo di gioco del Presidente del Veneto per celebrare un referendum farlocco.
Una scelta motivata e di forte testimonianza civile: non recarsi al seggio elettorale il prossimo 22 ottobre.

La documentazione citata si trova integralmente nei siti internet:
gli atti regionali https://bur.regione.veneto.it/BurvServices/Pubblica/ricerca.aspx ,
sentenza Corte http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2015&numero=118 , Regioni ed Enti Locali “Speciali” http://www.camera.it/cartellecomuni/leg14/RapportoAttivitaCommissioni/testi/05/05_cap14_sch04.htm la legge attuatitva del C.A.L. risulta calendarizzata a settembre 2017, nota del giorno 16.09.2017

La «Gig economy» modello efficiente per nuove imprese

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Aldo Bonomi – 10 Settembre 2017 – Il Sole 24 Ore domenica
Durante l’estate si assiste a spettacoli, si frequentano festival che accarezzano la voglia di evasioni, di incontro, o di immettersi nel divertimentificio… Difficile in questa atmosfera pensare ai tecnici che montano palchi e luci e agli artisti come lavoratori dello spettacolo. O alla gig economy, letteralmente economia del calesse con cui si spostavano negli anni della grande crisi in America i gruppi jazz pagati a serata.
Nell’America, di americanismo e fordismo, con il lavoro normato e salariato della catena di montaggio, la gig economy diverrà memoria e margine delle forme dei lavori. Ma oggi stanno dietro il palco delle luci dello spettacolo lavoratori intermittenti e precari e forse occorre scavare nell’attualità di ciò che ritenevamo inattuale e margine.
Riappare nell’ipermodernità delle forme dei lavori. Destino interrogante i giovani, la legislazione giuslavorista in affanno, come le misure pubbliche di intervento e tutela, pensioni comprese, per chi è intermittente e precario. Nella società dello spettacolo e dei creativi ma anche nelle professioni che si moltiplicano e segmentano nei saperi e nei servizi facendo apparire la nebulosa del lavoro autonomo di seconda e terza generazione. Oggi la rete nel suo connettere e far circolare ha sostituito il calesse delle jazz band peripatetiche di allora. Si delineano tre grandi bacini di composizione sociale al lavoro. Quello delle internet company, sogno di tanti smanettoni o inventori di start up con cui farsi riconoscere, quotare o acquisire. Il ciclo di industria 4.0 evoluzione competitiva della manifattura, non più fordista né distrettuale, dove aumenta il peso leggero dell’informazione e della conoscenza che si fa pesante con la robotica. E il bacino delle imprese sociali e dei servizi alle persone a fronte di un welfare sempre più insufficiente, privatizzato e segmentato. È il Titanic sul quale si aspira a salire aspirando a contratti, garanzie, welfare aziendale, premi di produzione. L’iceberg si forma nella condensa carsica che attraversa orizzontalmente in basso i tre settori. È la gig economy della modernità che McKinsey stima, in Usa e in Europa, oscilli tra il 20 e il 30% in età di lavoro, 162milioni di lavoratori indipendenti, per dirla in forbito, molti al lavoro con una intermittenza da precariato.
Si confrontano con la rete che uberizza con la robotizzazione della manifattura e con l’evoluzione e contraddizione dell’impresa sociale e cooperativa che a volte produce forme poco sociali di lavoro e false cooperative. Attratti dalla rete e dalla narrazione che rappresenta il navigare nel mare dei lavori come la ruota della fortuna, molti si percepiscono come imprenditori di sè stessi e capitalisti personali.
Ma tanti sono nella ruota del criceto dell’incertezza del precariato arrancando con difficoltà. Si dedicano alla neo artigiania con le stampanti 3D, lavorano comunicando o rappresentandosi nel ciclo della consulenza ed altri, orientati da un radicalismo umanitario, si dedicano al margine del disagio e della sofferenza, con tanto senso di sè e scarso reddito. Questione sociale aperta come dimostra il confronto che ha attraversato anche il mese di agosto sulla pensione per i lavoratori intermittenti e agevolazioni per le assunzioni nel ciclo manifatturiero per i giovani. Mi ha colpito un libro appena uscito che evidenzia una terza via, dal titolato: «Rifare il mondo del lavoro», di Sandrino Graceffa, DeriveApprodi. Si mette in mezzo tra il ponte del Titanic e l’iceberg, tra il sopra e il sotto, in un mondo di lavori duale e selettivo. Recuperando, a proposito di attualità di ciò che appare come inattuale, il mutualismo, il cooperare e l’auto organizzazione dei soggetti. Racconta come partendo proprio dai lavoratori intermittenti dello spettacolo, sia nata Smart (Sociètè Mutuelle des Artistes).
Partendo dal Belgio oggi Smart è una cooperativa presente in 7 paesi europei, Italia compresa, ha 90mila soci, 80mila committenti e 153milioni di fatturato. L’amministratore delegato di Smart Graceffa, racconta la nascita di questa esperienza che via, via, ha aggregato al mutualismo e al cooperare le tante forme in cui si è scheggiato il diamante del lavoro, raccontando il proliferare di esperienze di auto organizzazione dal basso, di mutualismo e cooperazione soprattutto in Francia. Interessante anche la biografia dell’amministratore delegato che inizia come educatore in un’impresa sociale poi si occupa di sviluppo locale e territoriale, dove appare la nuova composizione sociale al lavoro, per poi arrivare al mondo dei creativi e dei lavoratori della conoscenza. La vera innovazione di questo modello di cooperativa è che in primo luogo aggrega lavoratori indipendenti freelance che fanno impresa, ovviamente offendo i servizi di tutela tradizionale, assistenza contabile, legale, servizi, ma è nell’introdurre nel cooperare il mutualismo per abbassare il rischio il vero salto. Per i lavoratori intermittenti significa malattia, incertezza e ritardi nei pagamenti e come affrontare i periodi in cui non si hanno commesse o incarichi. I soci imprenditori versano alla cooperativa il 6,5% dei loro contratti il che permette di ricevere pagamenti anche in presenza dei ritardi dei committenti e di avere un reddito minimo in attesa di nuove commesse.
In più la cooperativa può svolgere, un ruolo di capo commessa, aggregando una pluralità di saperi e, nei confronti di gruppi come Foodora, quella dei pasti consegnati in bicicletta, aprire vertenze collettive chiedendo garanzie e tutele. Da leggere anche l’introduzione di Sergio Bologna, padre nobile in Italia delle riflessioni sul lavoro autonomo di seconda generazione, che, con uno sguardo europeo riflette sulle esperienze italiane come confassociazioni, che fa lobby buona delle nuove professioni e l’esperienza di Acta, socia di Smart in Italia, che da tempo ha dato voce e rappresentanza alle partite iva. Queste esperienze interrogano il sindacato, la cooperazione, il terzo settore che fa comunità di cura e il bacino dei lavoratori della conoscenza e di quelli che lavorano comunicando.

L’urbanizzazione a cultura diffusa

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La classe creativa ha fallito, lo ammette anche Florida Ma in Europa si impone la città media: è più facile far leva sull’effetto rete

Guido Romeo – Il Sole 24 Ore domenica NOVA24 – 10 Settembre 2017

La classe creativa ha fallito. Non nell’avere successo e nell’arricchirsi, ma nel rilanciare le città e i territori. La sentenza arriva proprio da Richard Florida, l’economista americano che quindi anni fa, con il bestseller “La classe creativa spicca il volo” aveva consacrato la ricetta delle 3T (tecnologia, talento e tolleranza) per rilanciare le città e i territori. Peccato che proprio che nel suo ultimo “The New Urban Crisis” lo stesso Florida debba tornare sui suoi passi mostrando, dati alla mano, che gentrificazione e diseguaglianze sociali hanno colpito più duramente proprio nelle città statunitensi dove si è maggiormente investito nell’attrazione di talenti.
Il New Urban Crisis Index, un indice composito elaborato da Florida per offrire una misura sintetica della segregazione economica, della disparità delle retribuzioni e dei salari oltre che del costo delle case, mostra che proprio le città creative per eccellenza (Los Angeles, New York e San Francisco hanno valori superiori a 0,9 su una scala 0-1) sono quelle dove le disparità sono più forti, ma anche quelle più piccole come Austin e Boston, mostrano gli stessi problemi. Il dato più drammatico è che i lavoratori del settore servizi, cioè a supporto delle industrie creative, sono addirittura penalizzati dal vivere in queste città rispetto ai loro colleghi di città più tradizionali che hanno salari più bassi in valore assoluto ma un potere di aquisto e una qualità della vita più alte.
L’analisi di Florida guarda esclusivamente alle città Usa e in fondo non sorprende, visto che a livello complessivo gli Stati Uniti mostrano un indice di Gini (che misura le diseguaglianze sociali) superiore di almeno 10 punti alla maggior parte dei Paesi europei. Il dato è però importante perché l’Europa applica da tempo ricette analoghe per espandere le sue industrie creative. Purtroppo nel Vecchio continente ci sono pochi dati per misurare le diseguaglianze a livello locale, ma il Joint Research Center della Commissione europea ha da poco pubblicato la prima edizione del suo Cultural and creative cities monitor (accompagnato anche da uno strumento interrattivo: https://composite-indicators.jrc.ec.europa.eu/cultural-creative-cities-monitor/) che esamina 168 città in 30 paesi del continente (EU28 più Svizzera e Norvegia).
Il rapporto indica l’investimento nelle industrie creative come un fattore cruciale di sviluppo socio-economico dei territori e prende in esame nove parametri che spaziano dalla creazione di nuovi lavori alla governance e alla tolleranza per la diversità delle diverse città sintetizzati nell’indicatore C3. Con 63,2 punti Parigi emerge in testa tra le 21 città XXL (sopra al milione di abitanti) seguita da Monaco, Praga, Milano (38,4) e Bruxelles, mentre Londra è lontana (34,7) nonostante le sue grandi energie, probabilmente a causa delle disparità evidenziate da un indice Gini (0,44) tra i più alti del Regno Unito e a livello globale secondo Euromonitor international. Più prevedibili i casi di eccellenza nelle città medio piccole dove spiccano Zurigo (52,1), Berna (50) e Copenhagen (49,9). I centri italiani, a parte Milano, 20ima in classifica assoluta, sono molto staccati con Bologna (31,8), Venezia (31,7), Torino (24,3), Roma, (26,8 dietro a Bucarest) Genova (22,9), Cagliari (22,1) e Napoli (18,2) poco sopra alla maglia nera della bulgara Plovdiv (13).
Sul fronte delle città creative europee sembra il caso di dire che «medio è bello» perché la città culturale e creativa ideale è una sintesi che, a parte Parigi (ai vertici per partecipazione culturale e attrattività), vede dominare proprio le medio-piccole: la svedese Umea per i nuovi lavori, le olandesi Eindhoven e Utrecht per la proprietà intellettuale e l’innovazione, la belga Lovanio per capitale umano e formazione, la britannica Glasgow per l’apertura, la fiducia e la tolleranza e Copenhagen per la governance.
C’è però da chiedersi se oltre alla scala, ci sia un effetto rete nei territori dove più città creative sono vicine e possono condividere talenti, esperienze e buone pratiche. «La situazione europea è strutturalmente diversa da quella statunitense per almeno tre ragioni – osserva Irene Tinagli, economista che con Richard Florida ha pubblicato “Europe in the creative age” e “L’Italia nell’era creativa” e dal 2013 è parlamentare pd -. Il primo fattore è che abbiamo un’urbanizzazione più diffusa e la concentrazione demografica nelle grandi metropoli è meno spinta, riducendo gli effetti di segregazione per reddito; il secondo è un sistema di piani urbanistici molto più rigido che rende impossibile operazioni di ricostruzione di interi quartieri come avviene nei centri oltreoceano; il terzo, infine è un sistema di politiche sociali molto più attente e organizzate anche se con grandi differenze tra Nord e Sud Europa. Questo è molto importante perché una città non è unicamente riducibile alla sua dimensione urbanistica».
Questa particolarità delle città europee è confermata anche dal lavoro di Alessandra Michelangeli ed Eugenio Peluso, rispettivamente dell’Università Bicocca e della Cattolica di Milano: le città italiane sembrano caratterizzate da un effetto rete che tende a compensare la differenza tra le infrastrutture delle diverse province attenuando, in parte, le diseguaglianze socioeconomiche. La sfida italiana rimane però qulla sul fronte strutturale. Milano e Bologna si posizionano bene nei ranking per l’alta densità di brevetti e l’importanza degli atenei, ma le politiche sulle startup e l’innovazione come Industria 4.0 avranno impatto sul mercato del lavoro e della formazione solo tra alcuni anni.

La nuova geografia dell’intelligenza artificiale

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Microsoft e Facebook insieme per creare un ambiente interoperabile Verso la balcanizzazione delle piattaforme di Ai

Luca Tremolada – Il Sole 24 Ore domenica NOVA24 – 17 Settembre 2017

«Developers, Developers, Developers» urlacchiava saltando forte sul palco l’ex numero uno di Microsoft Steve Ballmer durante un mitico rendez vous del settembre 2000. In quegli anni la chiamata alle armi degli sviluppatori per supportare Windows era al tempo stesso una operazione di marketing e una esigenza di business per garantirisi nuove applicazioni e creatività contro la concorrenza.
Sull’intelligenza artificiale nessuno balla ma le danze dei big dei big data sono ugualmente frenetiche. Anzi, possiamo dire che chi può, chi ha i dati, sta offrendo agli sviluppatori indipendenti i migliori ambienti software per affinare algoritmi di machine learnig e sperimentare reti neurali. E, sempre chi può sta ragionando anche in termini di alleanze strategiche.
Microsoft e Facebook hanno presentato nei giorni scorsi Onnx che sta per Open Neural Network Exchange. Trattasi di un framework open source che consente di far parlare tra loro gli ambienti di sviluppo di machine learning dei due giganti. Si parla di Ms Cognitive Toolkit lato Microsoft e Fb Caffe2 e Fb Pytorch lato Facebook. In pratica si potrà passare da PyTorch a Caffe2 riducendo quindi il tempo tra la ricerca e la produzione. Fino ad oggi, per capire meglio, Facebook aveva mantenuto una distinzione tra Facebook Ai Research e Applied Machine Learning Aml, la divisione chiamata a “porare a terra” i nuovi strumenti di machine learning. Con Onnx questa distinzione ideologica diciamo dovrebbe scomparire permettendo agli sviluppatori di lavorare nello stesso ambiente.
La parola d’ordine è sempre interoperabilità. Che vuol dire in questo caso permettere agli sviluppatori di passare da un ambiente all’altro e ai produttori hardware di migliorare la velocità di più framework e quindi accorciare i tempi per l’ingresso dell’intelligenza artificiale nei prodotti che ci circondano.
Naturalmente, sulla palla non c’è solo Microsoft e Facebook. Anzi, diciamo che la maggioranza dei ricercatori universitari in intelligenza artificiale si concentra su TensorFlow. Questo sistema di machine learning è stato reso open source nel 2015 da Google. Viene utilizzato anche nelle gestione dei messaggi di posta di Gmail. E su Github, la piattaforma di progetti software open source più grande del mondo, è il codice con cui gli sviluppatori hanno più interazioni. Proprio un paio di giorni fa Google ha lanciato TensorBoard Api, un insieme di strumenti per visualizzare e quindi comprendere meglio il processo di apprendimento degli algoritmi di machine learning. Il mese scorso è stata pubblicata un’applicazione per il riconoscimento della voce e a giugno la versione di TensorFlow per far “girare” applicazioni di intelligenza artificiale sui telefonini e dispositivi mobili. Tutte migliorie che dimostrano come anche la comunità di sviluppatori di Google stia spingendo moltissimo in questo campo.
Apple martedì ha presentato i suoi nuovi smartphone (iPhone X, iPhone 8 e iPhone 8 Plus). Il nuovo processore A11 Bionic – che integra 4,3 miliardi di transitor e sei core indipendenti utilizzabili – sarebbe stato ottimizzato per lavorare a basso consumo con tecnologie di machine learning. Attualmente iOs11, il sistema operativo mobile di Apple usa un framework per l’apprendimento automatico proprietario chiamato CoreML che non supporta TensorFlow. Il che in teoria non è un male: un hardware “dedicato” come quello di Apple potrebbe consentire di raggiungere in chiave di ricerca risultati molti interessanti sui dispositivi mobili. In questo senso il sistema di riconoscimento Face Id può rappresentare davvero un punto di partenza per costruire una nuova generazione di applicazioni. Peraltro su un dispositivo come lo smartphone che, per forza di cose, è chiamato a tenere in grande considerazione il risparmio energetico.
Anche il colosso cinese Baidu si guarda bene dal favorire Google. Il principale motore di ricerca nel Paese asiatico ha reso open source il proprio software di apprendimento. Si chiama PaddlePaddle (Parallel Distributed Deep Learning) ed è online su Github. Tecnicamente, sostengono gli esperti, è meno “versatile” della concorrenza ma è più semplice e quindi adatto anche a chi non è espertissimo. Al netto delle strategie, delle alleanze e della qualità dell’hardware la vera differenza nell’intelligenza artificiale la danno i dati. Per quanto ingiusto chi è destinato a correre di più in questo campo sono i gestori dei big data. Per gli altri la corsa è più teorica che pratica. E gli sviluppatori, questo, lo sanno bene.

Il welfare disegnato dalle comunità

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Fundraising locale, collaborazioni tra pubblico e privato, piattaforme digitali: così il territorio trova soluzioni nei servizi
Alessia Maccaferri – Il Sole 24 Ore domenica NOVA – 2417 Settembre 2017


Duecentotredici anziani ogni cento giovani. L’indice di vecchiaia nel Verbano Cusio Ossola supera grandemente la media nazionale (158 nel 2014). Come testimonial Emma Morano che – morta lo scorso aprile – è stata coi suoi 117 anni la persona più anziana del pianeta. Questo territorio piemontese longevo e perlopiù montano ripensa ora i servizi mettendo al centro i bisogni della persona ancora autosufficiente ma che ha bisogno di relazioni e piccoli aiuti. Anziché fare il giro delle sette chiese l’anziano o i suoi familiari bussano a una sola porta, un operatore socio-sanitario che poi mette in moto tutte le risorse e le figure professionali o di volontariato di quello che viene chiamato distretto sociale. Così il progetto «La cura è di casa» ha preso in carico 187 anziani, grazie a 23 partner (tra cui consorzi sociali, case di riposo, associazioni di volontariato) guidati dalla Provincia. E tra pochi mesi questa sperimentazione di welfare leggero sarà più accessibile grazie a una piattaforma digitale rivolta ai beneficiari, agli operatori e ai volontari.
Il progetto è uno dei 27 del bando Welfare in Azione di Fondazione Cariplo che – in tre anni – ha coinvolto 77 enti pubblici e 183 non profit per mettere in movimento i territori in una visione del welfare che attiva la comunità a riconoscere le proprie necessità, ricostruisce i legami di fiducia, fa rete e costruisce percorsi condivisi che valorizzano le ricchezze presenti nel tessuto sociale. Solo per le prime due edizioni (15 progetti) i cittadini raggiunti dalle iniziative sono stati 113.191 e altri 3.011 hanno partecipato attivamente, assieme a 415 aziende e 4.043 volontari. Di queste partnership hanno beneficiato oltre 10.300 persone. In particolare, i ragazzi inseriti in esperienze con finalità occupazionali sono stati 2.140, mentre 1.649 adulti sono stati inseriti in percorsi di empowerment .
«Dopo tre anni possiamo dire che è possibile innovare le politiche territoriali. Il welfare di comunità – spiega Davide Invernizzi, direttore area Servizi alla persone di Fondazione Cariplo – si dimostra sostenibile se gli obiettivi sono chiari, se si mettono in campo partenariati validi e sentiti, se si comunica con efficacia. Con questo progetto abbiamo testato anche la disponibilità degli enti territoriali a fare pool di risorse e cambiare l’approccio al welfare». A Lecco, per esempio, la comunità si è spesa per il progettoLiving Land che e sostiene percorsi per recuperare i ragazzi che non lavorano né studiano e per fornire soluzioni leggere agli anziani che possono ancora vivere a casa. Ebbene accanto a Fondazione Cariplo che ha stanziato 1,5 milioni la comunità locale si è riproposta di finanziarne 1,7. «Di fronte alla reazione positiva dei territori – spiega Paolo Dell’Oro, segretario della Fondazione di comunità di Lecco che gestisce il fondo Living Land – c’è stato un ingaggio morale forte da parte dei Comuni che hanno riconosciuto il valore educativo del progetto». Fatto per niente scontato in un periodo di tagli alla spesa pubblica. A fronte di 30,4 milioni di euro di contributi erogati da Fondazione Cariplo in tre anni, il costo complessivo è stato pari a 67 milioni. Inoltre solo sui primi due anni la raccolta da parte di singoli e aziende è stata di 1,53 milioni di euro.
Oltre a rompere il modello del welfare assistenzialista, il bando ha invitato a lavorare sui nuovi bisogni. Per esempio, il Comune di Milano ha lanciato WeMi, una piattaforma per cittadini, che cercano servizi di qualità, dalla colf alle badanti. L’amministrazione ha pensato non tanto alle situazioni di grave fragilità economica di cui si occupa già in modo diretto. Ma a tutti i milanesi che vogliano trovare un punto di riferimento per orientarsi tra servizi e scegliere quelli di qualità e certificati. Sarà attivata una nuova versione digitale che consentirà di prenotare e pagare direttamente i servizi. «In molti casi strumenti digitali come le piattaforme permettono l’intermediazione tra domanda e offerta a livello territoriale» osserva Monica Villa che per Fondazione Cariplo presenterà i risultati del bando il 22 settembre a Milano.
Dalla Lombardia al Veneto, il modello di welfare di comunità si sviluppa ma a partire dal welfare aziendale. «Quattro anni fa ci siamo chiesti: i bisogni che hanno i cittadini in termini di servizi sono gli stessi che hanno i dipendenti delle imprese?» spiega Fabio Streliotto che guida la società di consulenza Innova. Dall’indagine che ha coinvolto lavoratori e famiglie sui temi della conciliazione vita-lavoro e della sicurezza, Innova ha stimolato il progetto WelfareNet che dall’Alta Padovana si sta estendendo come rete di servizi in tutto il Veneto (grazie a un bando della Regione). «Abbiamo contribuito a sviluppare la piattaforma digitale TreCuori, in cui cittadini accedono ai servizi a seconda della loro situazione socio-economica. I lavoratori delle imprese sono liberi di pagare con il credito welfare i propri fornitori di fiducia attraverso il pagamento telematico» aggiunge Streliotto. La piattaforma svolge anche funzione di “marketing sociale”: non viene richiesta una fee ma un sostegno a piccole realtà del territorio, come scuole, onlus, associazioni sportive,culturali o benefiche. «Con la funzione del “welfare pubblico” mettiamo a disposizione delle amministrazioni locali uno strumento per gestire i contributi sociali senza che le persone siano stigmatizzate, perché tutti hanno la stessa tessera, i lavoratori che godono del welfare aziendale e le persone in disagio economico». A integrare la piattaforma ci pensano i WelfarePoint, una sorta di agenzia di innovazione sociale che orienta persone e aziende grazie a operatori professionali, facilitati dal gestionale Ambrogio, un maggiordomo virtuale, che aiuta a organizzare la domanda e l’offerta di servizi nel territorio.